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Che ruolo svolgevano i fiumi nella Russia medievale, in particolare ai primordi della civiltà russa? Ce ne parla Davide Longo.
Esiste un protagonista comune a tutte le storie di sviluppo delle grandi civiltà, a partire da quelle indiana, cinese e mesopotamica, fino alle grandi società africane ed europee. Congo, Tigri, Eufrate, Reno, Nilo, Huáng Hé, Tevere, Indo: ogni volta – o quasi – che gli uomini hanno fondato una grande civiltà, sopravvissuta per secoli e millenni, lo hanno fatto sulle rive di un fiume.
Il motivo può apparire ovvio, naturalmente, e in parte lo è. Infatti, gli esseri umani hanno necessità di grandi quantità di acqua per garantire la propria sopravvivenza e quella di qualunque infrastruttura: bere, lavarsi, ma anche irrigare i campi e, forse in modo meno intuitivo per noi, organizzare i trasporti ed espandere la propria civiltà. Perché sì, i fiumi furono, e in parte sono ancora oggi, grandi autostrade che permettono la circolazione più o meno libera di uomini, merci e denaro.
Se andiamo a scavare alla ricerca delle origini della storia russa anche in questo specifico contesto troviamo come protagonisti i corsi d’acqua. Migliaia di fiumi innervano il territorio in cui si stanziarono gli slavi orientali, ossia l’area oggi rappresentata soprattutto da Ucraina, Belarus’ e Russia occidentale.
Fra questi è doveroso citare innanzitutto il Volga, un fiume immenso, lungo oltre 3.500 chilometri, con una larghezza massima di tre chilometri e che da solo collega ancora oggi il Mar Baltico a nord con il Mar Caspio e soprattutto, ancora più a sud, il Mar Nero. Ma non bisogna dimenticare il Dnepr (Dnipro per gli ucraini), che dall’altopiano del Valdaj, nell’attuale Russia, scorre fino ad attraversare gran parte del territorio bielorusso e ucraino fino a sfociare nel Mar Nero, fra Odessa e la Crimea.
Ciò che vogliamo provare a fare in questo articolo è raccontare proprio la storia di questi fiumi e degli uomini che hanno fondato attorno ad essi un insieme di popoli e culture che esiste e si trasforma da centinaia di anni.
Gli slavi e lo Stato delle Cento Città
Fra il VII e il IX secolo d.C. i territori delle attuali Russia occidentale, Ucraina e Belarus’ vennero investiti da un impressionante processo migratorio: gli slavi, una popolazione la cui etnogenesi non è chiara ma i cui antenati forse provenivano dai monti Urali, organizzati in piccoli gruppi iniziarono a colonizzare un territorio compreso fra il lago Ladoga a nord e il bacino del Dnepr a sud, per poi espandersi verso il bacino del Volga.
Come potete vedere, prendiamo fiumi e laghi per orientarci nel percorso della migrazione degli slavi perché questo popolo si spostò non solo seguendo il corso di tali fiumi, ma spesso sfruttandone la forza propulsiva, utilizzando zattere o barche per raggiungere luoghi lontani anche centinaia di chilometri e lì costruire i propri insediamenti.
Sia subito chiaro: sebbene gli slavi spesso colonizzarono zone scarsamente abitate, è anche vero che l’area nella quale si insediarono era in parte già occupata da popolazioni indoeuropee autoctone che presto vennero assimilate dai nuovi arrivati.
È anche importante capire come il territorio colonizzato dagli slavi fosse in realtà una fondamentale rotta commerciale sulla quale si muovevano mercanti di diversa etnia, dai bizantini fino agli uomini del nord, sia scandinavi che finnici e lituani, e perfino alcuni arabi, come testimonia la cronaca di Ahmed Ibn Fadlan scritta nel 922 per proporre al Califfo abbaside di Baghdad un resoconto della vita dei bulgari del Volga.
