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Mancano dieci secondi sul cronometro e la Joventut de Badalona è in vantaggio di due punti sul Partizan Belgrado nella finale di Coppa dei Campioni di basket del 1992 a Istanbul. La canotta è quella bianca della squadra dei Balcani, sulla schiena il numero 4. Cinque anni dopo lo scenario è molto simile: i secondi sul cronometro sono più o meno gli stessi, la maglia è quella blu della nazionale di Belgrado. Il vantaggio della Croazia sulla Jugoslavia è di un solo punto nel secondo turno di qualificazione, quello che garantisce l’accesso ai quarti di finale all’europeo di Barcellona.
Una vittoria della Croazia, a soli due anni dall’indipendenza, andrebbe oltre la pallacanestro. L’epilogo però è sempre lo stesso: rimessa affrettata, palla dal peso specifico enorme in mano a Aleksandar Đorđević, quattro-cinque palleggi sul lato destro e tripla in equilibrio precario che decide la partita. Non è un caso, è un canestro identico in entrambe le situazioni. Un movimento per il quale serve tecnica, forza nelle gambe e soprattutto un carattere grandi così. Ma questo per l’attuale CT della nazionale cinese di basket non è mai stato un problema. Quando la palla pesava di più la prendeva lui.
Figlio contro padre
Aleksandar “Sale” Đorđević nasce a Belgrado nel 1967. Figlio di Branislav, leggenda dell’ultima Stella Rossa in grado di vincere il titolo di campione di Jugoslavia. Il piccolo Aleksandar inizia a giocare nelle giovanili della società del padre ma non riesce a ritagliarsi lo spazio desiderato. Diventa così un giocatore del Partizan, squadra per cui ha sempre fatto il tifo. Diciamo che già nei primissimi anni di carriera inizia a dare un’idea della sua personalità.
“Avevo cinque o sei anni e in un derby indossavo una sciarpa e una piccola bandiera del Partizan… mentre lui era l’allenatore della Stella Rossa. Ricordo che allora apparve un articolo su un giornale jugoslavo dal titolo Figlio contro padre. Lo conservo ancora. Ho un bellissimo ricordo di quegli inizi perché mio padre mi faceva sempre andare in palestra, mi portava con sé a guardare i grandi giocatori. È così che ho deciso di diventare un giocatore” dirà Đorđević diversi anni dopo.
A sedici anni viene aggregato alla prima squadra per fare il play di riserva di quello Željko Obradović che ben presto deciderà di spostarsi nella zona laterale del parquet per vincere, da coach, praticamente tutto quello che c’è da vincere. Obradović allenerà Đorđević per tanti anni, compresi quelli che porteranno alle due vittorie decise dal play serbo negli ultimi secondi. Inizia così la lunga carriera di Sale fatta di grandi successi nei club e nella nazionale. Un percorso che si chiuderà a Milano nel 2005 con la clamorosa beffa in finale scudetto contro la Fortitudo Bologna per un tiro all’ultimo secondo del fortitudino Rubén Douglas, confermato dopo diversi interminabili minuti passati a consultare l’instant replay.
Il dream team dei Balcani
Partiamo dalla Jugoslavia e da quella nazionale che si rivelerà una fucina di talenti incredibile. Nel campionato jugoslavo giocavano dodici squadre che erano come delle selezioni regionali: Budućnost, Sarajevo, Zara, Belgrado, Spalato, Lubiana. Ogni squadra raccoglieva i migliori giocatori della regione creando un nucleo solido anche per la nazionale. La selezione che partecipò e vinse mondiali under-19 a Bormio nel 1987 battendo due volte gli Stati Uniti era fortissima: Divac, Rađa, Alibegović, Kukoč (capace di segnare 37 punti nella prima sfida con gli Usa tirando con un irreale 11/12 da 3) e il capitano Đorđević.
A distanza di 30 anni dall’impresa di Bormio il documentario 250 steps racconterà nel dettaglio il percorso di quel gruppo. I duri metodi di lavoro imposti da coach Svetislav Pešić in un paesino di montagna non lontano da Sarajevo, sede del ritiro della nazionale jugoslava U-19, costringevano i giocatori letteralmente a scalare le montagne.
