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Anche quest’anno Miraggi Edizioni si riconferma la principale casa editrice italiana che si occupa di diffondere la letteratura ceca nel contesto culturale italiano. La collana NováVlna di Miraggi Edizioni, di cui è curatore Alessandro De Vito, si è arricchita di tre nuovi romanzi arrivando così al suo diciottesimo volume. Si tratta di tre opere che, per ragioni sia stilistiche che temporali, costituiscono tre tasselli eterogenei della sempre più intensa ricezione della letteratura ceca in Italia. Diffusione che, tuttavia, presenta ancora dei problemi nella risposta delle lettrici e dei lettori.
Condivisibili, a tal proposito, sono le parole di Alessandro Catalano nel suo articolo apparso nel febbraio di quest’anno, Křehký úspěch současné české literatury v Itálii (Il fragile successo della letteratura ceca contemporanea in Italia), in cui egli osservava come l’accrescersi dell’interesse per questa letteratura “altra” sia contrabbilanciato da quella che sembra essere la mancanza di un solido “marchio di marketing”.
Tuttavia, un dato che resta rilevante è il numero di scrittrici ceche tradotte in italiano. Come sottolineavo già nel maggio del 2021 in una retrospettiva che conteneva anche un’intervista con Laura Angeloni e lo stesso De Vito, parte di questo merito è proprio da attribuire al lavoro editoriale di Miraggi.
Dopo l’uscita di Dove è passato l’angelo (Kudy šel anděl) di Jan Balabán a febbraio, quest’autunno Miraggi Edizioni ha portato nelle librerie italiane due nuovi libri che confermano l’attenzione per opere che caratterizzano momenti diversi della letteratura ceca.
Proprio questa eterogeneità è forse uno dei punti di forza della casa editrice.
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Un romanzo figlio del suo tempo: Gli invincibili 11 di papà Klapzuba di Eduard Bass
A giugno 2023 è uscito il romanzo Gli invincibili 11 di papà Klapzuba (Klapzubova jedenáctka) di Eduard Bass. L’edizione è arricchita da numerose e meravigliose tavole che portano la firma dell’artista Josef Čapek, fratello di Karel Čapek, universalmente conosciuto come l’autore di R.U.R..
La traduzione, ad opera di Andreas Pieralli, è correlata anche di diverse note che aiutano il lettore italiano a farsi strada attraverso riferimento storici e letterari che oggi possono apparire di difficile comprensione.
Questa difficoltà è dovuta a due motivi. Il primo corrisponde al fatto che la distanza geografica tra il contesto italiano e quello ceco (allora Cecoslovacchia) degli anni di Eduard Bass era molto più evidente rispetto a quello odierno. Se oggi nell’immaginario del lettore italiano esiste una rappresentazione (almeno) di Praga, spesso filtrata dalla rappresentazione “magica” ripelliniana, lo stesso discorso non vale per il modo in cui la capitale appariva negli anni Venti e Trenta.
Un altro aspetto che contribuisce a questa incomprensibilità è dovuto a questioni temporali, proprio perché Gli invincibili 11 di papà Klapzuba uscì per la prima volta nel 1922. Risulta facile definire l’opera impiegando il suo sottotitolo “una storia per grandi e piccini”. È proprio questa dicotomia, affatto strana nei contesti letterari di lingua slava, a rendere il romanzo interessante. Da un lato lo si può identificare come un classico della letteratura per ragazzi, uno di quei libri che tutte le famiglie ceche hanno riposto in qualche scaffale. Volendo cercare un paragone che azzecchi, si potrebbe citare I ragazzi della via Pál dell’ungherese Ferenc Molnár. D’altra parte, si tratta di un romanzo permeato di un’ironia profondamente ceca, che contraddistingue anche opere iconiche, come Il buon soldato Švejk di Jaroslav Hašek.