Intensi traffici e commerci si snodavano su una via fluviale e lacustre che attraversava da nord a sud l’intero territorio. Partendo da Costantinopoli, ricco e fiorente mercato, i commercianti trasportavano oro e manufatti di lusso lungo un sistema di canali che si snodava dal Mar Nero risalendo il corso del Dnepr, per poi giungere con un breve tragitto via terra al lago Il’men’, nell’attuale regione russa di Novgorod, e da lì risalire il fiume Volchov fino al lago Ladoga, per poi di nuovo percorrere a ritroso la Neva fino al Mar Baltico.
Allo stesso modo – e seguendo lo stesso percorso, ma al contrario – dalle terre settentrionali i mercanti trasportavano pellicce, cuoio, ambra, miele, cera, cereali e, naturalmente, schiavi provenienti alle popolazioni che vivevano attorno a quei fiumi e che venivano brutalmente catturati lungo il tragitto: per questo motivo, infatti, in diverse lingue europee la parola schiavo e la parola slavo sono quasi, se non del tutto, omofone.
Gli slavi, dunque, si stanziarono in una regione ricca di intensi scambi commerciali, fondando empori e luoghi di sosta dove i mercanti in viaggio potevano rifocillarsi e vendere parte della mercanzia.
Così ben presto molti di questi luoghi si trasformarono in città, tutte naturalmente nei pressi di un corso o di uno specchio d’acqua: dapprima Novgorod, sul lago Il’men’, e poi Pskov sul lago Peipus e, sempre nella stessa zona, anche la città di Izborsk, a pochi chilometri dall’attuale confine con l’Estonia; e poi anche Polozk, sulla Dvina occidentale, Smolensk, Kiev e Perejeslav sul Dnepr, Beloezero e Rjazan’ su due affluenti del Volga e così via, tanto che questi territori vennero chiamati lo “Stato delle cento città”.
Trovate qui una storia particolare concernente la tratta degli schiavi dal Caucaso all’Italia in epoca medievale.
L’arrivo dei germanico-scandinavi
Non furono però solo gli slavi a utilizzare i fiumi dell’Europa orientale – e non solo, come dimostra la conquista di Parigi – come vera e propria autostrada ante-litteram per articolare la propria espansione su un territorio estremamente vasto.
Attorno al X secolo, infatti, gruppi di scandinavi e germani iniziarono a spostarsi lungo le vie fluviali del Dnepr e del Volga per razziare le navi dei mercanti e attaccare gli insediamenti slavi, bruciandoli e facendo un ricco bottino sia per quanto riguarda merci e denaro, sia soprattutto attraverso la cattura di schiavi.
Non di rado in realtà questi stessi razziatori vichinghi, chiamati Variaghi dagli slavi, si trasformavano essi stessi in mercanti di schiavi dopo delle razzie particolarmente riuscite. In effetti, molto spesso scindere la figura dei saccheggiatori da quella dei mercanti risulta arduo se non, alle volte, impossibile. Alcuni di questi gruppi, addirittura, percorsero i grandi fiumi fino al Mar Nero e alla città di Costantinopoli, arrivando a mettersi al servizio dell’imperatore bizantino come corpo di guardie personali, la Guardia Variaga.
Inoltre, la situazione era già di per sé instabile, poiché gli insediamenti degli slavi che abbiamo appena citato, pur essendo fiorenti, erano l’uno indipendente dall’altro e spesso in lotta fra loro.
Per questo, secondo la Cronaca dei Tempi Passati, una fonte risalente all’XII secolo d.C., alcune di queste popolazioni slave inviarono una ambasceria presso i Variaghi che erano dediti da decenni a scorrerie lungo i fiumi percorsi da quegli stessi mercanti che avevano fatto ricche le città slave. Sempre secondo la Cronaca dei Tempi Passati l’ambasceria chiese ai capi dei Variaghi, chiamati anche Rus’, di diventare i nuovi governanti delle città slave.
