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Il 19 settembre, l’Azerbaigian ha attaccato l’area del Nagorno-Karabakh, sotto il controllo armeno. L’offensiva si è conclusa nel giro di 24 ore con la capitolazione della repubblica separatista, mettendo fine alla storia del Nagorno-Karabakh come stato de facto indipendente (tale entità cesserà ufficialmente di esistere a fine anno). Per circa 120mila persone è iniziato un esodo di massa verso l’Armenia. Come sta reagendo l’Armenia agli eventi in Nagorno-Karabakh? Quali sono le prospettive future del paese? Ne abbiamo parlato a Erevan con Arshaluys Mghdesyan, commentatore politico presso la testata armena CivilNet Online TV.
Arshaluys Mghdesyan, come si vive l’attuale situazione in Nagorno-Karabakh, a Erevan e in Armenia, rispetto per esempio, alla guerra e alla sconfitta del 2020? Dall’esterno è emerso fin dalle prime ore dell’offensiva azera del 19 settembre un certo clima di rassegnazione. Si tratta di una percezione corretta?
È una domanda difficile. Ho l’impressione che non abbiamo capito fino in fondo che cosa è successo nel 2020, che tipo di sconfitta è stata, quali erano gli obiettivi reali dell’Azerbaigian e con quali metodi Baku voleva raggiungerli.
Abbiamo interpretato la sconfitta e lo status quo post bellico come un qualcosa di stabile. Pensavamo che l’esercito russo sarebbe rimasto in Nagorno-Karabakh a lungo termine.
Con queste idee qui si faceva la politica. La politica era basata sulla condizione dell’Armenia post bellica. L’esercito in cattive condizioni, la crisi politica interna e le elezioni del 2021. Per almeno sei mesi dopo la guerra, l’Armenia ha vissuto una crisi interna. Sono seguite una riforma difficoltosa dell’esercito e la guerra in Ucraina che ne hanno modificato lo status quo.
Ci siamo trovati in un ambiente in continuo cambiamento che pensavamo sarebbe stato stabile, ma non siamo riusciti o non abbiamo fatto in tempo ad adattarci. E il risultato è stato questo.
In Armenia c’è delusione nei confronti della Russia?
In Armenia c’è delusione, un’enorme delusione. Ma nel paese c’erano anche aspettative irrealistiche. Già durante il conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 ci si poteva accorgere che la Russia non si è mai pronunciata sulle conseguenze di un eventuale attacco ai confini dell’Armenia, che avrebbe costituito una violazione inaccettabile.
Si sarebbe dovuto capire che la regione stava cambiando e la Russia avrebbe potuto fare i propri interessi. Per questo, sì, c’è delusione.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti possono influenzare la situazione?
Noi armeni cerchiamo sempre una bacchetta magica che possa aiutarci nel momento del bisogno. Ma la salvezza di chi sta affondando è in primo luogo responsabilità di chi sta affondando. Non ci saranno salvatori.
In questo senso, possiamo dire che le grandi potenze agiscono come delle divinità. Possono fornire qualche tipo di assistenza diplomatica, ma ho forti dubbi sul fatto che possano prendere misure drastiche nei confronti dell’Azerbaigian o che decidano di supportare in modo risoluto l’Armenia.
Non siamo riusciti a realizzare quello che volevamo con la Russia e non ci riusciremo con gli Stati Uniti o l’Unione Europea.
Un esempio recente: la rappresentante del Congresso americano Samantha Power, che adesso è a Erevan, in passato aveva dichiarato che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato un’altra guerra contro il Nagorno-Karabakh. Abbiamo visto, invece, che l’hanno tranquillamente tollerata. Dichiarano che in qualche modo bisogna reagire, ma non menzionano il come.
Qui non si decide il destino del mondo, si decide in Ucraina. Per quello là c’è un conflitto così duro con la Russia. Quello che succede qui, per fortuna o sfortuna che sia, non è considerato importante.
Quindi non riceveremo garanzie di sicurezza dall’Europa.
La questione del Nagorno-Karabakh è stata discussa tre volte al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, eppure non c’è stata una singola dichiarazione degli Stati al riguardo di possibili sanzioni.
In Armenia si teme che il conflitto possa estendersi al sud dell’Armenia?
Penso che sia il problema più attuale in questo momento. Attaccare territori internazionalmente riconosciuti dell’Armenia sarebbe più complesso. Ma nel mondo ci sono tanti stati il cui essere riconosciuto non ha aiutato. Dalla Siria, all’Ucraina.
Turchia e Azerbaigian troveranno tutti i mezzi possibili per sollevare la questione relativa alla strada che passa attraverso la provincia del Syunik (che loro chiamano corridoio di Zangezur). Proveranno a forzare la mano per vie diplomatiche o attraverso azioni militari, quali esercitazioni e altri tipi di manovre nei pressi del confine.
La provincia armena del Syunik, al confine con l’Iran, divide l’Azerbaigian dall’exclave del Nachicevan. Già da tempo Azerbaigian e Turchia spingono affinché si apra un corridoio di trasporto corridoio extraterritoriale attraverso l’Armenia. Il corridoio tra Azerbaigian e Nachicevan era menzionato anche nell’accordo di cessate il fuoco che mise fine alla guerra del 2020.
