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Quelli della mia generazione hanno tutti in comune il primo ricordo del corpo di un morto. Come se il ministero dell’Istruzione avesse emesso una direttiva (e di certo sarà stato così) affinché tutti, fin dalle prime classi, visitassero il mausoleo di Georgi Dimitrov. Comunque, il primo incontro con la morte rimaneva per tutta la vita. Il mausoleo te lo assicurava dal vivo, per così dire.
Con queste parole lo scrittore bulgaro Georgi Gospodinov affida i suoi ricordi d’infanzia legati al mausoleo di Georgi Dimitrov al narratore di Cronorifugio(trad. it. Giuseppe Dell’Agata, Voland, 2021). Eretto in meno di una settimana nel centro di Sofia, tra il teatro nazionale Ivan Vazov e la Casa del partito (Partien dom) nell’estate 1949, il parallelepipedo di pietra bianca è stato meta di pellegrinaggio di scolaresche, comuni cittadini, turisti, esponenti politici nazionali e internazionali per ben mezzo secolo. Oggi al suo posto non resta che una piazza vuota.
Georgi Dimitrov, “l’allievo più fedele di Lenin e Stalin”
La turbolenta parabola di Georgi Dimtirov può in effetti essere riassunta come una commistione dei percorsi tracciati da Lenin prima e da Stalin poi, tra esili, attentati, insurrezioni, discorsi incendiari, pugno di ferro e culto della personalità. Nato nel 1882 in una cittadina della Bulgaria occidentale e cresciuto a Sofia in una famiglia di rifugiati macedoni, prima di diventare segretario generale del Partito comunista bulgaro (BKP) è attivissimo in ambito sindacale e politico. Nel 1913 viene eletto a deputato, e nel 1919 è tra i membri fondatori del BKP.
Nel 1923 è a capo della fallita Insurrezione di settembre (Septemvrijsko văstanie), tentativo dei comunisti di prendere il potere in Bulgaria con la violenza su spinta del Comintern, dopodiché lascia il paese e trascorre vari anni in esilio tra Berlino, Vienna e soprattutto Mosca. Fervente estimatore della rivoluzione bolscevica, nel 1925 ha un ruolo – seppur ancora controverso – nell’attentato alla cattedrale di Sveta Nedelja a Sofia, in cui perdono la vita oltre 100 persone, e viene condannato a morte in contumacia. Nel frattempo ricopre varie posizioni all’interno del Comintern a Mosca e gira l’Europa partecipando ai congressi comunisti in Germania, Austria, Olanda, Svizzera, Polonia e Jugoslavia.
Dopo un lungo periodo di cura a Kislovodsk, nel giugno 1932 torna a Berlino. In seguito all’incendio del Reichstag del febbraio 1933 viene arrestato e incarcerato per un anno, nonostante abbia un alibi. L’anno seguente rientra a Mosca, dove stringe rapporti sempre più stretti con Stalin, senza cadere vittima delle purghe. Nel 1943 è eletto a capo del Comintern, e continua nel proprio impegno politico nonostante diversi i problemi di salute che lo affliggono. Il 9 settembre 1944 il BKP prende le redini del paese con un colpo di stato appoggiato dai sovietici: nasce la Repubblica Popolare di Bulgaria.
Nello stesso periodo Dimitrov stipula un accordo con Tito per la realizzazione di una futura unione bulgaro-jugoslava che accomuni tutti gli slavi del sud, progetto subito bloccato da Stalin. I rapporti tra i due politici balcanici comunque proseguono. Nel 1945 Dimitrov rientra in patria dopo 22 anni di esilio e diventa capo di governo grazie a una serie di azioni repressive che mettono a tacere l’opposizione. L’introduzione di un aggressivo sistema di censura, l’allontanamento degli avversari politici dal parlamento e l’adozione di una nuova carta costituzionale segnano l’avvio del regime totalitario nella nazione.
Tra il 1947 e il 1948 Georgi Dimitrov firma una serie di accordi di cooperazione con la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, la Repubblica Popolare Socialista d’Albania e la Repubblica Socialista di Romania, scatenando aspre critiche da parte dell’Unione Sovietica. Dopo la rottura tra Tito e Stalin nella primavera del 1948, il BKP è l’unico a non prendere apertamente le distanze dal capo di governo jugoslavo, facendogli anzi recapitare gli auguri di compleanno il 7 maggio. Dimitrov continua a visitare molto spesso l’Urss, frequentarne i luoghi di cura e incontrare Stalin. Il 2 luglio 1949 muore presso il sanatorio di Barvicha, non lontano da Mosca, ufficialmente per un’emorragia al fegato, ma con tutta probabilità per mano dello stesso Stalin.
