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A seguito della mobilitazione dei cittadini di Prilep, costituitisi in un’organizzazione locale per la tutela ambientale, l’operato del consorzio turco-americano Enka-Bechtel è finito sotto la lente del tribunale di Prilep. Al vaglio non è solo l’impatto delle sue azioni in Macedonia del Nord, ma anche la natura opaca dell’accordo con l’appaltatore, avvenuto senza gara pubblica grazie ad una legge ad hoc approvata nel luglio 2021.
La strada che da Skopje conduce a Prilep è una lunga, irregolare striscia di asfalto che percorre la valle del Vardar in direzione sud-est, costeggiando l’omonimo fiume fino al villaggio di Gradsko, quando vira con decisione in direzione sud-ovest. Il paesaggio che scorre davanti agli occhi è montuoso, scosceso, a tratti brullo. In questa stagione dell’anno la roccia si fa rovente quasi quanto l’asfalto, solcato perlopiù da turisti in viaggio verso le coste greche.
Non serve un occhio particolarmente attento per scorgere, qua e là lungo le pendici dei monti, delle cicatrici profonde che ne solcano i fianchi e rompono l’armonia, per quanto spigolosa, del panorama. Si tratta di cave e miniere volte a prelevare dal terreno minerali e materiali d’ogni tipo, dei quali il paese abbonda. Se ne contano almeno 66 in tutta la Macedonia del Nord, con una densità particolarmente elevata lungo il corso del Crna Reka e nei dintorni di Prilep.
Il paesaggio non è però l’unica vittima di questi scavi. A parlarmene sono i cittadini di Prilep e del circondario presenti al presidio permanente a qualche chilometro dalla città, eretto il mese scorso per bloccare la strada ai macchinari e impedire così facendo l’ulteriore deturpazione della loro montagna. Secondo Gjorgji Georgioski, membro del Comitato per la protezione del patrimonio naturale e culturale della Macedonia e tra i fondatori dell’organizzazione per la tutela ambientale Spas za Prilep (Salvezza per Prilep), è in corso una vera e propria distruzione del patrimonio naturalistico del paese, appaltato dallo stato a imprese straniere.
La battaglia per Karakamen
Il progetto prevede l’edificazione di 34 ponti, 34 cavalcavia, 24 sottopassi, per un totale di 21 milioni di metri cubi di scavi e 1,1 milioni di tonnellate di asfalto. Come riportato sul sito di Enka con una sottile punta d’orgoglio, si tratta del “più grande investimento infrastrutturale nella storia della Macedonia del Nord”, pari a circa un miliardo e trecento milioni di euro, più circa 300 milioni di costi aggiuntivi per l’esproprio dei terreni (un’enormità, se si considera che il prodotto interno lordo del paese nel 2022 ammontava a circa tredici miliardi di euro).
Il riferimento è al consorzio turco-americano Enka-Bechtel, al quale nel marzo 2023 è stato affidato l’appalto per la costruzione di 109 chilometri dei corridoi 8 e 10d, destinati a rafforzare i collegamenti autostradali e ferroviari lungo le assi nord-sud e est-ovest.
Un investimento, tuttavia, pianificato senza tenere in debita considerazione le esternalità negative del progetto. Ad appena 10 chilometri a sud di Prilep, tra i villaggi di Sheleverci e Alinci, sorge il sito di Karakamen, composto dai siti più piccoli di Sheleverski Kamen e Alinski Kamen.
Ci troviamo vicino alle pendici occidentali della montagna Selečka, che fa parte dell’unità tettonica della Pelagonia all’interno della cintura orogenica Dinarica. Si tratta di un territorio estremamente interessante dal punto di vista geologico, in quanto sede di numerosi minerali rari come la macedonite, scoperta proprio in questo luogo da Dušan Radusinović e Cvetko Markov nel 1971 e presente in modeste quantità solo in Macedonia del Nord e in Svezia.
Come denunciato a dicembre dell’anno scorso dal Comitato in un inascoltato appello al ministero degli Interni, l’implementazione senza variazioni del progetto comporterebbe il rischio di una perdita significativa della ricchezza mineraria macedone.
Come se non bastasse, il sito ha anche un significativo valore archeologico e culturale: nel tempo sono infatti stati ritrovati resti di vasi in ceramica, abitazioni in pietra, strumenti di selce e figure antropomorfe che testimoniano l’esistenza di un insediamento preistorico risalente al periodo eneolitico (3500-2500 a.C.). L’area prescelta ospita anche una specie di farfalla endemica in pericolo di estinzione, chiamata sivec, e gli scavi comporterebbero la distruzione del suo habitat.
“Il Karakamen dovrebbe diventare un museo a cielo aperto”, sostiene Georgioski, “non essere distrutto per ricavare materiale da risulta per il fondo della nuova strada Prilep-Bitola. È insensato: ci sono numerose cave di pietra nelle vicinanze da utilizzare a questo proposito”. Viene quasi il sospetto, mi confida, che l’espediente del materiale da risulta da prelevare per la costruzione fosse solo una scusa per ricercare e appropriarsi dei minerali più preziosi del sito.
Fortunatamente a seguito della mobilitazione della cittadinanza, che ha iniziato a riunirsi regolarmente sul sito per denunciare queste insensatezze, il consorzio ha deciso di cessare gli scavi. Spostando però le sue attività estrattive una ventina di chilometri a nord-est, lungo il versante da dove sgorgano le fonti di approvvigionamento idrico di Prilep.