Ancora oggi gli storici dibattono attorno a questi avvenimenti. Una corrente di studiosi, detta dei normannisti, prende per buone le affermazioni della Cronaca e sostiene l’origine germanico-normanna dello stato che si formò in quel momento, ossia la Rus’ di Kiev. Un’altra corrente, detta degli anti-normannisti e composta dai più accesi panslavisti, rifiuta la Cronaca come attendibile e postula una origine del tutto slava della Rus’.
La verità, probabilmente, sta nel mezzo delle due posizioni. È infatti probabile che le città slave diedero forma a una compagine statale prima dell’arrivo dei normanni, ma che i Variaghi abbiano avuto un ruolo nello sviluppo di quello stato è indubbio, tanto che la prima dinastia di governanti della Rus’ di Kiev, i Rjurikidi (dal leggendario principe variago Rjurik).
Ad ogni modo, sta di fatto che nella formazione e nello sviluppo della Rus’ di Kiev, il nuovo stato risultato dalla fusione molto rapida di una maggioranza slava e di una minoranza variaga-scandinava composta da circa cinquemila guerrieri, i fiumi ebbero di nuovo un ruolo centrale.
Se i primi sovrani Oleg e Igor (913-945) infatti combatterono spesso contro i potentati dei Khazari e dei Peceneghi del Mar Caspio e contro i Bulgari del Volga, la Rus’ di Kiev basò un settore predominante della propria economia proprio sul controllo dei traffici commerciali attivi sulle vie fluviali che la collegavano al mondo bizantino.
E proprio Costantinopoli fu un modello culturale fondamentale: attraverso le vie dell’acqua giunsero a Kiev, a Novgorod e nelle altre città dei Rus’ non solo i commercianti, ma anche i missionari del cristianesimo ortodosso, oramai sempre più in rotta con la Chiesa occidentale, che nel 988 riuscirono a battezzare il sovrano della Rus’ di Kiev, da allora ricordato come Vladimiro il Santo (980-1015).
In realtà le fonti dell’epoca parlano di due battesimi del sovrano, nei quali – ancora una volta – i fiumi ebbero un ruolo fondamentale. Il primo avvenne a Cherson di Crimea, nei pressi della moderna Sebastopoli, poiché Vladimiro, che era pagano – verosimilmente devoto a un sistema di divinità sincretico appartenenti al pantheon slavo e scandinavo – era in procinto di sposarsi con Anna, cristiana e sorella dell’Imperatore bizantino.
Vladimiro, probabilmente al fine più che altro di suggellare un accordo politico con l’Imperatore, acconsentì a farsi battezzare nella Čërnaja, il fiume che ancora oggi attraversa Sebastopoli. Il secondo battesimo, invece, avvenne proprio a Kiev, dove il Re si immerse simbolicamente nelle acque del Dnepr insieme a tutta la sua družina, ossia al suo corpo di guardie private, e a buona parte della popolazione della città.
La Neva, il lago Peipus e la Russia moderna
Oltre a essere, come abbiamo visto sin qui, uno degli elementi che favorirono lo straordinario sviluppo della Rus’ di Kiev come articolata compagine slavo-scandinava, i corsi d’acqua hanno a tutt’oggi un posto di primordine anche nella mitologia fondativa dello Stato russo.
Fra i tanti episodi che potremmo prendere in considerazione ci limiteremo qui a due avvenimenti che ebbero come protagonista il medesimo condottiero russo, Aleksandr Jaroslavič, principe di Novgorod, la propaggine più settentrionale della Rus’, posta nelle vicinanze del lago Il’men’, del fiume Neva e del lago Peipus, snodi nevralgici della via commerciale che connetteva la Rus’ al mondo bizantino.
Aleksandr Jaroslavič è in realtà conosciuto dai più con un nome differente: Aleksandr Nevskij, ossia “della Neva”. Le ragioni di questo particolare soprannome risultano chiare se messe in relazione con la battaglia della Neva del 1240, nella quale Aleksandr sconfisse e mise in fuga una forza di invasione svedese che, attraversata la Finlandia, si era accampata sul medio corso del fiume, invadendo la Rus’.
