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Il 28 giugno è festa in Ucraina: si celebra l’adozione della Costituzione dell’Ucraina. A distanza di quasi cinque anni dalla dichiarazione di indipendenza dall’Urss del 24 agosto 1991, i membri della Verchovna Rada – il parlamento ucraino – nel giugno 1996 siglarono e adottarono la nuova legge fondamentale che mandò in pensione la Costituzione della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina del 1978. Una votazione agognata, a cui i deputati della Rada lavorarono tutta la notte senza sosta, ma che consolidò le basi giuridiche dell’Ucraina indipendente, nonché la sua sovranità e integrità territoriale e, indubbiamente, contribuì a migliorare la posizione internazionale dell’Ucraina sulla scena internazionale.
I processi legislativi e costituzionali nella storia ucraina hanno radici storiche profonde. Ai tempi della Rus’ di Kiev (XI secolo) e dei cosacchi di Zaporižžja (XVII secolo) esisteva già una raccolta di leggi antiche e atti giuridici, che diedero poi spunto alla creazione della Costituzione di Pylyp Orlyk, un accordo che di fatto regolava le relazioni tra gli etmani e il sistema statale dell’Ucraina dell’epoca, nonché elencava i diritti e i doveri dei cittadini. Creato nel 1710, fu il primo documento simile alle moderne costituzioni europee. Anche le diverse versioni successive, elaborate nel periodo tra il 1917 e il 1921 durante il risveglio dell’indipendenza ucraina, sono state significative per il processo di creazione della Costituzione dell’Ucraina indipendente del 1996.
Finalmente una nuova Costituzione
Il 27 giugno 1996 ancora nessuno ci credeva: il paese sembrava si stesse preparando a celebrare il suo quinto anniversario come Stato indipendente mantenendo la sua costituzione di epoca sovietica. Ventiquattro ore dopo, però, con un’euforia che ricordava l’annuncio dell’indipendenza del 24 agosto 1991, la Verchovna Rada proclamò finalmente la ratifica della nuova Costituzione dell’Ucraina. Oltre la cortina di ferro, a causa delle lotte politiche interne, l’Ucraina fu l’ultima delle ex repubbliche sovietiche ad adottare una nuova costituzione.
“Siamo entrati a far parte delle nazioni europee che hanno scelto la democrazia e la libertà, non si torna più indietro”, dichiarò allora Serhij Holovatyj, uno dei principali autori della Costituzione dell’Ucraina. Membro del parlamento ucraino dalla prima alla sesta convocazione, ministro della Giustizia in tre governi, attualmente vicepresidente e presidente ad interim dal 2020 della Corte costituzionale, Holovatyj in un’intervista a Holos Ukraiini (il giornale del parlamento ucraino) ha ribadito che l’Ucraina ha scelto un percorso diretto verso l’integrazione europea ed euro-atlantica (seppure, all’epoca della ratifica della Costituzione e della Dichiarazione d’Indipendenza nel 1996, ancora non si parlasse di un vero e proprio “blocco Nato”).
Una costituzione travagliata
Sullo sfondo della lunga crisi socio-economica che il paese attraversò all’inizio degli anni Novanta, l’adozione del nuovo documento venne ostacolata dal confronto permanente tra il presidente Leonid Kučma (che vinse al ballottaggio del 10 giugno 1994 contro Leonid Kravčuk) e la Verchovna Rada. Kučma cercò di rendere il parlamento funzionale ai propri scopi politici e ci riuscì, rafforzando il suo potere nel quadro di un continuo conflitto con il governo e con il parlamento: i suoi continui tentativi di ampliare i poteri presidenziali si tradussero però inevitabilmente in uno scontro permanente tra potere esecutivo e legislativo.
Scontro che si palesò esplicitamente durante il processo di approvazione della nuova Costituzione, che Kučma dichiarò di voler modificare sin dalla sua entrata in vigore (anche se poi non lo fece). Nell’arco di quasi sei anni furono redatte ben quindici bozze, presentate sia dalla Commissione costituzionale, che dai partiti politici. Il progetto del Congresso dei nazionalisti ucraini, ad esempio, non prevedeva l’autonomia della penisola di Crimea. I comunisti, d’altro canto, proponevano di limitare i diritti del presidente e di tornare alla forma di governo precedente, mantenendo il nome di Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina.
Dopo mesi di incertezza, il 27 giugno, Kučma emise un decreto per sottoporre l’adozione della Costituzione direttamente al popolo attraverso un referendum nazionale da indire in settembre senza passare dalla Rada. I deputati del parlamento di Kyiv allora si indignarono: non volevano passare per inefficaci e improduttivi. Il presidente del parlamento, Oleksandr Moroz, prese allora in mano le redini della situazione, giocando un ruolo fondamentale nella lunga sessione decisiva, a cui tra l’altro il presidente Kučma non presenziò, arrivando solo pochi minuti prima dell’annuncio ufficiale dell’adozione della legge fondamentale. Le questioni più controverse e dibattute in quella sede furono diverse: dalla divisione dei poteri tra i rami del governo ai simboli dello Stato, dallo status della Crimea a quello della lingua russa.