La trama è semplice, si parla di una squadra di giocatori che sin da piccoli vengono allenati dal padre Klapzuba, deciso a farne dei campioni di fama internazionale. Tutte le mattine i ragazzi si svegliano e sono sottoposti ad allenamenti durissimi. Tuttavia, questo sforzo verrà ripagato sin dal loro debutto, quando gli undici iniziano a vincere inarrestabili ogni partita. Il successo è talmente dirompente che sognare il grande stadio dello Slavia di Praga si rivela un desiderio da poco, un traguardo facile da raggiungere. Dopo aver vinto il campionato del paese, iniziano a uscire dalla giovane Cecoslovacchia e, attraverso trasferte in luoghi lontani e ed esotici, i giovani calciatori cechi iniziano a scoprire il mondo e diventare famosi a livello mondiale. In questa favola calcistica, tuttavia, non mancano di certo le difficoltà, come quelle portate dalla prima sconfitta.
Sebbene la storia imbastita da Bass abbia dell’incredibile, l’autore decide comunque di dipingere i suoi personaggi con realismo e di non rinunciare alla loro componente emotiva, alla loro umanità. Il finale tragicomico accentua proprio l’ironia e chiude con note leggere una vicenda altrettanto piacevole.
Chi era Eduard Bass?
Per cercare di scavare ne Gli invincibili 11 di papà Klapzuba e di estrapolarvi un’interpretazione ulteriore è però necessario evidenziare alcune informazioni relative al suo autore, Eduard Bass (1888-1946).
Nato Eduard Schmidt, fu una figura molto importante nel contesto intellettuale ceco delle prime due repubbliche. Assiduo frequentatore dei cabaret e autore di testi per gli spettacoli cabarettistici, l’aspetto più interessante dell’attività di Bass è forse da ricercarsi nel suo impegno giornalistico. Difatti, egli fu un importante collaboratore di testate di spicco e, nel 1933, divenne anche caporedattore di uno dei giornali più importanti dell’epoca Lidové noviny (attivo ancora oggi, sebbene con un’impostazione completamente diversa).
Bass era dunque un intellettuale che conosceva molto bene lo spazio politico-culturale entro cui si muoveva e che aveva una visione precisa del suo tempo. Il romanzo rispecchia allora il contesto in cui è ambientato, ovvero quello di un giovane paese democratico che aveva il desiderio di aprirsi all’estero. Non è un caso che proprio il sentimento di internazionalismo fosse tra i tratti caratteristici della politica del primo presidente Tomáš Masaryk, ovvero la preoccupazione di capire che ruolo la Cecoslovacchia potesse ricoprire in una Europa profondamente cambiata a seguito vicissitudini della Grande Guerra.
Seguendo e interpretando il racconto degli undici come una metafora della politica della Prima Repubblica, è possibile cogliere nel finale una sorta di critica ironica che rasenta il satirico. La possibilità di un fallimento delle nuove politiche non abbandonava nemmeno gli intellettuali più engagé e coinvolti nella nuova politica masarykiana.
La sua autrice è tutt’altro che sconosciuta nel contesto italiano. Richterová è una delle scrittrici e critiche più significative della letteratura ceca contemporanea. Nata a Brno, si trasferisce a Praga per completare gli studi, inserendosi all’interno dell’ambiente letterario e culturale della capitale. Dopo la fine della Primavera di Praga, che coincide con l’invasione nell’agosto del 1968 da parte delle truppe del Patto di Varsavia, Richterová emigra in Italia. Nella vita e nell’opera di Richterová, dunque, la patria d’adozione e quella d’origine costituiscono due poli in continua interazione e tensione. Nella premessa all’edizione italiana di Topografia (Místopis) del 2021 ella scrive:
Vivo in Italia da mezzo secolo esatto. Tuttavia, non ho mai abbandonato il mio paese natio, malgrado la maligna divisione dell’Europa in due blocchi, che considero una lobotomia non ancora sanata dalla grande cultura europea.
Il secondo addio venne concluso da Richterová nel gennaio del 1994, a Roma. Il lettore abituato alla sua scrittura può facilmente riconoscere nell’opera caratteristiche e temi già presenti altrove.
