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Lo scorso 4 giugno, tra i 350mila e i 500mila cittadini polacchi sono scesi per le strade di Varsavia – e non solo – per prender parte a una manifestazione politica antigovernativa. La marsz (marcia di Varsavia) è stata organizzata da Donald Tusk, leader della Piattaforma Civica, maggior partito di opposizione in Polonia, nel giorno dell’anniversario delle prime elezioni pluripartitiche in Polonia, il 4 giugno 1989.
Le motivazioni che hanno portato una così ampia fetta del popolo polacco a protestare sono soprattutto legate ai continui tentativi del PiS e dei suoi alleati di minare l’assetto liberal-democratico del paese. Non per ultimo, il concepimento di quella che è passata al gergo giornalistico come Lex Tusk, ossia una legge approvata il 30 maggio dal presidente Andrzej Duda che mira (ufficialmente) a istituire un comitato politico che giudichi le affezioni del sistema partitico polacco da parte russa, condannando senza via d’appello i politici che sarebbero trovati colpevoli di una tale connivenza. La legge è ritenuta essere parte di una strategia per impedire legalmente a Donald Tusk di concorrere alle prossime elezioni assembleari di ottobre. Durante gli anni del suo governo, prima di diventare presidente del Consiglio europeo, Tusk ha infatti – come molti capi di stato – intrattenuto relazioni più o meno amichevoli con la Russia, così come diverse sono state le relazioni economiche tra i due paesi – le quali sono continuate fino a pochi mesi fa, quindi anche durante il governo del PiS per quasi otto anni.
Una protesta trasversale
Sebbene la protesta sia stata organizzata da Tusk e dal suo partito, anche altri partiti di opposizione come Lewica (Sinistra) e Polska 2050 (Polonia 2050) hanno preso parte, seppur all’ultimo e con una certa titubanza. La personalizzazione della marcia in un panorama politico polarizzato e partiticamente frammentato (soprattutto per quanto riguarda le forze d’opposizione) non dava per scontato che vi fosse un’adesione di altre forze politiche. La protesta ha però assunto un carattere di grande rivincita democratica, dove i temi portati sul palco, così come quelli che arrivavano dalla piazza, erano soprattutto d’indignazione e timore verso una politica che punta a riportare le pratiche ai livelli illiberali precedenti al 1989, seguendo il destino di Budapest e Ankara, capitali di due paesi spesso citati come simbolo di semi-autocrazie nei cartelloni impugnati dalla folla e negli slogan.
Una nota interessante è la partecipazione di Lech Wałęsa, ex presidente della Polonia ed ex leader di Solidarność, il sindacato che negli anni Ottanta intraprese una lotta senza quartiere contro il regime autoritario della Repubblica Popolare. Dopo un discorso introduttivo di Tusk, l’ormai in pensione elettricista di Danzica ha parlato a Varsavia di parallelismi storici tra l’attivismo di Solidarność e la politica odierna. La folla, carica di entusiasmo per l’inizio della marcia, ha iniziato ad intonare un Idziemy! Idziemy! (“Andiamo! Andiamo!”) facendo innervosire il povero Wałęsa che, offeso, ha interrotto prematuramente il suo discorso.
In effetti, Wałęsa sembra sempre di più essere un personaggio ormai anacronistico in Polonia, protagonista di una lotta necessaria e largamente condivisa tutt’oggi, ma datata nei contenuti e incapace di adeguarsi efficacemente ai cambiamenti avvenuti negli ultimi trentatré anni; l’elettorato delle opposizioni è composto in gran parte da persone raramente sopra i cinquant’anni, spesso provenienti dalle città e altamente scolarizzati, che non sentono il bisogno di ascoltare la vanagloria di un eroe del suo tempo, ma che dopo un mandato presidenziale a Varsavia ha vissuto un tracollo politico rapido e costante, lasciando la scena politica più propriamente detta già nell’anno 2000. Negli anni a venire, il passato di Wałęsa si è poi tinto di chiaroscuro, con accuse molto pesanti di aver per lungo tempo collaborato con i servizi segreti polacchi, comprovate con certezza nel 2016 – nonostante Wałęsa non abbia mai ammesso il suddetto sodalizio.
Dopo l’ex presidente, hanno preso la parola anche Sylwia Gregorczyk-Abram, avvocatessa e attivista, e il sindaco di Varsavia, Rafał Trzaskowski – sfidante sconfitto delle presidenziali del 2020 – prima che la folla si mettesse in marcia.
Opposizione e reazione a Varsavia
Il 31 maggio, distorcendo la frase di un giornalista su Duda (“Dovrebbe essere rinchiuso in una camera”), il profilo Twitter del PiS accusava la marcia di nazismo, insinuando che il giornalista si riferisse a una camera a gas. L’interpretazione – smentita dal giornalista stesso – ha visto la dura reazione del Museo di Auschwitz, che ha twittato dichiarando che:
La strumentalizzazione della tragedia delle persone che hanno sofferto e sono morte nel campo nazista tedesco di Auschwitz – su entrambi i lati della disputa politica – è un insulto alla memoria delle vittime.
Anche lo stesso Duda ha condannato la strumentalizzazione del partito, con il quale si trova sempre in maggior disaccordo su dichiarazioni e iniziative di legge, cercando una posizione più moderata per prepararsi – sospettano in molti – a lasciare Varsavia e candidarsi per posizioni in seno all’Unione Europea, in vista del termine del suo secondo mandato, che per la costituzione polacca è l’ultimo possibile.
