Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:
IBAN IT73P0548412500CC0561000940
Banca Civibank
Intestato a Meridiano 13
Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.
È il 1946 quando il Partito del Lavoro d'Albania (Partia e Punës e Shqipërisë - PPSH), consolidando il potere acquisito dopo la liberazione nazionale dal nazifascismo, in maniera repentina abolisce il pluralismo politico, la libertà di stampa e di espressione, frenando il diritto di viaggio all’estero e di espatrio.
Una politica estera altalenante
In politica estera, la neonata Repubblica Popolare d’Albania (RPSSH) diventerà nota per i propri rapporti d’alleanza sempre altalenanti, a partire da una primissima fase (1945-1948) in cui si avvicina alla Jugoslavia socialista di Tito. Il rapporto però si rivela molto conflittuale perché la dirigenza albanese e i sovietici temono l’annessione come settima repubblica jugoslava. Enver Hoxha, coadiuvato dagli agenti del Comitato per la sicurezza dello Stato (Ministerstvogosudarstvennoj bezopasnosti, MGB), ossia la polizia segreta sovietica, interrompe bruscamente i rapporti con Belgrado giustiziando Koçi Xoxe, ministro dell’Interno e capo della polizia segreta albanese Sigurimi con l’accusa di essere “filo-titino” per poi sostituirlo con Mehmet Shehu, assai gradito a Mosca.
Si apre così una nuova fase politica di vicinanza all’Unione Sovietica, conclusasi nel 1960 per ragioni simili a quelle che hanno portato alla rottura con gli jugoslavi. Il Politburo schipetaro si lamenta della scarsa garanzia da parte dell’URSS sull’indipendenza albanese, accusa l’alleato sovietico di revisionismo ideologico durante la destalinizzazione e anche negli incontri bilaterali i socialisti adriatici si considerano fermamente e fieramente l’ultima roccaforte dello stalinismo.
L’alleanza sino-albanese
La sinergia ideologico-politico-economica più solida, consolidata durante la lunga dittatura di Enver Hoxha, è quella con la Cina Popolare che si protrae dal 1961 al 1977 per poi interrompersi nuovamente, sempre a causa di motivazioni ideologiche, con i cinesi accusati dal regime albanese di pragmatismo filoccidentale. Dopo questa netta rottura, la RPSSH sceglie di proseguire la propria avventura nella quasi totale autarchia, diventando il regime più isolato dell’Est europeo. I rapporti con il resto del mondo vengono progressivamente annullati, in particolare quelli con il “nemico italiano”, eccezion fatta per alcuni patti commerciali riguardo l’acquisto di materiale tecnologico e generi di prima necessità stipulati con la Germania dell’Est, la Romania e altri paesi considerati ideologicamente affini.
La politica del consenso di Hoxha e l’esperienza ideologica di quegli anni si fondano su un’esasperazione che tocca anche i portati etnici, tanto che si può parlare correttamente di nazionalcomunismo. L’intensa paranoia sull’invasione internazionale è stata quindi utilizzata per giustificare il controllo interno della “dissidenza” a beneficio della “nazione”. La visione di una nazione albanese indipendente è un obiettivo condiviso dal “popolo albanese, compresi quelli in prigione”, e Hoxha viene quindi percepito come un leader che favorisce gli interessi della nazione. Anche questa visione di continua minaccia rimane un terrore costruito a tavolino.
L’autarchia antioccidentale aiuta il regime comunista a preservare l’autorità delle istituzioni e l’efficienza delle relazioni sociali create, nonché a dare un significato alle privazioni e ai sacrifici degli albanesi, il cui ruolo risulta agli occhi del regime cruciale, in quanto impegnati a costruire l’unico paese socialista al mondo. L’isolamento, quindi, non viene visto come un effetto collaterale imprevedibile del totalitarismo, ma come una condizione necessaria affinché il sistema possa sopravvivere.
L’attenzione fortissima verso il concetto di “sicurezza” viene sottolineata più volte dallo stesso dittatore albanese con frasi del tipo “La sicurezza dello Stato è l’arma tagliente e cara del nostro partito, perché protegge gli interessi del popolo e del nostro Stato socialista dai nemici interni ed esterni”.
La Sigurimi “Per la gente, tra la gente”
La Sigurimi, la temibile polizia segreta albanese, organizzata e supervisionata dal Ministero degli Interni, fin dalla sua nascita avvenuta nel 1943, prima ancora della proclamazione dello stato socialista, ha l’incarico di eliminare ogni opposizione al partito e al governo, di occuparsi di controspionaggio, affari politici, censura e invio in prigione e nei campi di lavoro degli oppositori. Oltre che degli uomini in uniforme, fin dagli anni Cinquanta si avvale della collaborazione di agenti e informatori presenti in tutto il paese, arrivando ad avere fra i collaboratori un quarto della popolazione albanese.
La Sigurimi è senza dubbio l’organizzazione più terrificante che l’Albania abbia mai avuto. Alcune volte ha agito nel rispetto delle norme; al contrario, in altre occasioni, ha ignorato completamente la legge. Avvolta nel mistero, l’organizzazione rimane fino a oggi l’aspetto più oscuro e meno noto del regime. Con i numerosi fondi a disposizione dal Ministero degli Interni l’organizzazione è stata capace di creare un sofisticato sistema di sorveglianza e denuncia.