Osserveremo la situazione. Adesso è difficile dire cosa succederà, ma non è da escludere la possibilità che possano risolvere la questione militarmente.
L’Iran e i paesi occidentali potrebbero aiutarci a evitare uno scenario di questo genere. Su questo tema, Teheran e Occidente hanno posizioni simili. Il corridoio è necessario militarmente e politicamente, in primo luogo, ad Azerbaigian e Turchia.
La strada e, in particolare, un corridoio extraterritoriale sarebbero utili anche alla Russia. Dal momento che l’accordo di pace del 2020 prevedeva che tale via di comunicazione fosse pattugliata da guardie di frontiera russe, questo consentirebbe a Mosca di rimanere nella regione.
L’Iran teme di perdere il suo confine con l’Armenia venendosi circondato da paesi non amichevoli. L’anno scorso il paese ha aperto un consolato a Kapan, in Armenia meridionale, e le autorità del paese hanno più volte dichiarato che la sicurezza dell’Armenia coincide con la sicurezza dell’Iran.
Non bisogna però fidarsi troppo. Azerbaigian e Turchia potrebbero offrire qualcosa all’Iran inducendolo a cambiare idea.
Spostandoci alla situazione politica interna all’Armenia. Il primo ministro Nikol Pashinyan rimarrà al potere?
Per il momento sì. In questo periodo stanno venendo meno molti dei preconcetti che avevamo prima della guerra del 2020, quando pensavamo che se un leader armeno avesse perso il Nagorno-Karabakh o qualche altro territorio non sarebbe rimasto al potere.
Nonostante la sconfitta militare del 2020, Pashinyan è rimasto ed è anche stato rieletto democraticamente nel 2021. Adesso che abbiamo perso il Nagorno-Karabakh, il governo non è caduto.
Questo dimostra che il tema del Nagorno-Karabakh non è influente sulla politica interna quanto lo era negli anni Novanta, periodo in cui era un tema sacro, che non si poteva toccare e decideva il destino di chi era al potere.
Non è più così. La percezione del tema del Nagorno-Karabakh è cambiata nella società armena.
Le persone pensano che sia una questione chiusa, che fosse solo parte di una narrazione propagandistica.
Gli armeni riflettono sul fatto che con il Nagorno-Karabakh si giustificava la corruzione in Armenia. Si facevano discorsi del tipo: va bene, possiamo avere strade in pessimo stato perché spendiamo i soldi per difendere il Nagorno-Karabakh. Le persone accettavano di vivere male e di mandare i propri figli a fare il servizio militare in Nagorno-Karabakh, mentre i politici vivevano nel lusso.
Tutto questo è durato a lungo. L’insoddisfazione si accumulava e si metteva a tacere con il discorso propagandistico. Il primo allarme è stata la guerra del 2016, quando si è capito che non tutto andava bene. Che c’era del marcio in Danimarca. Sono emersi molti dubbi sull’esercito, sul fatto che non fosse ben fornito nonostante tutti i sacrifici.
Arriviamo al 2020. Dopo la sconfitta, le autorità armene hanno iniziato a dire che avrebbero sostenuto il Nagorno-Karabakh, ma non a costo di sacrifici e debiti.
Ecco, in questo modo il tema ha perso di attualità agli occhi della società armena e questi sono i risultati. Anche se molti esponenti dell’opposizione non lo hanno ancora capito.
A livello aneddotico, girando per Erevan ho parlato con tante persone con parenti in Nagorno-Karabakh. Statisticamente la maggior parte degli armeni ha contatti personali in Artsakh? Quanto è importante il Nagorno-Karabakh per il cittadino armeno medio?
È indubbiamente importante. Sul tema del Nagorno-Karabakh è nata l’Armenia post-sovietica e ci sono davvero molte persone con parenti nella regione. Ma la sacralizzazione del Nagorno-Karabakh ha portato al fatto che toccare il tema non era possibile. Una discussione normale sulla regione non era possibile. Era una competenza esclusiva dell’élite. E quelle élite hanno rafforzato il proprio potere in tutti i modi, utilizzando proprio il tema del Nagorno-Karabakh.
Ma adesso andare allo scontro su questo tema è una follia. Capisco chi dice che bisognava difendere il Nagorno-Karabakh. Ma il governo ha agito capendo che, se Erevan avesse interferito, questo avrebbe costituito per Baku la giustificazione per attaccare l’Armenia.
Ci sono diverse piccole proteste a Erevan. Le opposizioni sono unite?
Si osservano due dinamiche. Da una parte le proteste dell’opposizione parlamentare che vogliono che Pashinyan si dimetta. Dall’altra i nazionalisti che sono pochi e marginali, ma molto rumorosi.
Prosegue l’esodo della popolazione armena del Nagorno-Karabakh verso l’Armenia. Per informazioni su come aiutare queste persone visitate questa pagina.
Intervista di Martina Napolitano, ha contribuito Aleksej Tilman
Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.