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In alcuni ristoranti di Kyiv, come il Musafir, vengono serviti gli strepitosi piatti della tradizione gastronomica dei tatari, la popolazione autoctona della penisola ucraina occupata dai russi. Ma l’auspicio è di poter presto tornare a mangiare çiberek e pilav anche a Bachčisaraj e a Jalta.
«Ci vediamo in Crimea», mi dice su WhatsApp la scrittrice e storica ucraina Olena Styazhkina, mentre sto fissando un appuntamento per incontrarla durante il mio soggiorno a Kyiv. «In Crimea?», le chiedo. «Hanno aperto un nuovo ristorante della cucina dei tatari di Crimea a Kyiv?». «Ma no. Ci vediamo al nostro caro Musafir», mi risponde lei. Musafir è un ristorante della cucina dei tatari di Crimea che a Kyiv ha tre sedi. Vedersi al Musafir a Kyiv è come andare simbolicamente a pranzo o a cena in Crimea e significa dare supporto a quella regione mentre si onorano a tavola le tradizioni della popolazione autoctona della penisola ucraina occupata dai russi nel 2014: i tatari di Crimea, appunto. A ogni tavolo del Musafir si sente il sostegno non solo per la Crimea, ma per la lotta di de-occupazione di tutti i territori ucraini. E lo si sente perché questo ristorante è anche il posto preferito dei volontari ucraini che si occupano dell’equipaggiamento dei soldati al fronte.
Musafir nella lingua dei tatari di Crimea significa “l’ospite”, una figura che nella loro cultura ricopre un ruolo centrale: non importa da dove l’ospite venga e quale status egli abbia, i tatari di Crimea lo accolgono comunque con il massimo onore. Secondo la leggenda, in ogni ospite può nascondersi il santo al-Khidr, che è molto rispettato anche nelle altri tradizioni musulmane. Il santo potrebbe presentarsi in qualsiasi veste, di un mendicante, di un bambino, di un estraneo. L’importante è non offendere al-Khidr in modo che possa portare fortuna e benedizione a tutta la famiglia.
Al Musafir ci servono da veri ospiti. La ragazza che ci porta l’acqua indossa il vestito tradizionale, rigorosamente con i pantaloni sotto la gonna e un fazzoletto bianco ricamato in testa. Il disegno che compare sui ricami tradizionali dei tatari di Crimea si chiama örnek e nel 2021 è diventato patrimonio culturale dell’Unesco. Ci sediamo quindi sulle panche con i cuscini, davanti al tavolo coperto con la tovaglia con gli örnek, mentre nella sala vicina il forno scalda il pane furun.
La penisola di Crimea è sempre stata un crocevia di popolazioni e di culture. I tatari sono i discendenti delle tribù dei cazari, dei kipčaki, dei nogai, degli alani di lingua germanica e iraniana, dei goti e dei greci bizantini. La cultura dei tatari di Crimea ha subito oltretutto le influenze dei genovesi, che furono i padroni di alcune colonie sulla penisola. Inoltre, i tatari di Crimea si sono formati con due religioni: il Cristianesimo, che dominava la penisola nel periodo dell’Impero bizantino, e l’Islam, la religione ufficiale del Khanato della Crimea (1441-1783). L’Islam è tuttora la religione prevalente tra i tatari di Crimea. Quella penisola non è solo una miscela unica di culture, ma è anche un territorio singolare nella sua combinazione di steppa arrida, di montagne boscose e di costa marittima subtropicale. Tutti questi elementi hanno condizionato la cultura gastronomica dei tatari di Crimea che si basa su tre prodotti alimentari principali: la carne (preferibilmente di montone), i cereali (come il miglio, il grano e l’orzo) e la frutta.
Il piatto emblematico della cucina dei tatari di Crimea sono i çiberek, dei panzarotti di pasta fine a forma di mezzaluna e con i bordi ondulati che sono ripieni di carne tritata e vengono fritti nell’olio. I çiberek venivano tradizionalmente preparati dalla sposa al terzo giorno di matrimonio come prova per dimostrare la sua bravura. Se i çiberek balzavano bene nell’olio, allora il matrimonio sarebbe stato allegro e ricco di figli. La versione più magra dei çiberek si chiama yantıq: in questo caso i panzarotti non sono fritti nell’olio, ma saltati in una padella asciutta e rovente.
Noi al Musafir ordiniamo uno yantıq a testa con carne e con formaggio. Per accompagnarli ci servono la adjika, una salsa piccante di pomodori e peperoni con spezie crimeane. Come piatti principali scegliamo sarma e pilav.
Il sarma, fatto di involtini di foglie di vite con un ripieno di carne e riso, è un antico piatto crimeano che veniva servito non solo alle feste e in casa ma anche nelle locande già nel XIX secolo. Uno dei segreti della preparazione del sarma è la sistemazione giusta degli involtini nella pentola. Tradizionalmente, per non farli aprire durante la cottura, li si schiacciava con un piatto fondo sopra il quale si metteva un sasso pesante. Per preparare il sarma le foglie di vite vengono prima scottate nell’acqua bollente salata con l’aggiunta di succo di limone e poi sciacquate nell’acqua fredda. Il pilav, invece, era il piatto tradizionale che si preparava in occasione delle grandi feste e dei matrimoni, della preghiera collettiva o del rituale della circoncisione. Si preparava nel grande calderone appeso sopra il fuoco vivo nel cortile.
Il pilav veniva girato da due donne, mentre altre due ballavano sulle note di un accompagnamento musicale. La preparazione del piatto era essa stessa parte della festa. Per prepararlo servono pochi ingredienti: riso, carne, cipolle e frutta essiccata. Simile al pilav è il plov uzbeko, che i tatari di Crimea hanno adottato e incluso nella loro cucina dopo che nel 1944 furono deportati da Stalin nell’Asia centrale, con la falsa accusa di collaborazionismo con i nazisti tedeschi. In quel lungo periodo passato forzatamente lontano dal loro luogo di origine, il sapore del plov, i cui ingredienti sono gli stessi che si trovavano anche nel pilav (riso, carne di montone, cipolle, carote, frutta essiccata), li riportava a casa.
In una sola notte, il 18 maggio 1944, furono deportati quasi quattrocentomila tatari di Crimea, perlopiù nell’Asia centrale. Già prima di questa deportazione di massa i tartari avevano subito un lento sterminio durante i trecento anni di occupazione della penisola di Crimea da parte dell’Impero russo prima e dell’Unione Sovietica poi. Ma fu nel 1944 che tutto il loro sistema di gestione domestica subì un’interruzione.
Adattarsi ai posti nuovi, al clima, al cibo, all’aria non fu facile. Nei primi decenni, ai tatari di Crimea fu perfino proibito di lasciare i villaggi dove erano stati trasferiti e nei quali vivevano in miseria, patendo spesso la fame. In questa lotta per la sopravvivenza fisica si persero molte ricette e molte altre rischiarono di cadere nell’oblio man mano che i più anziani morivano in condizioni disumane. Tante tradizioni sopravvissero solo nella memoria delle famiglie, tramandata oralmente.
Dopo che la Crimea, nel 1991, divenne una Repubblica autonoma all’interno dello Stato dell’Ucraina, molti tatari originari della penisola fecero ritorno nella terra natia, facendo rinascere le proprie tradizioni culinarie che oggi vengono studiate e gustate in tutta l’Ucraina.
Mangiare al Musafir, alla Sofra, al Seljam, i ristoranti che si trovano non solo nella capitale ucraina Kyiv ma anche nelle altre grandi città del Paese, fa rivivere tutta la storia travagliata di un popolo sradicato dalla sua terra che anche negli anni della deportazione ha saputo conservare le tradizioni. Con Olena parliamo della Crimea, dei posti che abbiamo tanto adorato sin da piccole ma poi anche da grandi. Parliamo di Bachčisaraj e del palazzo del Khan, del mare a Jalta e delle montagne a Hurzuf, che hanno il sapore custodito nei piatti davanti a noi. E alla fine ordiniamo il tè, che arriva nelle piyāla, le tazze senza manico, e la marmellata di rose.
I dolci tipici dei tatari di Crimea sono i biscotti fatti in casa, le noci e la frutta essiccata. Ma il più tradizionale è la baqlava, che è arrivata in Crimea dalla Turchia. Nella variante locale, però, la baqlava non ha alcun ripieno ed è fatte con strisce di pasta fine intrecciate tra loro a forma di rombo e poi fritte nell’olio.
Usciamo dal ristorante. All’ingresso sventola la bandiera azzurra con lo stemma d’oro, il taraq tamga, con la M con i bordi sporgenti. Ci salutiamo con un «Ci vediamo in Crimea!», sognando la penisola e non solo il suo lontano ricordo.
*Yaryna Grusha (Jampil’, 1986) insegna lingua e letteratura ucraina all’Università degli Studi di Milano e all’Università di Torino. Collabora con Linkiesta e Radio Radicale. Nel 2022 insieme ad Alessandro Achilli ha pubblicato per Mondadori l’antologia Poeti d’Ucraina. A febbraio 2023 è uscito per Rizzoli-BUR Dimensione Kyiv.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Linkiesta; le traslitterazioni sono state tuttavia adattate alle norme editoriali di Meridiano 13.