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Agosto per i russi è un mese maledetto che viene associato all’incombere di eventi drammatici per la storia del paese. O almeno così è stato sin dall’indipendenza della Federazione Russa dall’Unione Sovietica.
La crisi finanziaria e il default del 1998, l’inizio della seconda guerra cecena nel 1999, alcuni attacchi terroristici a Mosca tra il 1999 e il 2000, la catastrofe del sottomarino Kursk del 2000, la guerra dei cinque giorni contro la Georgia del 2008. Sono tutti eventi apparentemente scollegati tra loro, ma uniti da una coincidenza temporale: sono avvenuti tutti ad agosto.
Apri-fila di questa serie di tragici avvenimenti estivi è stato proprio il tentato colpo di stato del 1991, di cui in questi giorni cade l’anniversario, passato alla storia come putsch di agosto (19-22 agosto). All’epoca, la Federazione Russa non esisteva ancora, ma i processi di ristrutturazione democratica dell’Urss avviati da Michail Gorbačëv, ultimo segretario generale del Partito Comunista, stavano per trasformare l’Unione Sovietica in una confederazione di repubbliche sovrane, Russia compresa. La cerimonia di firma del protocollo della nuova unione di stati sovrani era prevista il 20 agosto 1991, ma un gruppo di alti funzionari sovietici, un giorno prima, cercò di fermare con la forza la decentralizzazione del potere in atto nel paese dei Soviet; il loro disperato tentativo di bloccare la trasformazione dell’Urss, al contrario, non fece altro che innescare un processo ancora più radicale: la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Ripercorriamo quei fatidici giorni di agosto insieme ai milioni di cittadini russi che, guidati da Boris El’cin, misero letteralmente i bastoni tra le ruote dei carri armati dei golpisti, decretando la fine del totalitarismo sovietico.
In Crimea da Gorbačëv
Il primo atto del putsch di agosto si consuma nella penisola di Crimea, dove Michail Gorbačëv era in vacanza con la famiglia. Il 18 agosto 1991, una delegazione di alti funzionari del Partito Comunista dell’Unione Sovietica parte in volo da Mosca verso la Crimea per comunicare al segretario generale dell’Urss la decisione di annullare la trasformazione in confederazione dell’Unione Sovietica e costringerlo ad accettare l’introduzione dello stato di emergenza nel paese. Gorbačëv si rifiuta di scendere a compromessi con i golpisti e da quel momento, e fino alla fine del putsch di agosto, sarà tagliato fuori dal mondo circostante.
Tutti i canali di comunicazione, compreso quello che garantisce la gestione delle forze nucleari strategiche dell’Urss, vengono interrotti. Con l’entrata in vigore dello stato di emergenza, la dača di Gorbačëv viene circondata da un reparto di truppe di frontiera del Kgb. L’unico strumento che permette al segretario generale del Partito dell’Unione Sovietica di seguire l’evolversi degli eventi a Mosca è un ricevitore radio della Sony che trasmette le notizie della Bbc.
Lo stato di emergenza
Tornati a Mosca con un pugno di mosche, i golpisti iniziano a preparare i documenti per il putsch di agosto. La giunta è composta dal vicepresidente Gennadij Janaev, dal primo ministro Valentin Pavlov, dal capo del Kgb Vladimir Krjučkov, dal capo del ministero dell’Interno Boris Pugo, dal ministro della Difesa Dmitrij Jazov e dal capo del Soviet supremo Anatolij Luk’janov. In serata, il vicepresidente Janaev si investe dei poteri presidenziali e introduce lo stato di emergenza a causa di una presunta “malattia” di Gorbačëv: vengono vietate le manifestazioni e gli scioperi; vengono sospesi tutti i partiti tranne quello comunista; viene introdotto il coprifuoco.
Il putsch di agosto è iniziato. Uno dei primi obiettivi della giunta golpista èl’arresto di Boris El’cin nella sua dača ad Archangel’sk. Il politico, che diventerà il leader della resistenza, è l’uomo più insidioso per i piani dei golpisti poiché è il primo presidente democraticamente eletto della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (Rsfsr) in seguito alla decisione di Gorbačëv di dare ai cittadini delle singole repubbliche dell’Urss la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e gode dell’appoggio del popolo russo. Per l’uccisione di El’cin, vengono scelti i migliori combattenti del Gruppo Alpha, un’unità d’élite del Kgb. El’cin, venuto a conoscenza dei piani dei golpisti, invita tutta la dirigenza della Rsfsr nella sua dača. All’appello rispondono il primo ministro della Rsfsr Silaev, il capo del Soviet Supremo della Rsfsr Chasbulatov, il sindaco di Leningrado Anatolij Sobčake i deputati del popolo. La dirigenza della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, evitando i combattenti del Gruppo Alpha, si dirige in macchina a tutta birra verso la Casa Bianca, sede del Soviet Supremo della Rsfsr, e si barricano al suo interno.
