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“Brutalizam”, una mostra su spomenik e brutalismo. Intervista a Gimo

Gimo è un progetto artistico realizzato da Giuseppe Modica, già autore di Blokada, il podcast che racconta l’assedio di Sarajevo. Ma forse sarebbe meglio dire che Gimo è uno pseudonimo, o forse ancora di più: un alter ego. Gimo è appena arrivato, ma ci porta subito in dono qualcosa, ovvero “Brutalizam”, un’esposizione inaugurata sabato 16 settembre che sarà visitabile al B.eat di via Torino 63 a Bruino (TO) tutte le sere, dal mercoledì alla domenica, fino al 18 novembre 2023.

“Brutalizam” sarà composta da otto tavole dedicate agli spomenik, i monumenti costruiti nel corso della seconda metà del Novecento nell’allora Jugoslavia per onorare la lotta di liberazione dal
nazifascismo; nove tavole rappresentano altrettanti esempi di architettura brutalista o razionalista europea, civile e industriale, da Barcellona a Skopje; e infine le rimanenti quattro tavole sono un omaggio alla scuola d’arte e di design tedesca Bauhaus, aperta nel 1919 a Weimar e di cui quest’anno ricorrono i 90 anni dalla chiusura.

Se ti interessa l’argomento leggi anche Bogdan Bogdanović, sindaco di Belgrado, architetto visionario, jugoslavo.

Per approfondire meglio il progetto, abbiamo pensato di fare qualche domanda direttamente a Giuseppe Modica, o meglio, a Gimo.

Come nasce l’idea di questa mostra?

Ho sempre inteso “Brutalizam” come un cantiere aperto a tempo indeterminato da arricchire via via, approfittando dei momenti creativi più ispirati. Quando ho iniziato a lavorarci, una mostra non solo non era in programma, non era neanche nei miei pensieri. Un giorno accade che parlo del mio progetto perpetuo a una pittrice, Adriana Maffia, in arte Nice, che è anche la direttrice artistica del B.eat di Bruino, il locale che poi ospiterà la mia personale fino al 18 novembre. Adriana si dimostra subito entusiasta e mi chiede di poter vedere qualcosa.

Brutalizam - Gimo

Così programmiamo un incontro e Nice rimane colpita dai soggetti al centro dei miei lavori, dalla loro forza evocativa, dal mio servirmi tanto di strumenti digitali, quanto delle mie mani. Adriana ha colto al volo l’anima delle mie opere: la destrutturazione della realtà che finisce col trascendere in una visione surreale. Ha capito che stavo immortalando momenti di vita vissuta, emozioni provate dal vivo – in un luogo e in un tempo preciso – in maniera talmente intensa da avere eternato nella mia testa quell’esperienza in un non tempo e in un non luogo. 

Adriana è riuscita a vedere un progetto definito, un ciclo e la possibilità di una narrazione condivisibile con un pubblico. Così mi ha proposto di esporre. Perché in un locale? C’è una ragione precisa anche per questo e c’entra il Bauhaus, a cui quattro delle tavole in mostra sono ispirate. Su una di esse spiccava in bella evidenza il motto della scuola Bauhaus:

Le necessità del popolo invece che il bisogno del lusso.

Adriana ed io abbiamo fatto una riflessione: così come il design Bauhaus tendeva a rivolgersi concretamente verso i bisogni delle persone, entrando nella loro vita quotidiana, la mia mostra si sarebbe dovuta tenere in un luogo in cui quelle quotidianità si consumano. A questo punto, un locale in cui scorrono, informali, le serate e le vite di tante persone ci è sembrata la location perfetta.

Come hai scelto i soggetti da raffigurare?

Gimo è più di uno pseudonimo: è un alieno, arriva da un universo parallelo, è il mio alter ego. Vive solo d’emozioni e di scelte istintive che non conoscono le mediazioni del calcolo e dell’opportunità. Credo che questa premessa risponda già alla domanda. Gimo, infatti, ha scelto proprio quei soggetti perché gli hanno parlato, lo hanno emozionato, hanno rappresentato un affetto. 

