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Questa è una storia che non esiste. Qui la follia dell’imperatore non c’è mai stata. Eppure quello che state per leggere è il racconto di una leggenda difficilissima da estirpare, divenuta quasi verità: quella di Helmuth Duckadam e delle sue mani spezzate dal regime.
I fatti, in breve: il trionfo della Steaua
Barcellona e Steaua Bucarest si giocano la finale della Coppa dei Campioni 1986 nello stadio di Siviglia, il “Ramón Sánchez-Pizjuán”, gremito di spagnoli. Per raggiungere l’ultimo scoglio, la squadra della capitale romena, emanazione dell’esercito del paese, ha eliminato i danesi del Vejle, gli ungheresi dell’Honved, i finlandesi del Kuusysi e, infine, i quotati belgi dell’Anderlecht.
Circa due settimane prima si era verificata la famosa esplosione di Čornobyl’. Il campionato era stato interrotto per circa due settimane. Solo a noi era permesso allenarci. I militari erano venuti per misurare le radiazioni ed erano circa 200 volte più del normale! Ricevevo consigli di ogni genere: non prendere la palla vicino al petto, evita di tuffarti. Poi siamo partiti per Siviglia due giorni prima della partita. Abbiamo portato con noi cibo, champagne e un cuoco.
I romeni, però, sono estremamente sfavoriti, ma resistono per centoventi minuti, senza esagerati affanni, e demoliscono i blaugrana ai rigori. Il protagonista è lui: il portiere originario di Arad, uno svevo del Banato, con la sua divisa verde dell’Adidas. Ipnotizza per quattro volte i calciatori del Barcellona, parando tutti i tiri dal dischetto. I suoi compagni possono prendersi la libertà di sbagliarne due: finisce 2-0, segnano Marius Lăcătuș e Gavril Balint. Helmuth Duckadam entra nella leggenda.
Per la prima volta una squadra del blocco socialista vince la Coppa dei Campioni. Dopo qualche festeggiamento a Siviglia, dove i tifosi del Betis e del Siviglia si danno da fare per ringraziare i romeni per aver sconfitto i catalani, la squadra rientra a Bucarest dove viene accolta da ali festanti di gente e dal Conducător, Nicolae Ceaușescu. Secondo quanto riportato dalla maggioranza delle fonti, il leader della Romania socialista riserva ai giocatori parole molto fredde, arrivando a dire che probabilmente se si fossero impegnati di più avrebbero potuto vincere senza bisogno di arrivare ai rigori. Perché queste parole? Difficile trovare la verità, quello che è certo è che Ceaușescu non era un appassionato di calcio e non era coinvolto nelle dinamiche pallonare.
La leggenda delle mani spezzate: “Quanti colpi di pistola hai ricevuto?”
Helmuth Duckadam è in rampa di lancio. È il portiere più famoso del mondo, sembra che su di lui ci sia l’interesse di molte squadre, ma lasciare la Romania è praticamente impossibile. Fra pochi mesi si disputerà la Coppa Intercontinentale e probabilmente il posto in nazionale, al quale il numero uno ha quasi sempre dovuto rinunciare in favore di Silviu Lung, sarà finalmente suo. Ma non accade niente di tutto ciò: Duckadam sparisce nel nulla.
Siamo verso la fine degli anni Ottanta e il blocco socialista è visto da Occidente con un doppio sguardo. Per alcuni c’è l’ammirazione verso questo mondo dove il comunismo ha trionfato, per altri c’è la distanza, la sfiducia, la paura per il diverso. Questo meccanismo – molto naturale – porta a pensare che in quella fetta di mondo succedano cose che da noi non potrebbero mai accadere. Inoltre, al tempo era impossibile anche solo immaginare la diffusione delle notizie che abbiamo oggi. Quello che veniva scritto a riguardo su quella parte di mondo non aveva bisogno di grandi conferme, spesso era ideologico e serviva a incensare o denigrare qualcosa di lontano.
