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Questa storia inizia in modo del tutto prosaico. Attraversavo in treno le sconfinate vastità della steppa kazaka. Era ormai la quarta notte che i guardalinee percuotevano con i loro martelli le ruote dei treni nelle sperdute stazioncine di transito, accompagnando i loro gesti con imprecazioni in lingua kazaka. Avvertivo un senso di intimo orgoglio nel capire quelle parole lanciate da un angolo a un altro dello spazio. Durante il giorno, i vestiboli e i corridoi delle carrozze si riempivano di suoni simili, pronunciati però da donne e bambini che parlavano la medesima lingua. A ogni stazione di transito, il treno veniva preso d’assalto da venditori, o meglio, venditrici di lana di cammello, pesce essiccato e palline di kurt.
Ambientato a bordo di un treno che falcia le steppe dell’Asia centrale, La fiaba nucleare dell’uomo bambino (Wunderkind Eržan) di Hamid Ismailov, tradotto da Nadia Cicognini e pubblicato da Utopia Editore,trasporta subito il lettore in un’atmosfera quasi irreale, cupa. Un ambiente familiare eppure ostile anche al narratore stesso, il quale non rivelerà mai la propria identità, e mentre sta viaggiando incontra quello che sembra un autentico bambino prodigio, virtuoso del violino. Suona Brahms “come un dio” e all’apparenza non dimostra più di undici, dodici anni. Quando l’io narrante però gli si rivolge chiamandolo “ragazzino”, il musicista si irrita profondamente e puntualizza secco: “Non badare alla mia statura, ho ventisette anni, chiaro?!”.
L’apparente wunderkind si chiama Eržan ed è nato in piena Guerra fredda nella piccola stazione di transito di Kara-Šagan, sulla linea Kazakhstan Temir Žoly. Non lontano sorgono le città di Semej, tra le più popolose del paese, meglio conosciuta come Semipalatinsk fino al 2007, e Kurčatov, un centro di 20mila abitanti appositamente costruito all’indomani della Seconda guerra mondiale per scopi sperimentali. Noto con il nome “Semipalatinsk-21”, Kurčatov è infatti una città chiusa, sede di un poligono militare segreto adibito a test nucleari.
È lì che il 29 agosto del 1949 viene testata la prima bomba atomica sovietica, e dove per quarant’anni vengono portate a termine quasi cinquecento deflagrazioni. Un terzo degli ordigni nucleari veniva fatto brillare sottoterra, il resto nell’atmosfera, nei giorni in cui il vento non soffiava in direzione di Semipalatinsk-21. Questo preservava parzialmente la città di Kurčatov dalle conseguenze delle radiazioni, non risparmiando però i villaggi attorno.
Ma la gioia che scaturiva dalla steppa, dalla musica e dall’infanzia era sempre coesistita in Eržan con il presagio di un’ineluttabile, spaventosa, assurda presenza che si manifestava prima come un ronzio, seguito da un tremito e poi dal vorticare di un tornado che proveniva dalla Zona e spazzava via tutto. Di solito in quei momenti zio Šaken era di turno al posto di sorveglianza, […] s’infiammava come la steppa durante le esplosioni. Sosteneva che si trattasse di ben più di una semplice bomba nucleare, diceva che era la risposta sovietica alla corsa agli armamenti, e che senza quelle esplosioni saremmo scomparsi tutti già da un pezzo. Avevano uno scopo anche pacifico: edificare il comunismo!
La fiaba surreale dello scrittore in esilio
Tra gli autori uzbeki più pubblicati al mondo, Hamid Ismailov è poeta, scrittore e giornalista. Nato nell’attuale Kirghizistan nel 1954 e laureato all’università di Taškent, è autore di una ventina di volumi, scritti principalmente in russo ma non solo, e tradotti in svariate lingue. La fiaba nucleare dell’uomo bambino è la sua prima opera apparsa in italiano.