“Brutalizam” è articolato in tre segmenti: uno dedicato agli spomenici, un altro alle strutture brutaliste, ma anche razionaliste e funzionaliste, un terzo segmento è un omaggio al Bauhaus. Ci sono due fili rossi che collegano questi tre segmenti. Il primo è puramente estetico e lega la purezza della forma e l’evidenza della funzione delle creazioni Bauhaus all’essenzialità dei profili brutalisti e alle astrazioni geometriche minimaliste degli spomenici. Nella mia testa questi elementi sono diventati un unicum estetico e narrativo.

Il secondo filo rosso è emotivo: come accennavo poco fa, ogniqualvolta mi sia trovato, dal vivo, di fronte a uno dei soggetti che poi ho rappresentato nelle mie tavole, ne sono rimasto scosso emotivamente. Mentre osservavo la realtà, la potenza dell’immagine mi scaraventava su un piano iper-reale in cui ciò che stavo guardando sembrava trascendere in una visione, in un sogno, in una premonizione. Quest’esperienza è precisamente ciò che ho tentato di riprodurre sulle tavole di Brutalizam, ma è anche il principio di scelta che ho utilizzato per selezionare i soggetti da raffigurare.

Brutalizam - Gimo
Puoi parlarci della tecnica che utilizzi?

Nelle mie intenzioni c’era di voler stabilire un parallelo tra me e alcune dinamiche che, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, hanno regolato il rapporto tra il brutalismo e le precedenti tendenze architettoniche. Desideravo trovare un modo per ancorare il mio processo creativo alla nascita e affermazione del brutalismo. Da questa intenzione discende la scelta del forex su cui stampare e poi intervenire a mano. Così come, generalizzando, il brutalismo impose un downgrade dal marmo al cemento, io, per il mio progetto artistico, ho effettuato un downgrade dal supporto più nobile per un pittore, la tela, alla tavola di forex. 

Così come, sempre effettuando una generalizzazione, il brutalismo ha rappresentato un ribaltamento rispetto agli approcci decorativi delle tendenze costruttive precedenti, ho voluto capovolgere il primato del pennello e ho introdotto la grafica digitale come base su cui poi fare lavorare le mani. “Brutalizam”, quindi, è il risultato di una stratificazione di tecniche, di processi di costruzione, di contaminazioni uomo-macchina: dal pixel su schermo all’acquisizione digitale del disegno, dall’editing grafico che addomestica il tratto della mano all’inchiostro di china che assoggetta il toner per stampa. 

Parliamo di spomenik. Raccontaci la tua esperienza di fronte a questi “sogni di cemento”.

Lo spomenik per me rappresenta la Jugoslavia o, meglio, il mio rapporto appassionato con un soggetto che è un po’ Jugoslavia e un po’ ex Jugoslavia, quindi in parte passato e in parte presente e futuro. Vedo gli spomenici come macchine del tempo. Da un lato, erano monumenti costruiti per guardare al passato: per commemorare battaglie e protagonisti della guerra di liberazione dal nazifascismo. Da un altro lato, erano proiettati nel futuro, perché dovevano anche veicolare l’idea di un nuovo domani per una nazione che, proprio nei tre decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, si stava strutturando sulla base di un progetto sociale e politico inedito fino ad allora. 

Oggi, questa funzione di macchina del tempo non è andata persa con la disintegrazione della Jugoslavia: ogni spomenik ci fa viaggiare in un passato jugoslavo unitario, ma anche in un presente post jugoslavo frammentato, facendoci rivolgere gli occhi al cielo a cui domandare quale sarà il futuro. 

Gli spomenici sono, dunque, anche dei media: lanciano messaggi in maniera perentoria. Nella realizzazione delle mie tavole, ho voluto porre l’accento proprio su questa funzione di media: ogni spomenik sulle tavole in esposizione veicola un flusso di comunicazione, attraverso un codice disegnato con inchiostro di china. È una lingua antichissima o proveniente da altri mondi o, forse, da un lontano futuro.