La resistenza
El’cin chiama il capo del Kgb e si rifiuta di riconoscere il “Comitato Statale per lo Stato di Emergenza”, ovvero la giunta che ha organizzato il putsch di agosto. Nel frattempo, su ordine del ministro della Difesa le truppe dell’esercito entrano a Mosca, occupano le principali infrastrutture e arterie stradali della capitale e si dirigono verso la Casa Bianca.
Migliaia di moscoviti, violando le disposizioni dello stato di emergenza e brandendo il tricolore russo, si riuniscono nei pressi del Cremlino e intorno alla Casa Bianca, dove allestiscono una cittadella fortificata. Vengono erette barricate e i passanti portano cibo, medicine e soldi ai difensori della Casa Bianca. In quella concitata mattina del 19 agosto, El’cin compie un gesto che passerà alla storia: si arrampica su un carro armato e da lì legge il decreto in cui dichiara illegale sul territorio russo la giunta golpista. La resistenza al putsch di agosto è iniziata.
Il blocco informativo
Altro obiettivo strategico dei golpisti è l’egemonia in campo informativo. Al capo della radiotelevisione sovietica viene dato il compito di far funzionare la macchina mediatica come nei giorni dei funerali dei personaggi di spicco del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Gli vengono anche consegnati i documenti firmati dalla giunta golpista da leggere a reti unificate a cadenza regolare fino alla revoca dello stato di emergenza. Il canale di opposizione Rossijskoe Televidenie (Televisione Russa) viene sospeso. Tutti i canali trasmettono solo le ultime notizie e musica sinfonica. Simbolo della censura mediatica del putsch di agosto diventa il lago dei cigni. Il famoso balletto musicato da Čajkovskij, nei giorni seguenti, viene trasmesso svariate volte in televisione.
Anche Echo Moskvy (L’eco di Mosca), altro mass media indipendente, viene messo a tacere. Solo i dipendenti di Interfaks riescono a barricarsi nell’ufficio dopo aver fatto scorta di cibo: sono gli unici che riceveranno informazioni dai propri corrispondenti e le trasmetteranno al mondo. La giunta golpista vieta anche tutti i giornali, tranne i nove più fedeli al Partito Comunista. I militari occupano il telegrafo centrale e a Mosca viene interrotta la linea interurbana e internazionale. Per opporsi alla crescente censura della giunta golpista, i politici arroccati nella Casa Bianca gettano dalle finestre interi pacchi di foglietti informativi su cui si fiondano i manifestanti per ricevere informazioni non censurate.
L’impotenza dei golpisti
Le dimensioni della resistenza al putsch di agosto aumentano di ora in ora. Dalla piazza del Maneggio, nei pressi del Cremlino,una fiumana di 80mila persone si dirige verso la Casa Bianca. Manifestazioni e marce di protesta si registrano anche in altri luoghi simbolo della capitale e a Leningrado. El’cin forma due governi di riserva: uno in esilio a Parigi e un altro a Sverdlovsk (oggi Ekaterinburg), sua città natale e a lui fedele. Il presidente della Rsfsr riesce a contattare Bush senior, tutti i leader del G7 e dell’Europa orientale che supportano Gorbačëv e non hanno intenzione di riconoscere il putsch di agosto.
Cominciano i primi distanziamenti negli organi del potere: il comitato per la supervisione costituzionale dell’Urss dichiara la giunta golpista illegale. I putschisti organizzano una conferenza stampa per autolegittimare la presa di potere, ma i giornalisti russi e stranieri mettono gli organizzatori del golpe faccia a faccia con l’incostituzionalità delle proprie azioni, paragonando la giunta di cospiratori al Cile di Pinochet. Su Mosca cala la notte. Circa 40mila manifestanti si accampano fuori dalla Casa Bianca e iniziano a formare squadre di autodifesa nell’attesa di un possibile attacco all’edificio. La mattina del 20 agosto i golpisti si riuniscono d’urgenza, riconoscono che lo stato di emergenza non viene rispettato e che la situazione gli è sfuggita di mano. Messi alle strette, decidono di passare all’uso della forza: per salvare il putsch di agosto viene preparato il piano di assalto alla Casa Bianca.