La battaglia costituisce ancora oggi un mito fondativo russo, e Aleksandr Jaroslavič Nevskij è visto come il difensore dei confini nazionali contro una forza di invasione straniera. Ma la presenza del fiume Neva in questa vicenda non è marginale, e non solo perché è all’origine del soprannome di uno dei più importanti eroi nazionali russi.
Gli svedesi, infatti, volevano attraversare proprio quel fiume per attaccare e conquistare Staraja Ladoga, un insediamento variago nei pressi del lago Ladoga e punta settentrionale estrema della via commerciale variago-greca, ossia quel sistema di vie fluviali che metteva in comunicazione il Mar Baltico con Costantinopoli. In fondo, dunque, uno dei miti fondativi dello Stato russo altro non è che la storia della difesa di una via commerciale fluviale.
Il secondo avvenimento che possiamo qui ricordare ha di nuovo come protagonista Aleksandr Nevskij: si tratta della battaglia del lago Peipus, conosciuta in Europa anche con il nome di battaglia del lago Čudskoe, nella quale i russi del principe di Novgorod sconfissero i Cavalieri Teutonici combattendo sulla superficie ghiacciata del lago. Anche in questo caso siamo in presenza di un evento che ha contribuito a formare l’immaginario nazionale russo.
Senza scomodare il film Aleksandr Nevskij del regista Sergej Ėjzenštejn, opera scritta e diretta secondo i canoni della propaganda staliniana, basti pensare che il condottiero di Novgorod ispirò ben tre onorificenze a lui intitolate: si tratta dell’Ordine Imperiale del Santo Beato Principe Aleksandr Nevskij, creato per decreto da Caterina I di Russia nel 1725 e abolito durante la Rivoluzione del 1917; l’ordine di Aleksandr Nevskij, voluto nel 1942 e assegnato durante tutta l’epoca sovietica; e l’attuale Ordine di Aleksandr Nevskij, omonimo del precedente ma fortemente voluto dal presidente russo Vladimir Putin nel 2010 in un’ottica propagandista.
Insomma, risulta chiaro che i fiumi furono, in un certo qual senso, alla base dello sviluppo della storia dell’Europa orientale. Commercianti, razziatori, mercanti di schiavi, e poi ancora le grandi battaglie che hanno formato l’immaginario collettivo del popolo russo: è evidente che alla base dello sviluppo di una intera area dell’Europa, un’area che forse troppo spesso a torto è considerata ai margini della nostra storia collettiva come continente, vi fu una immensa quanto vitale rete di corsi d’acqua.
Un insieme di fiumi e laghi che, dalla diffusione dei popoli slavi in un immenso territorio alle vicende che videro protagonisti i Variaghi, e che dalle battaglie combattute da Aleksandr Nevskij alle più tristi vicende della guerra fra Russia e Ucraina, ha continuato nel corso dei secoli ad innervare il suolo di una così grande porzione d’Europa e a condizionarne e plasmarne cultura, società, politica e storia.
Nato nel 1992, vive e lavora a Varese. Laureato in Scienze Storiche all’Università degli Studi di Milano, ha studiato lingua e cultura cinese e trascorso un periodo di studio all’Università di HangZhou, Zhejiang, Repubblica Popolare Cinese. Oggi è docente di lettere nella scuola secondaria. Appassionato di storia e politica sia dell’Estremo Oriente, sia dei Paesi dell’ex blocco orientale, ha scritto per The Vision e Il Caffé Geopolitico ed è autore di due romanzi noir: Il corpo del gatto (Leucotea, 2017) e Un nido di vespe (Fratelli Frilli, 2019). È redattore di Scacchiere Storico, associazione di ricerca e divulgazione storica nata nel 2020.