Brutalizam - Gimo

Gli spomenici sono simboli potenti ancora oggi. Mi affascinano, mi stregano, mi rapiscono, mi fanno diventare alieno, mi trasformano in Gimo e allora, quando mi trovo al loro cospetto, il reale si scioglie e diventa una visione, a tratti malinconica. 

Perché a tuo avviso, oggi, dopo un trentennale disprezzo per gli edifici brutalisti, questi sono tornati ad essere apprezzati?

Azzardo e, tra il serio e il faceto, ti rispondo con una citazione tratta da Live in Punkow dei CCCP:

Voglio rifugiarmi sotto il Patto di Varsavia.

Voglio un piano quinquennale, la stabilità.

Mi spiego meglio: viviamo un’epoca di forte instabilità, di precarizzazione a tutti i livelli: dalla precarietà individuale a quella nazionale. La guerra morde vicino casa, l’economia soffre, i prezzi schizzano alle stelle, la capacità di acquisto crolla, il morale è fiaccato. Alcuni di questi fenomeni attengono all’oggi, altri sono in corso già da qualche anno. Probabilmente, in momenti come questo, la stabilità diventa tanto desiderabile e lontana da farci guardare con interesse e malinconia alle monolitiche linee architettoniche brutaliste che raccontano, invece, di un’epoca di crescita, di sviluppo, di solidità. 

Mi rendo conto che questa è una risposta troppo cerebrale e azzardata, allora te ne do un’altra. Superficiale, ma non meno azzardata: le strutture brutaliste tornano ad essere apprezzate perché sono belle e instagrammabili! Viene da sorridere, ma che il rinnovato interesse nei confronti del brutalismo molto spesso viaggi a bordo di progetti sviluppati sui social media è un fatto. Io stesso ne sono molto attratto. Ci sono in giro, per le reti social, foto molto suggestive ed evocative il cui fascino dipende solamente dalle linee brutaliste immortalate e dalla bravura del fotografo, naturalmente.

Chissà, forse c’è del vero in entrambe le risposte. Aggiungo che, come ci ricorda Giambattista Vico, la storia è fatta di corsi e di ricorsi. Se è così, allora la riscoperta del passato è fenomeno umano e naturale. Starà accadendo proprio questo al brutalismo? Voglio chiudere, lasciando l’interrogativo aperto per stimolare nuove risposte.

Gimo ha iniziato con la mostra “Brutalizam”. Che cosa vedi nel suo futuro?

Il futuro è già cominciato qualche giorno fa, quando ho deciso di aprire a Gimo un piccolo shop online in cui sarà possibile acquistare una versione “solo grafica” (priva di interventi a mano) delle tavole che compongono attualmente Brutalizam.

Come dicevo in apertura di questa intervista, “Brutalizam” è un cantiere permanente e Gimo è il capomastro. Qualche anno fa, Gianni Maroccolo, bassista che ha fatto la storia della musica contemporanea in Italia, ha inaugurato un progetto musicale che s’intitola Alone. Un album perpetuo, non una singola release, ma una serie di uscite, una dopo l’altra, per sempre. Ecco, è precisamente questo che ho in mente per Brutalizam: un cantiere artistico permanente in cui aggiungere, via via, opere. Auspico che possa diventare anche condiviso e interdisciplinare: un cantiere aperto a più artisti e a diverse arti che possa dar vita a un’esperienza multisensoriale. Così che Brutalizam possa essere, sì, guardato, ma, per esempio, anche ascoltato o toccato.

Seguendo il profilo Instagram di Gimo, sarà possibile scoprire le svolte, le condivisioni e gli sviluppi di “Brutalizam”. “The future is unwritten”, come diceva Joe Strummer. Quindi possiamo scriverlo insieme. 

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Gianni Galleri
Gianni Galleri

Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.