Attacco alla Casa Bianca
Sulla carta è tutto molto semplice: i carri armati creano dei passaggi attraverso le barricate, i soldati le sgomberano dai manifestanti, i paracadutisti rompono le porte e le finestre della Casa Bianca e il Gruppo Alpha neutralizza i leader della resistenza. Vengono calcolate circa mille vittime. La situazione, però, continua a sfuggire sempre di più al controllo dei golpisti. I ministri dell’Unione Sovietica, uno dopo l’altro, si distanziano dal putsch di agosto. I membri del consiglio di sicurezza annunciano che Gorbačëv è sano e che la giunta golpista è illegale. Il Komsomol e l’unione dei sindacati pretendono che venga escluso l’uso della forza e che venga data a Gorbačëv la possibilità di rivolgersi al popolo sovietico. Gli ufficiali del Gruppo Alpha si recano di persona nei pressi della Casa Bianca e restano sbigottiti dal numero e dalla tenacia dei difensori: lo spargimento di sangue sarebbe eccessivo, il Gruppo Alpha rischierebbe di perdere fino a metà dei suoi effettivi.
Nel frattempo, dalla Casa Bianca viene chiesto alle donne di abbandonare l’edificio e agli uomini vengono distribuiti fucili, giubbotti antiproiettile e caschetti. I difensori della Casa Bianca preparano anche bombe Molotov. La sera del 20 agosto la Casa Bianca è pronta a resistere all’assalto: l’edificio è difeso da tre linee circolari di barricate e migliaia di manifestanti. Tuttavia, l’operazione militare per salvare il putsch di agosto non inizierà mai. I combattenti del Gruppo Alpha si rifiutano di far partire l’assalto senza aver ricevuto l’ordine scritto. Purtroppo, però, lo spargimento di sangue non viene evitato. Nel tentativo di bloccare una colonna di mezzi corazzati guidati dal generale Surovikin, futuro comandante del raggruppamento meridionale di truppe russe in Ucraina, due civili vengono uccisi dai proiettili dei soldati, altri cinque restano feriti.
Il fallimento del putsch di agosto e la fine dell’Urss
Venuto a conoscenza del sangue versato e del mancato assalto alla Casa Bianca da parte delle unità del Kgb e del ministero dell’Interno, il ministro della Difesa Jazov, membro della giunta golpista, decide di fermare tutte le truppe dirette verso la Casa Bianca. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto, mentre i difensori della Casa Bianca sono ancora in attesa dell’assalto che non avverrà, i golpisti tentano invano di far cambiare idea al ministro della Difesa che, invece, propone alla giunta di volare in Crimea da Gorbačëv per rispondere delle proprie azioni. Alcuni golpisti volano in Crimea, ma Gorbačëv si rifiuta di riceverli.
Il segretario generale dell’Urss, una volta ripristinati i canali di comunicazione, chiama Mosca, annulla tutti i decreti della giunta golpista e licenzia i suoi membri.La Procura generale dell’Unione Sovietica apre un fascicolo per tentativo di colpo di stato ed emana ordini di arresto per i golpisti. A Sverdlovsk, Barnaul, Rostov sul Don, Leningrado e Kaliningrad hanno luogo manifestazioni contro il putsch di agosto. I media ritornano a funzionare normalmente: in tutta l’Unione Sovietica vengono mostrate le immagini delle barricate nel centro di Mosca e viene raccontato delle vittime tra i difensori della Casa Bianca. Gli aerei con a bordo Gorbačëv, la sua famiglia e i cospiratori atterrano a Mosca la notte del 21 agosto.
I golpisti vengono arrestati. Uno degli organizzatori del putsch di agosto, il ministro dell’Interno Pugo, si suicida in casa insieme alla moglie prima dell’arresto. La rabbia dei manifestanti, ormai per strada per il terzo giorno di fila, si incanala in piazza Lubjanka, dove si trova la sede del Kgb e la statua di Feliks Dzeržinskij (fondatore della Čeka, la polizia segreta sovietica e uno dei principali organizzatori del terrore rosso). La sua statua, con l’aiuto di mezzi messi a disposizioni dall’amministrazione comunale, viene rimossa.
Dopo Dzeržinskij, a cadere sarà l’Unione Sovietica stessa. I golpisti ottengono l’opposto di quanto si erano prefissi: gli eventi di quei giorni mostrano al mondo che una reale decentralizzazione del potere in Urss a favore delle singole repubbliche è impossibile. Il riconoscimento della sovranità non è più sufficiente. A golpe ancora in atto, l’Estonia annuncia l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Come un domino, nei giorni e nei mesi seguenti anche tutte le altre repubbliche sovietiche otterranno l’indipendenza dall’Urss.
Lo spunto per la stesura dell’articolo è stato preso dal canale Telegram in lingua russa Minuta v minutu che racconta, ripercorrendoli in ordine cronologico, gli eventi principali della storia russa e mondiale.