Fulcro e tema portante dei suoi scritti sono i paesi dell’Asia centrale, di cui racconta gli sconvolgimenti che li hanno attraversati con sguardo critico, lingua diretta e metafore potenti. Nel 1992, con l’avvento del sanguinoso e repressivo regime di Islam Karimov, riceve più volte attacchi e minacce contro la sua famiglia. Nello stesso anno il governo uzbeko apre un procedimento penale contro Ismailov, costringendolo all’esilio. Da allora vive in Inghilterra, dove fino al 2019 ha lavorato per la Bbc.
In un articolo del 2015 di The Guardian, Ismailov ha dichiarato di non sapere con precisione quale sua azione lo abbia obbligato a fuggire. Pensava che l’esilio sarebbe stato temporaneo, ma nemmeno la morte di Karimov nel 2016 ha cambiato le cose: “La mia libreria personale è in Uzbekistan, i miei primi archivi sono là, i miei parenti mi stanno aspettando”. Da trent’anni osserva impotente da lontano come la sua madrepatria stia incessantemente e sistematicamente smantellando la sua figura e la sua identità.
La steppa di Hamid Ismailov
La fiaba nucleare dell’uomo bambino è un racconto dalle tinte fosche e dai risvolti spietati, dipinto a pennellate affilate, asciutte e crude, ma che non lo privano di momenti di disperata tenerezza e lirismo. È una fiaba nel senso più remoto del termine, radicata nel folclore e nelle credenze popolari, in cui dietro a ogni angolo è appostato un pericolo. Nella steppa di Ismailov però nessun personaggio è buono o cattivo: sono tutti ugualmente vittime del soffocante e ambiguo sistema sovietico. Lo sferragliare incessante dei treni si fonde con le deflagrazioni, rumori che però non portano alcun progresso, ma anzi incalzano l’arrivo di presagi negativi e tragedie che si abbattono sugli abitanti umani e animali della steppa.
L’ombra oscura e minacciosa proiettata dalla Zona e dai riflessi smeraldini del Lago Morto segna in modo irreversibile il destino di Eržan e Ajsulu, sua vicina di casa e compagna di giochi: l’uno intrappolato nel proprio corpicino, l’altra costretta a una inspiegabile crescita improvvisa e smisurata. La vita del bambino prodigio, segnata dalla violenza sin dal concepimento, frutto di uno stupro, ben presto s’interrompe e anche l’infanzia si trasforma da periodo felice e spensierato a vicolo cieco. Proprio come l’esilio del suo autore, la cui manciata di pagine – scritte originariamente nel 2011 – assume non solo valore metaforico e di denuncia, ma anche profetico.
Verso sera zio Šaken li portò al Lago Morto. Il lago si era formato in seguito all’esplosione di una bomba nucleare ed era proibito bere quell’acqua “pesante” o anche solo avvicinarsi. Il lago era magico. Quel bacino di acqua color smeraldo in cui si rifletteva qualche rara nuvola di passaggio, era comparso all’improvviso nel mezzo della steppa monotona e uguale. La superficie lacustre era perfettamente immobile, nessun’onda la solcava, nessun fremito di brezza l’increspava. Era trasparente come il vetro di una bottiglia. […]
Allora, per liberarsi da quella sensazione che pervadeva ogni fibra del suo piccolo corpo, si sfilò la maglietta e i pantaloni e, davanti a tutti, si tuffò nelle acque proibite per svagarsi un po’.Poi, tra l’eccitazione entusiasta e timorosa dei ragazzi, e in particolare Ajsulu, uscì dall’acqua, scrollandosi, come se nulla fosse accaduto, e si rimise la maglietta cinese e i pantaloni di tela leggera. Nessuno in seguito fece mai la spia, ma tutti ricordarono a lungo la sorprendente impresa di cui era stato capace il prodigioso Eržan.
Traduttrice, interprete e scout letterario. S'interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove ha conseguito la laurea in traduzione presso l'Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Nel 2023 è stata finalista del premio Peroto per la migliore traduzione dal bulgaro in lingua straniera e nel 2024 vincitrice del premio Polski Kot. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours.