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Non occorre spendere troppe parole di presentazione sui Borghesia, ensemble legato soprattutto alla scena alternativa e ai movimenti sociali che si sono sviluppati in Slovenia negli anni Ottanta e che hanno continuato a renderla una delle capitali più vivaci e interessanti d’Europa anche negli anni Novanta. I loro dischi hanno avuto un impatto fondamentale sul rock elettronico nonché sulla video-art.
Si tratta di un gruppo cardine della musica alternativa slovena, jugoslava ed europea che, come tale, andrebbe adeguatamente premiato. Alla notizia che la loro canzone dal titolo 194 è stata radiata da tutte le principali piattaforme di musica abbiamo sentito la necessità di contattarli immediatamente per sentire la loro versione dei fatti. Avendo i Borghesia spesso affrontano nei loro dischi temi che riguardano i conflitti, le sottomissioni, le lotte di resistenza e i rapporti di potere nelle loro numerose sfumature, abbiamo sfruttato la disponibilità di Aldo Ivančić e Dario Seraval per chiedere loro un’opinione su quel che sta accadendo in Ucraina e altrove.
Inizierei chiedendo ai Borghesia, un commento sullo stato belligerante in cui si trovano certe macroaree mondiali: Russia contro Ucraina; Israele contro Palestina. In che situazione ci troviamo?
Appare chiaro che dobbiamo lasciarci alle spalle l’idea di uno sviluppo lineare che possa comprendere il progresso dei diritti umani, delle libertà e della fratellanza. Viviamo in un periodo storico in cui queste idee sono chiaramente sotto tiro, corriamo dunque il rischio di finire in una situazione ben peggiore di quella a cui eravamo abituati sin poco tempo fa. Potranno intravedere la luce alla fine del tunnel le nuove generazioni, quella nostra certamente no. Desidereremmo poter assistere a uno sviluppo migliore delle cose: per quanto forte sia il nostro desiderio non ci facciamo illusioni e non ci attendiamo che ciò accada finché siamo in vita.
Facciamo un passo indietro… Cos’è andato storto secondo voi?
Abbiamo assistito al collasso del sistema socialista nell’Europa dell’est, un sistema che di per sé è stato ingiusto e repressivo. Eppure, era in grado di mantenere intatta l’idea della solidarietà tra i lavoratori appartenenti a diverse nazioni. Si basava sull’ideologia della lotta di classe. Il vuoto lasciato da questa disintegrazione è stato colmato sia a est sia a ovest dalla peggior forma dello sciovinismo nazionalista. Nei paesi dell’ovest gli standard sono peggiorati a seguito del fatto che il capitalismo, non avendo più il sistema socialista a fare da contraltare, ha smesso di prendersi cura dello stato sociale. Il neoliberismo è in ascesa dappertutto, la sua ideologia di base del libero mercato è mascherata dal nazionalismo, che riguarda le popolazioni intere.
Cosa implica ciò?
Riteniamo che per i neoliberisti il nazionalismo funga da strumento per governare. Sono venuti alla ribalta coloro a cui non sono estranei il razzismo, lo sciovinismo, la misoginia, il machismo, il neonazismo, tutti elementi fatti passare come utili alla causa nazionale e alla conservazione della tradizione. Chiariamo una cosa: i neoliberisti non sono al momento al potere, ma vi si avvicinano con passo spedito.
La sinistra nel frattempo che fine ha fatto?
Purtroppo con il crollo del socialismo la sinistra non è stata in grado di concepire una nuova coscienza collettiva in maniera produttiva. Per quanto concerne la sinistra siamo tornati ai tempi che precedevano la Seconda guerra mondiale.
Come interpretate il conflitto tra la Russia e l’Ucraina, è possibile schierarsi a favore degli uni o degli altri? Non c’è il pericolo di un ritorno alle verità “assolute” che grazie alla teoria postmoderna sembravano essere cosa del passato?
Che si tratti dell’Ucraina oppure della Palestina non si tratta di “verità assolute”, bensì di una scelta cosciente da che parte schierarsi. Non esiste una posizione neutrale da cui poter osservare gli eventi in maniera obiettiva e rilassata. I Borghesia sono schierati con il popolo ucraino in quanto le nostre simpatie sono per chi è stato attaccato e anche per il fatto che contro gli ucraini si sta usando la politica della forza, la logica del più forte. Gli ucraini non sono del tutto innocenti, ma bisogna riconoscere che in Russia le forze neonaziste sono ben più forti che in Ucraina, alla faccia degli argomenti che Vladimir Putin usa come pretesto per l’invasione. Per rendersene conto basta leggere qualche testo di Aleksander Dugin, il principale ideologo di Putin, il quale aveva ipotizzato un attacco all’Ucraina già nel 2008, senza dover nemmeno discutere l’idea balzana da lui sostenuta riguardo alla creazione di un mega stato dell’Eurasia da Lisbona a Vladivostok con Mosca capitale. Anche Putin in un suo saggio del 2021 nega all’Ucraina lo status di una nazione indipendente. Ci torna perciò in mente un parallelismo con il passato: la logica russa rispecchia la stessa logica che era al potere al tempo in cui è iniziata la disgregazione della Jugoslavia.