Alcuni dati sull’operato della Sigurimi
Secondo i dati recentemente pubblicati dal Ministero degli Interni, durante i suoi 46 anni di esistenza, la Sigurimi poteva contare su un esercito di 200mila “agenti”. Alcuni degli “occhi e orecchie del regime” sono stati costretti a collaborare; altri erano volontari leali che agivano in base alle loro convinzioni; altri ancora erano arruolati in cambio di determinati privilegi. Questo cosiddetto “esercito di boccini” ha tenuto traccia di tutte le persone considerate “problematiche” dal regime.
La polizia segreta ha vissuto un incremento costante di personale, passando da 11.033 fra collaboratori e spie nel 1949 alle oltre 15.000 persone legate alla Sigurimi nel 1990, con un picco di collaboratori (16.168) nel 1965.
Dal 1972 al 1989 l’accusa maggiore nei confronti dei trattenuti è quella di “agjitacion, propagandë” e riguarda una percentuale che va dal 52 al 60% dei condannati. L’atmosfera albanese è funestata dall’impressione di essere sotto una continua e asfissiante sorveglianza. Uno studio condotto nel 2014 da Eduard Zaloshnja, che ha intervistato 1200 albanesi di tutte le città della nazione, dimostra come il 76% degli intervistati percepiva durante il regime un’altissima pressione da parte dello spionaggio.
La Sigurimi è stata lo strumento perfetto per rendere letale quel sistema di dicerie finalizzate a creare un ambiente opportuno per mosse ulteriori del regime in un habitat chiuso come l’Albania, dove nessuno può uscire o entrare senza il permesso delle autorità.
Negli ultimi anni di Enver Hoxha, l’Albania attraversa periodi estremamente difficili. L’intero confine è coperto di filo spinato e, in alcuni punti, di recinzioni elettriche. Il 64% della costa è dichiarata “zona militare” e le persone che cercano di fuggire dal paese vengono solitamente uccise sul posto. Chiunque sia catturato vivo è accusato di tradimento e condannato a una pena detentiva che va da dieci anni all’ergastolo. In 45 anni solo 6mila persone sono riuscite a superare il confine, circa 1.200 persone sono state uccise, il 94% delle quali aveva meno di 30 anni.
Se il tentativo di lasciare il paese veniva confidato a una seconda persona, questa veniva immediatamente arrestata dal servizio segreto comunista e condannata per “tentata fuga”. Eppure tra la fine degli anni Quaranta e la soglia degli anni Cinquanta i tentativi di fuga, anche se non frequenti, non hanno conosciuto interruzioni, diventando però sempre più rari con il perdurare della dittatura di Enver Hoxha. Le mete preferite della fuga risultano principalmente Jugoslavia e Grecia, mentre l’Italia veniva raggiunta solo dopo un passaggio intermedio a Belgrado o Atene.
Il fallimento economico
Il regime di autarchia e sorveglianza perpetua non hanno giovato allo sviluppo del paese socialista, basti pensare che nel 1984 l’Albania risulta il terzo paese più povero al mondo, con un reddito pro capite medio di 15 dollari al mese e una economia di sussistenza con scarse razioni alimentari (in alcuni luoghi si parla di un chilo di carne al mese per una famiglia di quattro persone). La proprietà e l’iniziativa privata sono illegali e ai contadini non viene permesso di tenere le proprie pecore o il proprio bestiame; dal 1982, è proibito tenere polli “privati”.
Secondo le fonti più attendibili sui crimini commessi nell’Albania socialista tra il 1945 e il 1992, sono state 5.487 le esecuzioni politiche, 19.250 le persone condannate alla prigione, 59.809 le persone internate o espulse internamente e 11.536 le famiglie espulse dalle regioni di confine. Tutto ciò con una popolazione inferiore a tre milioni di abitanti: queste cifre evidenziano la pervasività della persecuzione politica.
Vivere sotto controllo
L’Albania è stato il secondo paese dell’Europa socialista con il più alto numero di agenti segreti, con numeri che si avvicinano a quelli della famigerata Stasi della Repubblica Democratica di Germania, un’impresa specializzata nel campo della repressione, del terrorismo psicologico e dello spionaggio.
Secondo quanto analizzato, nel 1990 l’organizzazione aveva non meno di un milione di fascicoli, il che significa un fascicolo per ogni cittadino adulto della Repubblica socialista popolare albanese. I file contengono tutti i tipi di informazioni, dalle credenze politiche delle persone ai dettagli sulla loro vita personale come adulterio, tradimento o preferenze sessuali. La maggior parte dei file furono distrutti nella primavera del 1991.
Per non dimenticare “le vite degli altri” di cinematografica memoria, origliate e rovinate dall’ottusità del regime, dal 2017 è attivo nel centro di Tirana Il Museo della Sorveglianza Segreta “Casa delle Foglie”. Il nome è un richiamo alle foglie rampicanti che caratterizzano l’edificio storico, in passato una clinica poi divenuta dal 1944 al 1991 la Direzione Centrale dei Servizi Segreti.
Seguendo il percorso presente in questo museo si riesce ad approfondire e toccare con mano le strategie e le azioni di controllo effettuate dalla Segurimi, passando dalla lettura dei nomi delle vittime ai video tutorial utili a spiegare alle “nuove leve” come estorcere informazioni utili alla causa del partito e alle testimonianze video di testimoni di quell’oscura stagione politica da non dimenticare. Per la sua originalità e intensità la Shtepia me Gjethe ha ricevuto nel 2020 il riconoscimento internazionale Prix du Musée du Conseil de l’Europeper aver offerto un “contribuito straordinario alla conoscenza del patrimonio culturale europeo.”
Perché purtroppo o per fortuna la conoscenza la si fa anche riconoscendo e analizzando le fasi più buie delle nostre storie passate e presenti.