Il documento adottato stabilisce che l’Ucraina è uno Stato indipendente e democratico, che ha scelto l’ucraino come lingua ufficiale, garantendo al contempo – o perlomeno era così fino all’invasione russa del paese – l’uso della lingua russa e di altre lingue minoritarie parlate entro i confini dell’Ucraina (per approfondire, ascolta: Lingua e legge in Ucraina – Radio Radicale). Inoltre, garantisce le libertà e i diritti democratici sulle basi di un sistema giudiziario indipendente:
La Costituzione del 1996 rimase in vigore senza grandi cambiamenti fino al 2005 quando, a ridosso delle nuove elezioni, Kučma fece approvare dal parlamento la prima legge “Sulle modifiche alla Costituzione dell’Ucraina”, che sanciva la transizione da una repubblica presidenziale-parlamentare (col presidente al centro del sistema politico) a una repubblica mista parlamentare-presidenziale. Tuttavia, la legge fu dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale dell’Ucraina il 30 settembre 2010 a causa di violazioni della procedura di esame e adozione della stessa.
La ultime modifiche significative alla Costituzione risalgono entrambe al 2019: a fine mandato, l’ex presidente Petro Porošenko nel febbraio 2019 introdusse una legge che sancisce il percorso strategico del paese verso la piena adesione all’Unione Europea e all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (dibattito che era rimasto in sospeso ai tempi di Kučma). Nell’autunno dello stesso anno, il 3 settembre, il neo-presidente Volodymyr Zelens’kyj revisionò la Costituzione eliminando l’immunità per i parlamentari, legge che entrò in vigore il 1° gennaio 2020.
L’arena internazionale, le relazioni russo-ucraine e la guerra
Sotto la presidenza Kučma, in termini di politica estera, l’Ucraina non prese una posizione netta verso est o verso ovest; perseguendo piuttosto l’obiettivo di mantenere buoni rapporti sia con la Russia che con l’Europa e gli Stati Uniti. Tuttavia, a causa del Kučma-gate e delle relative mosse del presidente, nei primi anni Duemila venne accantonata l’idea di avanzare concretamente una candidatura per l’adesione all’Ue e alla Nato. Anche l’ammissione al Consiglio d’Europa, di cui l’Ucraina fa parte dal novembre 1995, fu travagliata: la piena adesione al Consiglio implica, oltre all’adozione di una Costituzione democratica, l’abolizione della pena di morte, che venne ratificata ufficialmente dal paese solamente nel 2000. Il Consiglio si era quindi espresso più volte criticamente nei confronti del (mancato) rispetto dei diritti umani all’interno dell’Ucraina.
Forse, però, la questione più spinosa di quegli anni è stata quella delle relazioni ucraino-russe. Pur essendo tra i membri fondatori, l’Ucraina non ratificò mai lo Statuto della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), costituita nel 1991 dopo la firma dell’Accordo di Belaveža; rivendicando il proprio status di neutralità, Kyiv ha lasciato definitivamente la CSI nel 2018. I diversi tentativi avanzati dai comunisti per far aderire la Rada all’Assemblea interparlamentare della CSI sono stati un buco nell’acqua: “L’unico grande problema dei comunisti oggi è che vogliono costruire una repubblica socialista sovietica, mentre io voglio costruire uno Stato civile e basato sullo Stato di diritto”, dichiarava Kučma all’inizio del suo mandato presidenziale.
L’elaborazione di una Costituzione al culmine di crisi politiche interne ed esterne, adottata sotto la deriva autoritaria di Kučma (terminata con la Rivoluzione Arancione), in un’epoca di piena transizione, ostacolò indubbiamente tutta una serie di riforme politiche ed economiche, favorendo l’instabilità e alimentando proteste di massa. Le modifiche costituzionali approvate nel 2004 hanno però collocato il sistema politico ucraino in uno spazio ibrido tra un assetto presidenziale e uno parlamentare, lasciando fluttuare il potere in una o nell’altra direzione, in modo poco chiaro.
I rapporti tra la presidenza e la Corte costituzionale, che inaugurò la sua attività nell’ottobre del 1996, sono sempre stati piuttosto tesi, ma nel 2020 sono arrivate a un punto di non ritorno: in ottobre la Corte invalidò gran parte delle riforme anticorruzione di Volodymyr Zelens’kyj etichettandole come “incostituzionali”. Il 1° novembre 2022, in piena legge marziale, la Corte si ricredette e stabilì che il processo era effettivamente costituzionale, ponendo fine a una disputa interna durata tre anni sulla questione e aprendo nuove prospettive per la riforma costituzionale (uno dei requisiti da adempiere per entrare nell’Ue). In effetti, mentre il sistema politico ucraino si adattava alle condizioni di guerra, i dibattiti sulla riforma della Corte costituzionale, ispirati dalla prospettiva di adesione all’Ue, sono ripresi e la Verchovna Rada ha adottato una legge volta a migliorare le modalità di selezione dei candidati alla Corte.
Indubbiamente, l’Ucraina dovrà affrontare diverse questioni quando il conflitto terminerà. Non meno importante sarà la riorganizzazione del sistema politico, costituzionale e giuridico in risposta ai problemi del dopoguerra. Come ha sottolineato il presidente Zelens’kyj nel suo discorso al parlamento nel dicembre 2022, la ricostruzione postbellica riguarderà tutti gli ambiti e sarà realizzata con l’obiettivo di entrare a far parte dell’Ue.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.