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Il 28 giugno ricorre Vidovdan, il giorno di San Vito, importante e simbolico nel destino dei popoli ex jugoslavi. In questa data, infatti, si commemora la battaglia contro i turchi a Kosovo Polje nel 1389 (in cui in serbi vennero sconfitti), l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914, nonché il giorno in cui nel 1989 Slobodan Milošević tenne il discorso di Gazimestan in Kosovo che contribuì ad infiammare gli animi della popolazione serba locale in chiave anti-albanese.
Le ricorrenze storiche associate al 28 giugno però non si fermano qui: in questa data si verificò un altro evento che segnò per sempre il confine orientale fra Italia e Jugoslavia. Il 28 giugno 1991, infatti, la guerra d’indipendenza slovena arrivò alle porte di Gorizia, più precisamente al valico di Casa Rossa-Rožna Dolina, sconfinando in territorio italiano per alcuni minuti.
Gli eventi che portarono al conflitto
Ufficialmente, la cosiddetta Guerra dei dieci giorni ebbe inizio il 26 giugno 1991, il giorno successivo all’adozione da parte del parlamento sloveno della dichiarazione d’indipendenza, in quello che rappresentò il primo passo nella disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (Rsfj). Questi dieci giorni di conflitto causarono 65 vittime, prevalentemente soldati dell’esercito federale, ma non solo: si registrarono anche morti fra i civili, nonché una decina di cittadini stranieri (alcuni camionisti bulgari in particolare) e due giornalisti austriaci.
Fra i fattori determinanti che portarono alla dichiarazione d’indipendenza possiamo ricordare il tentativo da parte delle autorità serbo-jugoslave di modificare la Costituzione e privare le regioni autonome della loro importanza. Questo evento contribuì al deterioramento delle relazioni tra serbi e sloveni e provocò una serie di proteste e reazioni politiche nella repubblica slovena nel 1989.
A fine dicembre 1990 ebbe luogo un referendum sull’indipendenza slovena dalla Repubblica federale jugoslava, in cui l’88,5% dell’elettorato sloveno votò a favore di un cammino nazionale autonomo. Ci vollero però circa sei mesi per la concretizzazione del programma d’indipendenza: il 21 giugno 1991, il ministro dell’informazione Jelko Kacin affermò pubblicamente l’imminente inizio di un nuovo capitolo indipendente per il piccolo paese di nemmeno due milioni di abitanti, fissandolo per la data del 26 giugno.
Tuttavia, il Parlamento sloveno approvò la mozione d’indipendenza con un giorno d’anticipo, già il 25 giugno, garantendo così al paese il vantaggio strategico di un giorno per fronteggiare la risposta dell’esercito centrale jugoslavo. In tale momento, una mossa decisiva dal valore pragmatico e simbolico per il materializzarsi della sovranità del nuovo stato fu la definizione dei suoi confini: con Austria, Italia, Ungheria e Repubblica croata, ai cui valichi vennero inviati rinforzi.
In aggiunta a ciò, un’altra azione rilevante fu la rimozione delle insegne federali (su targhe, segnaletica e bandiere), per lasciare il posto ai nuovi simboli nazionali sloveni. Nella giornata del 26 giugno, carri armati jugoslavi giunsero alla frontiera con l’Italia, e fu a Divača il giorno successivo che venne sparato il primo colpo di arma da fuoco della guerra, per mano dell’esercito jugoslavo.
In questo contesto, è importante sottolineare come molti soldati dell’esercito jugoslavo, soprattutto giovani di leva, non fossero al corrente dell’evolversi della situazione con la dichiarazione d’indipendenza slovena. Essi furono pertanto inviati ai confini esterni della Slovenia (con Austria, Italia ed Ungheria) senza sapere chi fosse il nemico contro cui dover combattere, ritenendolo un pericolo ‘esterno’ e non ‘interno’.
Le ostilità al confine di Casa rossa-Rožna Dolina: 28 giugno 1991
In quella fine di giugno, i cittadini di Gorizia vissero lo sviluppo degli eventi bellici con grande preoccupazione per i vicini sloveni, ma temendo in una certa misura anche per le proprie sorti. La paura più grande si materializzò durante la sera del 28 giugno 1991, quando al confine di Casa Rossa-Rožna Dolina (il valico di frontiera più importante tra Gorizia e Nova Gorica) ebbero luogo feroci combattimenti tra membri dell’Esercito federale jugoslavo e delle Forze speciali slovene della Teritorialna obramba (Difesa territoriale).
Furono questi ultimi a vincere la battaglia oggi considerata decisiva per le sorti della guerra d’indipendenza slovena, riuscendo a distruggere due carri armati T-55 dell’esercito jugoslavo e impossessandosi di altri tre. Le ostilità tra le due parti si protrassero per ore, fino alla resa dei soldati jugoslavi alla difesa territoriale slovena, e provocarono quattro vittime, nonché diverse decine di feriti, in entrambi i casi membri dell’esercito federale jugoslavo: alcuni di questi furono trasportati e curati all’ospedale di Gorizia, dunque in territorio italiano.
Diversi cittadini goriziani accorsero al piazzale di Casa Rossa, assistendo al compiersi della Storia su questo confine, e un video girato in tale occasione ci restituisce la drammatica sequenza degli eventi di quell’indimenticabile 28 giugno 1991. Nella registrazione possiamo ricostruire il susseguirsi della battaglia, con gli spari dei carri armati dell’esercito jugoslavo e la successiva comunicazione da parte della polizia di frontiera italiana, con cui si ordina ai civili di lasciare il piazzale a causa degli scontri a fuoco pericolosamente vicini.
E in effetti la guerra sconfinò davvero, dal momento che alcuni proiettili di kalashnikov colpirono la parete del bar “Casa rossa”, situato a pochi metri dal valico (dove sono visibili ancora oggi) ed altri edifici, anch’essi situati sul lato italiano.
Oggi, a distanza di più di trent’anni, il piazzale di Casa Rossa testimone di tali eventi cruciali per la sorte dei vicini sloveni appare tristemente trascurato e privo di targhe o segnali pubblici a ricordare la condivisa angoscia di quelle ore concitate in quel venerdì di fine giugno, durante quell’ennesimo giorno di San Vito che produsse ulteriore Storia nelle vite dei popoli dell’allora Jugoslavia.
Antropologa e ricercatrice di origine italo-messicana-levantina. Attualmente ricercatrice post-doc presso il dipartimento di Sociologia dell'Università di Ljubljana. I suoi temi di ricerca, che si ripercuotono anche sulla sua scrittura non accademica, riguardano la diaspora, i confini, la diversità culturale e le minoranze etnolinguistiche, con una predilezione particolare per l’area balcanica. Quando messa nelle giuste condizioni, parla più o meno fluentemente una dozzina di lingue e ne legge almeno altre cinque (romeno, russo, portoghese, un po’ di romanì e mandarino), grazie al suo bagaglio genealogico multiculturale e ai numerosissimi soggiorni di ricerca e studio all’estero finanziati da diversi enti nazionali ed internazionali.