Da un punto di vista stilistico, il romanzo è caratterizzato dall’assenza di un tessuto narrativo coeso. La lettura non crea un percorso lineare, ma si annoda in un accavallarsi di tempi, luoghi e personaggi. Persino il narratore cambia di continuo voce e prospettiva. In questo modo , si crea una sorta di “polifonia narrativa”. Richterová gioca con la struttura tradizionale del romanzo, in modo analogo a quanto fatto in Topografia, dove l’opera assume le sembianze di un arcipelago di avvenimenti.
Le vicende dei personaggi vengono anche talora interrotte da riflessioni sul romanzo e sulla relazione che incorre tra questo e l’esistenza:
Il libro comincia e finisce come la nostra vita. Il libro non comincia mai, e mai finisce. Come la nostra vita. […] Le parole cambiano di significato come i nostri atti, che anche loro cambiano di significato nel tempo e alla luce dell’esperienza
Tuttavia, la scrittura non si identifica come un mero esercizio estetico, ma diventa un mezzo attraverso cui attuare una riflessione intorno a temi che confluiscono nel grande bacino dell’esistenza. L’autrice indaga le dinamiche della comunicazione e, per contro, mostra come l’uomo incorre in situazioni di incomunicabilità. Questa incomunicabilità sfocia in un ostacolo più ampio, quello dell’incomprensione. Quest’ultima si manifesta sia tra individui che tra ogni singolo individuo e il mondo circostante.
Un altro tema, come si ritrova anch’esso in altri scritti dell’autrice, è quello del ritorno a casa e della sua impossibilità. Ciò diviene chiaro sin dalle prime pagine in cui la dimensione famigliare “idilliaca” viene spezzata da un’anticipazione: “la casa preso andrà a fuoco”. Se Milan Kundera definiva Topografia una “casa senza porte”, si potrebbe definire Il secondo addio una casa di cui rimangono solo i calcinacci.
Inoltre, la dimensione personale viene delineata come inevitabilmente permeata da quella storica. La Storia proietta la sua instabilità e la sua tragicità sul singolo. Emerge lo sfondo di un’Europa distrutta dai regimi del secondo dopoguerra, dall’occupazione della Cecoslovacchia successiva al 1968. Non è un caso che nell’introduzione l’autrice decida di raccontare la genesi del romanzo:
Ho scritto Il secondo addio mentre nel mio paese di nascita, chiamata allora Cecoslovacchia, si stava concludendo la lunga e dura epoca del comunismo.
Il romanzo è un vero e proprio tentativo di mostrare come il ritorno alla patria e la rinascita di mondo non più in declino sia un desiderio utopico. Lo scorrere del tempo non può essere più compreso in nessun modo se non alla luce delle categorie dell’assurdo. Non esiste linearità in una realtà di confini e non esiste nemmeno in una vita segnata da continue partenze e ripetuti addii. L’umanità è specchio di un tempo in frantumi.
Il messaggio che Richterová tenta di comunicare attraverso la scrittura, l’unico possibile atto di sopravvivenza, si traduce con l’impossibilità di leggere la realtà con i filtri estetici a cui si è abituati, la forma romanzo non basta più e implode, frammentandosi. La prosa de Il secondo addio riflette il caos da cui si genera e diviene, al tempo stesso, un modo per dominarlo e attuare un processo di ricostruzione e riappropriazione della propria identità. Tuttavia, permane il sentimento di non poter più appartenere più ad alcuno spazio:
Ogni luogo ha la sua memoria, ma io non ho uno spazio mio, non possiedo più nemmeno quel punto immaginario nello spazio, da cui poter partire anche io stesso, per farvi poi ritorno.
Per la collana NováVlna di Miraggi Edizioni:
Gli invincibili 11 di papà Klapzuba di Eduard Bass, traduzione di Andreas Pieralli, Miraggi Edizioni, 2023.
Il secondo addio di Sylvie Richterová, traduzione di Alessandro De Vito, Miraggi Edizioni, 2023.
Dottoranda in Studi germanici e slavi presso l’Università La Sapienza di Roma e l’Univerzita Karlova di Praga. I suoi studi si concentrano sulla letteratura e la critica ceca degli anni Venti e Trenta. Cofondatrice del progetto Andergraund Rivista, è anche membro attivo della redazione di Est/ranei.