Così inizia a girare una voce: il presidente del Real Madrid oppure direttamente il Re di Spagna ha regalato una stupenda Mercedes a Duckadam per ringraziarlo di aver sconfitto il Barcellona. Il figlio di Ceaușescu – quale? a volte Nicu, a volte Valentin – è avvampato di invidia perché voleva per sé quella macchina e, al rifiuto del portiere, gli ha fatto sparare alle mani o forse gliele ha spezzate. Chi riporta questa storia è sicuro, addirittura gliel’hanno raccontata dei giocatori con cui ha parlato o l’ha letta su una fonte indiscutibile.
Una versione che fa acqua da tutte le parti
Partiamo dal presupposto che quando si racconta una storia ci si deve basare sulle fonti ufficiali. Se queste non sono disponibili, si deve sentire cosa hanno da dire i testimoni che erano presenti, che in questo caso sono i calciatori e soprattutto il diretto interessato. Citare altri articoli di giornale o di siti che non riportano nessuna fonte non è sufficiente. Se in futuro uscisse un documento secretato che racconta una storia diversa, saremo i primi a cambiare opinione. Fino a che ciò non accadrà non possiamo basarci su quella che ci sembra la versione più interessante e mediaticamente accattivante, ma dobbiamo riportare quella più vera e probabile secondo le fonti e i diretti interessati. Anche a prezzo di perdere clic o visualizzazioni.
Ciò ha portato a pensare che Nicu Ceaușescu, il figlio più giovane del dittatore rumeno e fratello di Valentin, mi avesse sparato al braccio, ma semplicemente non è vero. Ho negato per quasi 33 anni che un membro della loro famiglia mi abbia sparato, perché li avevo messi in ombra o li avevo infastiditi. A Bucarest al tempo l’odio verso il regime era forte. Se al mattino qualcuno avesse detto qualcosa in una fabbrica, a mezzanotte tutta la città sarebbe stata in fermento.
In un momento storico come quello attuale, in cui criticare il passato regime è una pratica comune e diffusa, quasi incoraggiata, non si capisce perché il portiere avrebbe dovuto mentire a distanza di più di trent’anni. Alcuni rispondono che la ragione di questo prolungato silenzio sia la paura per la propria famiglia, perché dei non precisati personaggi si offenderebbero se lui desse la colpa a Nicu Ceaușescu per la fine della sua carriera. Veramente poco credibile.
Non so nemmeno come siano iniziate queste voci. Era un periodo in cui la vita era dura e tutta la colpa veniva attribuita alla famiglia Ceaușescu. Non ho mai incontrato Nicu Ceaușescu e non ho mai scambiato una parola con lui.
Inoltre, si tratta di Nicu o di Valentin? Nicu Ceausescu era coinvolto nel calcio. Inizialmente con lo Sportul Studentesc e poi con l’Inter Sibiu. Si deve a lui il passaggio di Hagi ai bianco-neri di Bucarest. A quel tempo Nicu era al Ministero della Gioventù e dello Sport e sembra che Hagi avesse firmato per l’Università di Craiova, ma Nicu lo convinse a cambiare idea. Alla fine degli anni Ottanta, Nicu divenne segretario del partito della città di Sibiu e contribuì a promozione l’Inter Sibiu nella prima divisione rumena. Eppure sfugge il legame con lo Steaua e con la finale.
Valentin, invece, era davvero vicino al board dello Steaua. Era un sincero appassionato e si spendeva per la causa calcistica. Sempre dall’intervista di cui sopra:
Valentin ha effettivamente avuto un ruolo importante nel nostro successo. Ci ha portato tutti in montagna per il nostro ritiro invernale. In primavera eravamo carichi come tori. Ci ha aiutato ad allenarci sotto i riflettori, cosa che di solito sarebbe stata impossibile a causa delle limitazioni sul consumo di elettricità imposte dal regime comunista. E quando la Uefa ci ha detto che dovevamo giocare con una divisa di riserva in finale, perché la nostra era in contrasto con quella del Barcellona, Valentin ci ha procurato i materiali e ne ha fatta realizzare una nuova biancorossa appositamente per noi.
Siamo amici, ma non al livello di amicizia che ha con Boloni e Stoica. Dopo la Rivoluzione, quando andò in Italia, passò la notte da me ad Arad. Parliamo ancora, abbiamo parlato due mesi fa per l’ultima volta.
