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Dopo la caduta del Muro di Berlino la Germania Est e la vita dei suoi cittadini sono diventati soggetto frequente di libri, documentari, film. Tra questi ultimi c’è Sushi in Suhl, uscito nel 2012 e che racconta la storia di Rolf Anschütz, il cuoco che ha importato la cucina giapponese e ha gestito il primo ristorante di sushi della DDR. Ecco la sua storia.
Galeotto fu un corso
Anschütz, classe 1932, ha la cucina nel sangue. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale fa prima il cameriere, poi il cuoco e infine il direttore di vari ristoranti in Turingia, la sua regione. Tra il 1960 e il 1963 alla sua formazione in cucina aggiunge la specializzazione in gastronomia alla Fachschule für Gaststätten- und Hotelwesen (scuola tecnica per la ristorazione e gestione alberghiera) di Lipsia. Durante questo percorso di studi, Rolf frequenta il corso “Cucine del mondo”, dove per la prima volta conosce la cucina giapponese. E per lui è l’inizio di un amore per i piatti e per la cultura del Sol Levante che l’accompagnerà per tutta la vita.
Il primo ristorante di sushi della DDR, in Turingia
Nel 1964 Anschütz viene nominato gestore di un ristorante della HO, l’organizzazione statale che nella DDR si occupa delle attività di commercio, ristorazione e turismo. Si trova a Suhl (la stessa città che ha avuto la peggior squadra di sempre nell’Oberliga), in Turingia e si chiama Waffenschmied, un riferimento a una delle attività principali della cittadina, ovvero la produzione di armi. Normalmente il Waffenschmied offre cucina locale, ma Anschutz ha cominciato a documentarsi e ad appassionarsi alla cucina giapponese, così tanto che nel 1966, per la prima volta propone a un gruppo di giornalisti del quotidiano locale Freies Wort un pasto giapponese. Tra gli altri, quell’articolo lo legge Mutsumi Hayashi, un professore giapponese dell’università di Osaka che sta studiando nella DDR e che vorrebbe mangiare da lui.
Creatività e passione
A Hayashi quello che cucina Anschütz piace, nonostante in alcuni casi cambi gli ingredienti tradizionali. Non è una questione di gusti, ma di semplice necessità, perché nella Repubblica Democratica Tedesca non è possibile avere sempre tutto il necessario per i piatti della tradizione orientale. Ad esempio il vino di riso veniva sostituito con il vino bianco, o al posto della salsa di soia si utilizzava la salsa Worcester. Il Waffenschmied, dove inizialmente i cibi giapponesi venivano serviti in una piccola saletta a parte, comincia a farsi apprezzare. Oltre al cibo, quello che piace ai clienti sono l’esperienza e l’atmosfera che Anschütz riesce a creare. Arrangiandosi con quello che trova per esempio nei mercatini d’antiquariato o facendo da solo, costruisce un ambiente tipico del Giappone, compresa una vasca per i bagni (nudi) prima dei pasti e la presenza di alcune ragazze della zona che servono i clienti in kimono. Non è semplicemente una cena ma un’esperienza, visto che gli ospiti spesso vengono intrattenuti con curiosità e nozioni sulla cultura giapponese, una rarità per un paese dove tutto quello che veniva dal mondo capitalista era visto con estremo sospetto.
Un (caro) locale di successo
Il Waffenschmied diventa un ristorante conosciuto. Ci vanno politici locali, membri del Partito e personalità famose, anche straniere. Per avere un tavolo bisogna aspettare quasi due anni e soprattutto bisogna pagare l’equivalente di un quinto dello stipendio mensile di un cittadino della Repubblica Democratica Tedesca. Mangiare giapponese è dunque un lusso che dal 1981 si può provare anche a Lipsia, dove presso il nuovo Interhotel Merkur è stato aperto “Sakura”, il secondo ristorante etnico della DDR. Il successo ha attirato anche le attenzioni della Stasi. Vista la tipologia di clienti, in buona parte stranieri e con incarichi importanti, il Ministero per la Sicurezza dello Stato è interessato alle informazioni che se ne potrebbero ricavare. Imbottisce infatti il personale di IM (Inofizielle Mitarbeiter, i collaboratori non ufficiali della Stasi) che riferiscono quanto succede, di cosa si parla, di chi vede chi.
Alla corte dell’imperatore
La fama di Anschütz supera i confini nazionali e arriva in Giappone. Nel 1979 un gruppo di manager giapponesi che frequenta il suo ristorante lo invita nella terra del Sol Levante. Inizialmente le autorità della Repubblica Democratica tentennano soprattutto perché il viaggio sarebbe a carico loro. Quando le due parti si accordano, Rolf parte. Per lui è un sogno. Lo riceve l’imperatore Hirohito che conferisce al suo ristorante il titolo di “Migliore fuori dal Giappone”, ma scopre anche che qual paese, da lui immaginato come tranquillo e bucolico, è in verità estremamente caotico.
Declino e abbandono
Nel 1986, con il Waffenschmied che va ancora a gonfie vele, Anschütz entra in conflitto con la HO, di fatto il suo datore di lavoro, che chiede di fatturare di più, ma nega l’ampliamento del locale, che sente ormai il peso degli anni e che è nel mirino anche per ragioni igieniche. La goccia che fa traboccare il vaso è l’imposizione di un cuoco: Anschütz se ne va, con la direzione passata a suo fratello che la terrà fino alla chiusura nel 1993, dopo la Riunificazione. Nei suoi progetti c’è quello di aprire un ristorante a Berlino Est. Interessa anche alla Stasi, ma non se ne fa nulla, anche se con il Ministero per la Sicurezza dello Stato i contatti rimangono, tanto che la casa di Anschütz a Suhl diventa, durante il suo soggiorno a Berlino Est, un appartamento usato dalla Stasi per le sue attività.
Giappone, amore senza fine
Nel 1989 il cuoco gestisce un locale a Suhl. Oltre a ricoprire vari incarichi in associazioni di categoria, nel 1991 apre a Oberhof, sempre in Turingia, “Sakura”, un hotel in stile giapponese. Nel 2002 l’hotel dichiara fallimento e nel 2003 Anschütz abbandona anche il ristorante. Il cuoco muore nel 2008 a 75 anni, tenendo il Giappone nel cuore fino agli ultimi mesi.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.