Ovviamente non mancano gli aneddoti bizzarri: come il viaggio in treno fino al ritiro di Kukoč e Rađa in una carrozza bestiame o come l’infortunio occorso di Neša Ilić, uno dei titolari, nel parco di fronte all’hotel la sera prima della finale. In quei momenti si formerà però il gruppo che vincerà la competizione e quel mondiale mostrerà al mondo per la prima volta l’organizzazione e il metodo di lavoro che permettono ancora oggi di continuare a produrre campioni assoluti come Nikola Jokić e Luka Dončić.
Dopo il trionfo in Lombardia, Đorđević viene aggregato alla nazionale maggiore per disputare (senza particolari sussulti) l’europeo del 1987. A causa dei problemi fisici è costretto a saltare le Olimpiadi di Seul dell’88. L’anno successivo, dopo una grande annata con il Partizan, porterà a casa una coppa Korać e una Coppa di Jugoslavia e al termine di quella stagione il coach della nazionale Ivković dirà che Sale era il miglior regista di Jugoslavia. Salvo poi escluderlo, appena tre giorni dopo, dalla lista dei 16 convocati per l’Europeo. Un’esclusione che gli costerà anche il Mondiale in Argentina a causa del servizio militare.
Đorđević, Petrović e Marčiulionis
Đorđević dirà di aver capito i motivi di quella scelta solo una volta diventato CT: un regista offensivo come lui non avrebbe avuto molto senso in coppia con Dražen Petrović, il miglior giocatore della Jugoslavia dell’epoca. Ma il motivo non era solo di natura tecnica. Semifinale tra Cibona e Partizan nella stagione 1987-88, l’ultima di Petrović in Jugoslavia.
Un match in cui c’è più di qualche scintilla e alla fine saranno necessari due tempi supplementari per assegnare la vittoria alla squadra di Zagabria. A fine partita, Petrović si avvicina a Đorđević e gli dice che non avrebbe più giocato in Nazionale. Dopo quella partita Ivković non se la sentirà di andare contro al giocatore più forte della squadra e a farne le spese sarà Sale. Il play di Belgrado tornerà in nazionale solo nel 1991 vincendo il suo primo europeo.
Negli anni successivi scoppiano le tensioni nei Balcani e la FIBA decide di escludere la Jugoslavia da tutte le competizioni. Fino al 1995, anno in cui la nazionale di Đorđević torna a giocare una competizione internazionale con una selezione completamente diversa, senza sloveni, croati e bosniaci. Ma il talento non manca e l’europeo del ‘95 è una marcia incredibile fino alla finale contro la fortissima Lituania di Marčiulionis e Sabonis.
Nell’ultimo quarto, quando i lituani lasciano il campo protestando contro alcuni fischi arbitrali (prefigurando una facile vittoria a tavolino per la nazionale dei Balcani), Đorđević va a parlare con Marčiulionis e convince i baltici a tornare sul parquet, perché è lì che Sale vuole avere la meglio. Alla fine vince la Jugoslavia. Vince il carattere del numero 10 che ne piazza 41 con 9 su 12 da 3. Si scoprì dopo che in quella breve conversazione Đorđević, che conosceva bene Marčiulionis, gli disse di tornare e “giocare con le palle” finendo la partita.
Alle Olimpiadi di Atlanta del 1996 è medaglia d’argento. L’oro va al dream team americano che schiera giocatori come Charles Barkley, Karl Malone, Reggie Miller, Hakeem Olajuwon, Gary Payton, Scottie Pippen, David Robinson e John Stockton solo per citarne alcuni.
L’anno successivo arriva l’oro agli europei di Barcellona: Đorđević è protagonista della tripla allo scadere che manderà la Jugoslavia ai quarti di finale a spese della Croazia. Dal palleggio, senza equilibrio. La fotocopia di quella che pochi anni prima valse la vittoria in Eurolega del Partizan. Sale vince anche quell’europeo e lo fa da MVP. Nel 1998 bisserà la vittoria ai mondiali di Atene chiudendo un ciclo che in tre anni porterà in bacheca due europei e un mondiale.
I club di Aleksandar Đorđević
A fine anni Ottanta il play di Belgrado guida un Partizan che è una corazzata e tra l’89 e il ’92 mette in bacheca una Coppa Korać e una Coppa Campioni. La squadra è orfana di Vlade Divac che si è accasato ai Los Angeles Lakers ma nel frattempo arriva un certo Predrag “Saša” Danilović.