Sembra che in occasione della Rivoluzione del 1989 furono proprio alcuni giocatori della Steaua a mettere in salvo Valentin dalla furia dei rivoltosi, difficile pensare che una persona del genere faccia spaccare le mani al suo miglior portiere per un’auto. Fra l’altro, alla famiglia Ceaușescu non mancavano certo i mezzi per permettersi una Mercedes.
All’inizio li prendevo sul serio. Cercavo di spiegare la realtà alle persone, ma quando ho visto che non ci riuscivo, ho iniziato addirittura a gonfiarle. “Sì, signore, mi ha sparato, il proiettile mi è uscito dalla schiena!!. […] Quindi ho confermato la versione del “conflitto” con Nicu, perché non aveva senso litigare con una qualsiasi persona che aveva già la propria idea chiara e immodificabile.
Cosa successe davvero a Helmuth Duckadam?
Come riporta ancora la Gazeta Sporturilor, questo è ciò che accadde a Duckadam, raccontato direttamente tramite le parole del portiere:
Ero a un falò a casa, a Semlac. Sono scivolato sull’erba, ho messo la mano a terra ed è stato in quel momento che probabilmente i coaguli nell’arteria si sono staccati. Provavo un dolore lancinante. La mano è diventata bianca, il medico di Semlac ha subito capito che non era uno scherzo e mi hanno mandato ad Arad e poi subito a Bucarest, su un aereo del Ministero della Difesa. Chiamarono dal suo congedo il generale Vasile Cândea, capo del reparto di chirurgia cardiovascolare dell’Ospedale Militare, che mi operò d’urgenza. Non sapevo nemmeno cosa mi stesse succedendo.
Cândea racconta: “Ero in vacanza, a casa, a Viișoara, vicino ad Alexandria, quando mi ha chiamato anche il ministro della Difesa per dirmi che dovevo partire urgentemente per Bucarest, perché il portiere dello Steaua era in condizioni critiche e necessitava di un’operazione”. L’uomo che ha salvato la vita al portiere della Steaua continua: “Da Arad, Duckadam è stato portato nella Capitale da un aereo militare, appositamente inviato per trasportarlo a Bucarest. Helmuth aveva un aneurisma ascellare, nella zona dell’ascella destra. Il tratto interessato dell’arteria che parte dall’aorta, passa sotto il collo e poi scende lungo il braccio. Se non fosse arrivato in tempo, probabilmente si sarebbe pensato all’amputazione della mano”.
Dopo l’operazione subita nel 1986 a Bucarest, Helmuth Duckadam si sottopone ad altri tre interventi simili, nel 1998 e nel 2008 e 2012, l’arteria malata del braccio destro viene riparata periodicamente dai medici.
Fa ancora male quando il tempo cambia. Ho subito quattro operazioni: 1986, 1998, 2008 e 2012. L’ultima è stata con il professor Brădișteanu. Ora hanno sostituito l’arteria con un tubicino. Prendo così tante medicine perché devo mantenere il sangue fluido.
Dalla partita di Siviglia sono appena passati appena due mesi, ma quello del portiere non è un problema nuovo.
Sapevo che c’erano problemi, il mio braccio stava perdendo sensibilità. Ho fatto mille controlli. I trattamenti e la tecnologia di oggi al tempo non esistevano. La maggior parte dei medici ha liquidato tutto come “reumatismi”: è stata la mia fortuna! Se l’aneurisma fosse stato scoperto prima, a Siviglia non non ci sarei stato.
Quando ho parlato con il giornalista che lo ha intervistato per Four Four Two, questi ha praticamente sbuffato. Non è uno qualunque, ha spesso votato per il Pallone d’Oro in rappresentanza del suo paese, ma anche lui è stanco di smentire questa storia. Invece, quando ho chiesto a un caro amico romeno che parla perfettamente italiano e ha una grande cultura calcistica sul suo paese, lui mi ha dato molti particolari e poi ha concluso “Un ex giornalista lo ha detto per scherzo e tutti pensavano che fosse vero. Mi stupisco quando vedo che in Italia se ne parla ancora”.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.