Desta non poca curiosità la copertura mediatica che l’evento ha ricevuto dalla Tvp, emittente di Stato con base a Varsavia, e sostanzialmente strumento di propaganda del governo. Mentre agenzie televisive e web trasmettevano aggiornamenti più o meno costanti sulla manifestazione, la Tvp dava notizie dalla guerra in Ucraina e criticava la marcia e i suoi partecipanti, definendola come una marcia di partito e non quindi specchio della società polacca, oltre che piena di odio – mostrando cartelloni e dichiarazioni d’opposizione al governo dove apparivano alcune parolacce. La cosa più interessante, è che le prime immagini della marcia arrivano solo verso le 13, ma senza mai inquadrare la folla e senza dar modo di ascoltare i discorsi di Tusk e sodali. Il modus operandi della Tvp ricorda in maniera agghiacciante quello che le emittenti della Polonia comunista adoperarono durante la seconda visita di Papa Giovanni Paolo II in patria – nel 1983 –, inquadrando appunto solo il palco da dove parlava il pontefice e non la folla sterminata che si era riunita per ascoltarlo.
Infine, poco dopo l’una, la Tvp decide di coprire per più di mezz’ora la Parata Nazionale delle Associazioni delle Casalinghe di Campagna con il patrocinio del ministero dell’Agricoltura e con la partecipazione del capo del ministero, Robert Telus, ritenuta evidentemente un evento più interessante e utile da mostrare all’audience nazionale.
4 giugno e oltre
Il fermento politico del paese che giace sulla Vistola non si è però fermato al 4 giugno. Il 14 del mese, migliaia di persone sono scese in piazza – a Varsavia e non solo – per protestare ancora una volta per la liberalizzazione del diritto all’aborto, dopo che un’altra donna, Dorota, è morta di setticemia a Nowy Targ, per la presunta scarsa tempestività dei medici che si sarebbero rifiutati di farla abortire in tempo, e decidendo poi di operarla quando era ormai tardi. I manifestanti chiedono una legge più permissiva sull’interruzione di gravidanza, per bonificare un ambiente che pone anche i medici sotto pressione nel prendere una decisione simile.
Giugno è ormai da anni anche il mese dell’orgoglio per la comunità LGBTQIA+, che il 17 del mese sfilava per le strade di Varsavia. La parata (in Polonia è la Parada Równości, cioè “Parata dell’eguaglianza”) ha visto il patrocinio onorario del comune della capitale, con il sindaco Trzaskowski che ha parlato all’evento, dipingendo Varsavia come “europea, sorridente e tollerante”. Gli organizzatori hanno diviso le richieste in dodici punti, tra le quali spiccano non solo parità e diritti per la comunità LGBTQIA+, ma anche l’eguaglianza di genere, diritti di accoglienza per migranti e rifugiati, e il rispetto dell’ambiente.
Il 9 giugno, alla riunione della commissione giustizia e affari interni del Consiglio dell’Ue, il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro ha posto il veto – seguito dal collega ungherese – sull’approvazione delle “conclusioni sulla sicurezza della comunità LGBTI”. Secondo il politico di Suwerenna Polska (Polonia Sovrana, l’ala più estremista del governo), il documento trascurerebbe i diritti di altre fasce della popolazione europea, discriminando in particolare i cristiani che, a suo dire, sarebbero ad oggi vittime di un crescente odio nei loro confronti. In appendice, durante lo stesso consiglio, Varsavia si è opposta anche ad una bozza di direttiva che mirava a combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica, obiettando sull’utilizzo del termine “gender” che, a dire del giovane segretario di stato Sebastian Kaleta, porrebbe in pericolo chi mette in discussione l’esistenza di più gender – senza però argomentare il suo assunto.
Effetti elettorali
Subito dopo la protesta del 4 giugno, i sondaggi elettorali già risentivano dell’effetto portato dal fervore politico. In un sondaggio Kantar del 5 e 6 giugno condotto per Tvn, la Piattaforma Civica risultava addirittura il primo partito del paese, guadagnando sei punti percentuali. Altri sondaggi hanno registrato aumenti tra il 2,5% e il 5%, mantenendo però il partito alle spalle del PiS. Nonostante la lontananza dalle elezioni e il difficile riscontro che questi sondaggi possano poi effettivamente ottenere nella realtà, ciò che desta interesse è che l’aumento di voti risulta sempre sottratto soprattutto dai dati degli indecisi. In aumento anche i voti dell’estrema destra di Konfederacja, che si attesta tra il 10% e il 13%.
Per saperne di più sulle prossime elezioni in Polonia vi rimandiamo a questo articolo.
Le elezioni, che si terranno in autunno, danno un esito sempre più incerto. Ciò che sembra sicuro, è la difficoltà di qualsiasi partito nel formare un governo che non sia di larghe coalizioni. I prossimi mesi saranno decisivi per definire alleanze e consensi a Varsavia.
Laureato in European and Global Studies, ha trascorso due anni in Polonia, prima a Cracovia per studio, poi a Danzica lavorando per la Thomson Reuters. Ha scritto una tesi di laurea magistrale sulla securitizzazione della gestione della pandemia da coronavirus in Polonia, e una tesi di master sull’infuenza politica della Conferenza di Helsinki in Polonia negli anni Settanta ed Ottanta