Cosa mi dite di quel che sta accadendo invece tra Israele e Palestina?
Vale la stessa logica di quanto appena descritto. Anche se il fondamentalismo di Hamas ci è del tutto estraneo, riteniamo che quel che Netanyahu sta compiendo verso i civili palestinesi sia la rappresentazione e la conseguenza di un vero e proprio fondamentalismo ebreo al potere. In tutte le circostanze stiamo dalla parte dei più deboli, di coloro che subiscono, è un sentimento radicato in noi. Da bambini, quando guardavamo i western, simpatizzavamo entrambi con gli indiani e con i partigiani.
Facciamo una puntualizzazione: il manifesto è nato nel 2011 ed è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian. Gli autori del suddetto manifesto sono studenti che operano sotto il nome collettivo “Gaza Youth Breaks Out”. Basandoci sul testo abbiamo inciso la canzone 194, pubblicata nell’album In človek je ustvaril boga (“E l’uomo creò dio”) del 2014. Il titolo della canzone si riferisce al fatto che la Palestina dovrebbe rappresentare il 194esimo membro delle Nazioni Unite. Il brano è un’espressione di protesta catartica verso la situazione d’impotenza e di disperazione in cui si trovano molti palestinesi, soprattutto chi tra loro ha voglia semplicemente di vivere una vita normale. È la testimonianza del fatto che “dio” si è scordato di queste persone. La strofa nella canzone si traduce dunque più e più volte nel grido contro Hamas, contro Israele, contro Fatah, contro le Nazioni Unite e contro gli Stati Uniti (e con il proclama finale: “Noi diciamo stop. Questo non è il futuro che vogliamo. Vogliamo la libertà e la possibilità di vivere una vita normale. Chiediamo la pace: chiediamo troppo?”, ndr).
Che idea vi siete fatti riguardo le ragioni che hanno portato alla censura della canzone in oggetto?
Youtube, Spotify, Apple e le altre piattaforme digitali hanno indirizzato alla nostra casa discografica, Dallas records, la richiesta di togliere la canzone dal catalogo. E ciò che sentenziano le corporazioni multinazionali bisogna oggigiorno eseguire e pertanto nell’attimo successivo rischi già di non esserci più. La censura oggi non è qualcosa da tenere nascosto, questo non ci sorprende più di tanto. Quel che invece ci ha sorpreso oltremodo è stato il tipo di risposta dei media di sinistra, che non hanno reagito in alcun modo a un chiaro esempio di repressione e di violazione della libertà d’espressione. Ebbene, dovesse andare avanti così, oggi è toccato a noi; domani toccherà a loro.
Permettetemi di finire l’intervista con un’ultima domanda, che riguarda il 120esimo anniversario del poeta sloveno Srečko Kosovel, a cui avete dedicato il vostro ultimo lavoro discografico. Riproporrete dal vivo le canzoni contenute in Proti Kapitulaciji (“Contro la capitolazione”)?
Abbiamo deciso che il gruppo Borghesia non farà più concerti. D’ora in poi ci dedicheremo solo ed esclusivamente al lavoro in studio. A malincuore dobbiamo confessare che non potremo perciò più supportare Kosovel dal vivo, anche se ci sarebbe piaciuto farlo. Con Proti Kapitulaciji riteniamo di aver prodotto un album eccellente, un nostro omaggio personale a questo poeta, riproponendolo nei giorni nostri. Kosovel è un poeta sempre molto attuale.
Aldo Ivančić e Dario Seraval, vi ringrazio della vostra disponibilità.
Nato a Trieste, dopo gli studi conseguiti all’Università dell’Essex e all’Università di Cambridge, è stato cultore in Economia politica all’Università di Trieste. È stato co-redattore della rivista online di economia “WEA Commentaries” sino alla sua ultima uscita. Si interessa di economia, sociologia e nel tempo libero ha seguito regolarmente il basket europeo ed in particolare quello dell’ex-Jugoslavia nel corso degli ultimi anni. Ha tradotto per vari enti ed istituzioni atti e testi dallo sloveno all’italiano e dall’italiano allo sloveno.