La Coppa dei Campioni ‘91-‘92 è la competizione in cui la squadra di coach Obradović inizia ad acquisire la consapevolezza della propria forza. Un percorso netto reso ancor più incredibile dal fatto che il Partizan è costretto a giocare tutte le partite casalinghe a Fuenlabrada, non molto distante da Madrid. In Jugoslavia la guerra è alle porte e non ci sono le condizioni per giocare a Belgrado.
Đorđević e compagni sono praticamente sempre in trasferta ma sembrano non accorgersene e arrivano a giocarsi la finale contro gli spagnoli della Juventut de Badalona. E come accadrà pochi anni dopo in un’altra partita importante, la palla decisiva a pochi secondi dalla fine va a Sale che dal palleggio lascia partire la tripla che darà al Partizan la prima e unica Coppa dei campioni della sua storia.
Al termine della stagione ha addosso gli occhi di mezza Europa. La personalità, la tecnica e la straordinaria intelligenza cestistica hanno attirato l’attenzione delle corazzate italiane e spagnole. In quegli anni nasce anche il “movimento Đorđević”, un’intuizione offensiva che consiste nel continuare la corsa dopo lo scarico in penetrazione sorprendendo il difensore in quel mezzo secondo di esitazione dopo il passaggio. Invece di fermarsi taglia dietro l’avversario e si fa trovare sul perimetro pronto a ricevere lo scarico per un tiro ad altissima percentuale, approfittando dello spazio generato da quella frazione di secondo rubata al difensore. Un movimento che porta ancora oggi il suo nome e che è stato perfezionato in maniera egregia da un certo Steph Curry.
Arrivano quindi le big italiane con Milano e Bologna (sponda Fortitudo). Con la squadra meneghina vince una coppa Korać da protagonista disputando due stagioni di alto livello dopo un avvio così così. A Bologna rimane la delusione di una finale scudetto persa proprio con Milano che lo aveva scaricato appena due anni prima. Đorđević sarà comunque protagonista anche sotto le torri.
Dopo una breve e sfortunata parentesi in NBA con i Portland Trail Blazers torna in Europa, a Barcellona. C’è da dimostrare che da questa parte dell’oceano è ancora uno dei migliori play d’Europa. Lo fa decidendo un quarto di finale di coppa del Re contro il Real Madrid nel quale segna 30 punti, tra cui quelli decisivi nel secondo tempo supplementare.
Gli anni successivi non saranno anni normali né per Đorđević né per la Serbia. Belgrado è sotto le bombe della NATO e per tutti i serbi è un momento difficile. Sale insieme ai connazionali guiderà una protesta pacifica che avrà un forte seguito nel campionato spagnolo, giocando senza nome sulla maglia. Nell’estate del ‘99 passa dal Barcellona al Real Madrid di Sergio Scariolo, una scelta non banale.
Đorđević vince anche a Madrid, lo fa da protagonista e lo fa battendo in gara 5 della finale scudetto il Barcellona in Catalogna. Ma il fisico di Sale inizia a fare i capricci e gli impedisce di giocare con continuità. Nei due anni a Pesaro si vedranno solo sprazzi del vero Đorđević ma sono, ovviamente, sprazzi meravigliosi. Come nella semifinale di Coppa Italia contro la Fortitudo nella quale trascina i marchigiani alla vittoria, prendendosi i falli e i tiri più importanti nei momenti decisivi della gara. Il solito copione.
La carriera finisce a Milano e finisce perdendo una finale all’ultimo tiro. Dopo minuti di attesa all’instant replay, gli arbitri confermeranno il canestro di Douglas consegnando lo scudetto alla Fortitudo. Uno degli epiloghi più crudeli che si potessero immaginare. Si ritirerà pochi giorni dopo a Belgrado, a casa sua, con tutti i campioni che lo hanno accompagnato nella sua lunga carriera, davanti ad un palazzo stracolmo con ottomila persone venute a rendere omaggio ad uno dei playmaker più forti in Europa.
*Da otto anni (di cui cinque trascorsi a Bruxelles) si occupa della normative europee relative al mercato interno e ai trasporti, prima nelle istituzioni, poi come stakeholder. Per oltre due anni collaboratore del Presidente del Parlamento europeo David Sassoli con il quale ha co-firmato una pubblicazione. Dal 2022 collabora con Linkiesta dove scrive di politica dell’UE e di Balcani. Grande appassionato di basket e di AC Milan.