Ed è proprio il possibile inquinamento di queste che preoccupa maggiormente gli abitanti di Oreovec, un villaggio a una dozzina di chilometri da Prilep. Dalla cava di pietra locale si sta estraendo il materiale per la costruzione del tratto autostradale Prilep-Bitola, ma anche per i tratti Tetovo-Bukojčani e Trebeništa-Kfasan, sempre in mano al consorzio Enka-Bechtel.
“Le uniche 4 fonti di approvvigionamento idrico locali si trovano su quel versante del monte Babuna”, mi informa Georgioski, “tra i villaggi di Oreovec, Krstec e Pletvar. Il resto del fabbisogno viene soddisfatto importando l’acqua dalle città limitrofe”.
Il timore, affatto infondato, è che l’estrazione mineraria, che avviene ad appena 200 metri dal villaggio e che sta già danneggiando la salubrità dell’aria con polvere di silicato, finisca per inquinare le falde acquifere della sorgente.
Anche in questo caso i residenti si chiedono per quale motivo il materiale da risulta non venga estratto dalle vicine miniere di marmo, dove giace abbandonato da decenni e dove le continue esplosioni a scopo estrattivo non mettano a repentaglio la stabilità delle loro abitazioni.
Alla questione ambientale se ne somma inoltre una legale. Nonostante non risulti atto dell’avvenuta espropriazione dei terreni interessati e nonostante la concessione per l’attività estrattiva sia ancora in fase di approvazione da parte del competente ministero dell’Economia, il consorzio Enka-Bechtel ha già iniziato a prelevare materiale dalle miniere, deturpando irreversibilmente il versante montuoso interessato.
“È stato allora che abbiamo deciso di bloccare la strada di accesso al giacimento”, afferma un abitante di Oreovec. “Se le istituzioni non tutelano il patrimonio ambientale del paese è nostro dovere farlo”.
Nel frattempo, però, qualcosa sembra che abbia iniziato a muoversi anche dal punto di vista istituzionale. “La revisione di costituzionalità è necessaria”, spiega Žarko Stevanovski, legale rappresentante degli abitanti di Oreovec, motivando la decisione di presentare ricorso alla Corte costituzionale contro la legge che consentirebbe al consorzio Enka-Bechtel l’attività estrattiva, “perché è stato violato il principio costituzionale sulla protezione dell’ambiente e della natura”.
A seguito del ricorso, il tribunale di Prilep ha disposto accertamenti sull’impatto ambientale del progetto e sulla sicurezza dei residenti e degli edifici di Oreovec. “Sono state rilevate tante cose”, ha dichiarato il pubblico ministero Ljupčo Kocevski, “riguardo il consorzio e tre società collegate. Finora sono emerse alcune illogicità nell’accordo. Si stanno intraprendendo delle azioni e penso che presto la procura prenderà una decisione in merito”.
Per esempio, spiega, “la società Electra Solutions ha ottenuto la licenza per la supervisione dopo che era già stato annunciato l’appalto pubblico”. Il tribunale di Prilep ha dato 30 giorni di tempo al consorzio Enka-Bechtel per consegnare alla corte la documentazione relativa ai permessi per le esplosioni e gli scavi nell’area.
Ma non si tratta delle uniche incongruenze e opacità dell’accordo. Lo stimato professore di ingegneria meccanica Risto Tsitsonkov ha recentemente sollevato tutta una serie di dubbi sull’appalto stesso: “Come si è giunti a superare l’esorbitante cifra di un miliardo di euro, se non esiste né un progetto concettuale né un progetto di base? Se non vengono specificati tutti i materiali utilizzati e la corrispondente manodopera, compresa di costi unitari?”.
La domanda resta per ora senza risposta, ma apre a tutta una serie di interrogativi collaterali. Come la ragione per cui l’accordo concluso non sia di dominio pubblico, sebbene la commissione anticorruzione macedone abbia sottolineato a più riprese come la segretezza dei contratti stipulati tra pubblico e privato aumenti esponenzialmente il verificarsi di atteggiamenti clientelari tra le parti contraenti.
Il consorzio, conclude il professore, sembra non avere né i mezzi né le risorse per portare a termine il mastodontico progetto: a più di un anno dall’assegnazione dell’appalto non è stato costruito nemmeno un chilometro di strada.
Restano ancora tre anni di tempo, ma il fatto che Enka-Bechtel abbia chiesto il supporto della Camera di commercio macedone per assicurare 4mila lavoratori edili al progetto non fa certo ben sperare. Come in ogni contratto, dovrebbero essere previste delle penali in caso di ritardo nella consegna dei lavori, ma non essendo esso a disposizione del pubblico i cittadini non possono saperlo con certezza.
Ciò che invece è noto è che, a fronte di zero chilometri di strada costruiti, l’erario ha già sborsato all’appaltatore 230 milioni di euro.
Enka-Bechtel: una partita ancora aperta
Gli organizzatori dei blocchi sono convinti a non desistere dalla loro lotta fino a quando non avranno ricevuto tutte le garanzie del caso.
“Noi difendiamo il nostro villaggio, la nostra acqua potabile, la nostra montagna, la nostra natura. A loro interessa solo sfruttare il nostro territorio e fare soldi, noi invece qui dobbiamo viverci. E questo conta più di qualsiasi altra cosa” chiosa Georgioski.
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.