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Sfide e difficoltà dell’opposizione bielorussa. Conversazione con Tatsiana Chulitskaya

Con l’invasione russa dell’Ucraina, anche il presente e il futuro della piccola repubblica della Belarus’ appare sempre più problematico e “in sospeso”. La repressione di Aljaksandr Lukašenka, al potere da oramai trent’anni, si è intensificata dopo le grandi proteste del 2020 e non accenna a smettere – nonostante il silenzio internazionale. Decine di migliaia di persone si trasferiscono all’estero, sia per motivi economici che per sfuggire al carcere e alle persecuzioni, mentre sul territorio del paese hanno fatto il loro ingresso le truppe dell’esercito di Putin nonché parte dell’arsenale nucleare di Mosca.

Formalmente, però, la Belarus’ non è in guerra contro Kyiv e anzi la retorica governativa prova talvolta a presentare l’esecutivo di Minsk come un possibile mediatore fra le due parti. In pratica, sembra invece approfondirsi la dipendenza dalla Russia e i destini dei due regimi appaiono sempre più legati dentro un orizzonte di incertezza.

Intanto, l’opposizione bielorussa all’estero – guidata da Svjatlana Cichanoŭskaja, ma composta da numerose realtà, associazione e individui – discute su possibili mosse e azioni per favorire una trasformazione del paese, oltre a portare avanti una costante battaglia a favore dei prigionieri politici (quasi 1400, secondo l’organizzazione per i diritti umani Viasna96).

Ne abbiamo parlato con l’attivista e ricercatrice in scienze sociali Tatsiana Chulitskaya, che studia la capacità di mobilitazione dal basso della comunità bielorussa e che recentemente è stata condannata in absentia assieme ad altri venti intellettuali e ricercatori indipendenti da parte del Tribunale di Minsk.
Partiamo dalla guerra in Ucraina, che è ormai entrata nel suo terzo anno. In che modo questo evento sta influenzando la lotta dell’opposizione bielorussa?

De facto la Belarus’ è paese coaggressore dell’Ucraina, al di là delle sfumature che la dividono dalla Russia. Questo ha cambiato chiaramente l’attitudine verso il paese e verso i cittadini bielorussi e le cittadine bielorusse.

Prima del 2022, tagliando molto con l’accetta, il popolo della Belarus’ era percepito all’esterno in due modi distinti: o era sostanzialmente sconosciuto ai più, oppure veniva visto in maniera tendenzialmente positiva, come un popolo che lottava coraggiosamente contro l’autoritarismo del proprio governo e contro le violazioni dei diritti umani. Con l’inizio dell’invasione, è rimasta sempre una fetta di persone che ignora quanto sta succedendo, ma dall’altro lato una parte di chi prima aveva un atteggiamento positivo ora è diventato più critico, se non addirittura aggressivo (almeno in una certa misura).

A un livello politico, i governi occidentali in generale sembrano capire che va mantenuta una differenza fra il governo bielorusso e il popolo bielorusso che lotta per la sua indipendenza, la sua identità, e di base per il proprio diritto di essere libero.

Tuttavia, soprattutto per i governi dell’area nord-orientale come Lituania, Lettonia ed Estonia, la mutata situazione nella regione in termini di sicurezza delle frontiere ha portato a un cambio di atteggiamento pratico nei confronti dei bielorussi. Sono state introdotte numerose limitazioni a livello legislativo, ed è cambiata anche l’attitudine delle persone: da quando è scoppiata la guerra, magari per alcuni bielorussi è diventato più difficile affittare un appartamento a Vilnius o a Riga, ecc. Sono esempi piccoli, ma significativi.  

Qual è la situazione per chi si trova invece all’interno del territorio della Belarus’?

È molto più complicato. Chi si trova all’estero ha comunque a che fare con un contesto più o meno libero e democratico, in cui ci si può opporre legalmente alle decisioni ingiuste e in cui un minimo di diritti sono garantiti.

Nella Belarus’, invece, le persone si trovano invischiate in una sorta di paradosso del Comma 22: vivono in un paese autoritario, in cui stante le condizioni attuali puoi veramente fare molto poco (non puoi protestare perché finisci in prigione, le manifestazioni di dissenso civico sono proibite, resta solo la clandestinità, ecc), ma allo stesso tempo non puoi neanche andare all’estero facilmente, perché è complicato ottenere il visto.

In più c’è anche una questione rispetto alla propaganda russa che è cresciuta recentemente all’interno del paese, e non si tratta solo di propaganda attraverso i media ma anche in termini educativi e religiosi (c’è un certo impegno della chiesa ortodossa in tal senso).

Vivere oggi in Belarus’, dal punto di vista delle persone comuni, significa davvero trovarsi in una zona grigia, sia che si tratti di persone favorevoli a un cambiamento democratico o meno.  

In una delle tue ricerche affermi che c’è un divario crescente fra le persone bielorusse fuori e dentro dalla Belarus’. Come si può fare per colmare questo divario e come mai è importante farlo?

Purtroppo o per fortuna, la situazione della Belarus’ non è unica a livello globale. Penso alla Turchia, all’Iran o all’Azerbaigian: contesti autoritari in cui una grossa fetta dell’opposizione bielorussa democratica ha dovuto riparare all’estero.

In un certo senso, per la comunità bielorussa la situazione è complicata dal fatto che siamo di fronte alla prima vera migrazione di massa che è avvenuta nel Ventunesimo secolo. Non è la prima volta che questo accade nella storia, se pensiamo alla rivoluzione nell’impero zarista o alla Seconda guerra mondiale, ma è una novità dal punto di vista della memoria sociale. Confrontarsi con questo dato è una questione fondamentale.

Ecco perché, quando parliamo del divario fra chi si trova dentro la Belarus’ e chi si trova fuori, credo sia importante cercare di trarre delle lezioni da quello che è avvenuto con altre diaspore e non considerare il fatto come qualcosa di assolutamente inedito.

Allo stesso tempo, è anche importante non mettere tutto nello stesso calderone, accorpare per esempio russi e bielorussi e provare a sviluppare misure simili. Serve un approccio più diversificato. Penso che per gli stessi bielorussi sia fondamentale discutere e rendersi conto che ci troviamo tutti nella stessa barca, a prescindere da dove qualcuno si trovi fisicamente.

Dal punto di vista pratico?

Ci dovrebbero essere degli approcci su misura pensati per i cittadini favorevoli alla democrazia e al cambiamento civile che sono ancora dentro la Belarus’. Nei loro confronti ci dovrebbe essere un maggior sostegno da parte europea, dei finanziatori occidentali per sostenere le iniziative dal basso, le iniziative di formazione di comunità… Stiamo parlando di attività che non possono raggiungere una dimensione immediatamente politica, ma la possibilità di far crescere la costruzione di comunità anche solo attraverso iniziative culturali è fondamentale.

Come sappiamo dall’esperienza di altre nazioni e società autoritarie, la fiducia e la solidarietà fra le persone permettono di creare e mantenere delle reti che risultano poi molto più facili da mobilitare nel momento in cui si apre una finestra di opportunità per un cambiamento sociale o politico. 

Inoltre, servirebbero dei passi per liberalizzare il rilascio dei visti per i bielorussi. Capisco tutte le preoccupazione in termini di sicurezza, ma è necessario un approccio su misura affinché le persone possano spostarsi. Non si tratta solo di sicurezza, ma anche a livello di diplomazia e contatti diplomatici: se i bielorussi sono isolati, non credo che questo porterà alcun risultato positivo. Le persone nel paese diventerebbero solo più disperate di quanto lo sono ora, non sentirebbero nessuno sostegno dai vicini e dall’Occidente.

Il modo più semplice per fare sentire questo sostegno è appunto mantenere i contatti e rendere il processo di oltrepassamento delle frontiere più semplice. Per quelli che invece sono fuori dal paese, il sostegno della società civile è essenziale e anche il supporto mediatico, per dare voce alle prospettive indipendenti che non siano solo quelle dell’opposizione ufficiale. Penso ai blogger indipendenti e agli spazi di discussione dal basso.

Da questo punto di vista, come vedi la presenza del governo d’opposizione all’estero di Svjatlana Cichanoŭskaja? Anche pensando al fatto che dietro all’obiettivo comune del cambiamento democratico esistono diverse opinioni e tendenze… 

Penso che l’esistenza di un’opposizione bielorussa ufficiale all’estero sia importante e necessaria. Al momento la società bielorussa è una società transnazionale e transfrontaliera, perché de facto un sacco di organizzazioni e attivisti si trovano all’estero.

Ma parallelamente anche la repressione, per quanto possiamo osservare, sta diventando transnazionale e transfrontaliera: lo stato bielorusso e lo stato russo stanno cercando di seguire i loro oppositori e di mettere in atto persecuzioni nei loro confronti (lo posso dire anche dal mio punto di vista personale: sono sotto un procedimento penale in Belarus’, giudicato in absentia). Perciò, avere un governo in esilio diventa essenziale per fornire voce alla comunità bielorussa e alle persone bielorusse. Cichanoŭskaja sta portando avanti un lavoro enorme nel farsi portavoce della causa e renderla visibile a livello globale.

Dopodiché, esistono opinioni divergenti su quale sia la situazione e il modo in cui si debba agire. Io penso che al momento nessuno sappia veramente quale sia la strada giusta da seguire. Non c’è una strategia vincente a priori, non esiste la mossa che risolverà tutti i problemi di colpo e che potrà ripristinare la democrazia dall’oggi al domani.

In questo senso, è un bene che ci siano conflitti e dibattiti all’interno dell’opposizione bielorussa. Tuttavia, per via della mancanza di una cultura di partecipazione e di comunicazione, a volte la discussione assume dei toni accesi e deleteri, che sfociano nell’abuso.

Quando si è abituati a un sistema e a un contesto profondamente gerarchici, la ricerca del consenso attraverso la persuasione e l’elaborazione di un programma convincente sembrano spesso dinamiche aliene e infruttuose: è vero soprattutto per chi ha fatto parte dell’apparato statale o di potere, come i siloviki, ma anche per molti uomini d’affari. Ciononostante, forse, anche queste difficoltà e queste incomprensioni fanno parte di un più ampio processo di apprendimento di attitudine democratica da parte della comunità bielorussa. Tutto sommato, rimango ottimista.

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Francesco Brusa
Francesco Brusa

giornalista pubblicista, collabora con diverse riviste e diversi siti on-line, occupandosi principalmente di quanto si muove a livello politico e sociale in area est-europea e anatolica. Ha scritto di proteste femministe in Polonia, dell’elezione del primo sindaco comunista eletto in Turchia, di compagnie teatrali clandestine in Bielorussia e di cosa vuol dire fare informazione indipendente in Transnistria.