In meno di 24 ore dall’arrivo della notizia il Consiglio dei ministri bulgaro prende la decisione di imbalsamarne il corpo, che nel frattempo è esposto a Mosca, e costruire un mausoleo. Come racconta Gospodinov, l’immobile viene “tirato su con cemento davvero indistruttibile in sei giorni”, il tempo necessario alla salma per rientrare in patria. Il figlio dell’architetto che l’ha progettato, Georgi Ovčarov, ricorda che alle 22 del 2 luglio il direttore del Glavproekt si era presentato a casa incitando il padre a preparare un progetto da presentare entro le ore 12 del giorno seguente e aggiudicarsi il bando.
L’edificio che viene eretto è in pietra bianca, ha la forma di un cubo schiacciato con quattro colonne per lato e poggia su uno stilobate. L’ingresso è sorvegliato da due guardie che si danno il cambio ogni ora seguendo una coreografia molto simile a quella che oggi si può osservare davanti al palazzo presidenziale. Il 10 luglio con una cerimonia solenne il cadavere imbalsamato di Georgi Dimitrov è collocato nella sala principale, all’interno di una bara di vetro; c’è soltanto una parte di facciata ancora incompleta, coperta da un drappo nero. Da quel momento al suo interno verrà forgiato il primo ricordo del corpo di un morto di intere generazioni, incluso quella dello scrittore bulgaro.
Ci portavano lì da ogni parte della Bulgaria. Sballottati per tutta la notte sul più lento dei treni regionali, per risparmiare il costo di una notte in città. Al mattino ancora insonnoliti, cisposi, arrivati direttamente dalla stazione, aspettiamo davanti al mausoleo, sprofondati nella nebbia di novembre. La paura ci prende quando arriva il momento di entrare. Passiamo accanto alle guardie davanti all’ingresso, che sono assolutamente immobili. Avranno imbalsamato anche loro? All’interno i corridoi diventano quasi bui, illuminati da torce elettriche e freddi come un frigorifero. Il mausoleo è un frigorifero, s’intende. Qualcosa di simile a un surgelatore, come quelli dove le nostre mamme ficcano stinchi di maiale e polli, perché non si rovinino.
L’edificio è realmente dotato di un capillare e intricato sistema di climatizzazione che mantiene una temperatura costante di 17 gradi centigradi, e un generatore di corrente in caso di blackout. Il sarcofago poggia su una sorta di montacarichi che a cadenza trimestrale fa scendere il corpo di Dimitrov nell’apposita sala dove riceve i trattamenti previsti per la sua manutenzione e conservazione.
Si tratta però soltanto di una delle numerose stanze che formano il complesso dei sotterranei del mausoleo, il quale comprende un’area di circa 15mila metri quadrati a cui hanno accesso soltanto responsabili di alto livello. Una leggenda metropolitana vuole ci sia anche una centrale telefonica segreta che permette alle maggiori cariche dello stato di comunicare tra loro in via strettamente confidenziale.
Dopo il 1989
La fine del regime socialista in Bulgaria, pur non innescando una rivoluzione violenta come in Romania, conduce a una deriva iconoclasta che ha come obiettivo i simboli del comunismo. Nel luglio 1990 si decide di rimuovere il corpo di Dimitrov dal mausoleo, già sopravvissuto a un tentativo di esplosione nel 1956 sventato dai servizi segreti di stato. La salma viene estratta forse da un’uscita sul retro, forse attraverso un tunnel sotterraneo, cremata e tumulata nella tomba di famiglia, nel Cimitero centrale di Sofia. Si dice che l’incenerimento sia durato ben sei ore.
Inizia un periodo di lunghi dibattiti e discussioni sul futuro della costruzione, ormai abbandonata, che nel frattempo viene ricoperta di graffiti. Nel frattempo, alcune analisi svolte sulla mummia di Dimitrov prima della cremazione rivelano inspiegabili tracce di mercurio nel cervello e nei capelli, dando adito alla tesi dell’avvelenamento. Nel 1999 il governo di Ivan Kostov delibera la demolizione dell’edificio.
I lavori iniziano il 21 agosto, la prima esplosione avviene alle 14:37, attorniata da una folla di curiosi che riprendono ed esultano. La costruzione però non crolla, si inclina soltanto. Seguono altre tre grandi detonazioni, dopodiché lo smantellamento è terminato da macchinari. Nel tardo pomeriggio del 27 agosto 1999 gli ultimi resti vengono rimossi.
Il mausoleo di Georgi Dimitrov è stato quindi eretto in sei giorni e distrutto in sei giorni. Ciò che rimane oggi è la fitta rete dei sotterranei, che attualmente si trovano in stato di abbandono. Dal 2019 sono accessibili ai giornalisti, ma rimangono chiusi per il pubblico generico. Diversi progetti di riqualificazione sono stati proposti, nessuno però è stato realizzato.
Traduttrice, interprete e scout letterario. S'interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove ha conseguito la laurea in traduzione presso l'Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Nel 2023 è stata finalista del premio Peroto per la migliore traduzione dal bulgaro in lingua straniera e nel 2024 vincitrice del premio Polski Kot. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours.