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Per gli amanti dei paesaggi naturali, la Bosnia ed Erzegovina rappresenta un vero e proprio paradiso, con fiumi dall’acqua cristallina che attraversano città e paesini prima di tornare a perdersi tra boscose montagne. Ma questa immensa bellezza viene costantemente minacciata dalla mano poco attenta dell’uomo. Gli alti livelli di inquinamento e le difficoltà ad applicare adeguate politiche di tutela ambientale rischiano infatti di distruggere una delle più importanti ricchezze del paese. Non mancano, però, significativi esempi di lotte ambientali in Bosnia.
Un quadro preoccupante
Lo scorso marzo, il Consiglio Europeo ha finalmente dato il via libera alle negoziazioni per l’adesione della Bosnia ed Erzegovina all’Unione. Tra i vari capitoli negoziali, il ventisettesimo è quello riguardante la tutela ambientale e prevede l’adeguamento della legislazione nazionale a quella, ben più stringente almeno dal punto di vista formale, dell’Unione Europea. Per molti, questo potrebbe accelerare i progressi nel settore, superando limiti oggettivi e resistenze politiche.
Al momento però, i progressi registrati negli ultimi anni sono tutt’altro che incoraggianti. Lo rileva la stessa Commissione Europea nel suo Progress Report del 2023. Il quadro che emerge nel capitolo dedicato proprio ad “ambiente e cambiamenti climatici” è tutt’altro che roseo. Non solo la Commissione nota che “la legislazione relativa a gas, elettricità, energie rinnovabili ed efficienza energetica deve ancora essere adottata” ma sottolinea anche come manchi del tutto una strategia nazionale per la protezione ambientale e per la gestione delle acque reflue urbane e soprattutto come non vi siano stati progressi in materia di controllo dell’inquinamento industriale e gestione del rischio.
L’impasse istituzionale
A tutto ciò si aggiunge un complesso impianto istituzionale, con il paese diviso in due entità con ampie autonomie, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (BiH) e la Republika Srpska, che fatica così a trovare una risposta unitaria e coordinata al problema. Il risultato è una legislazione ambientale poco stringente e confusa, mentre la collusione tra politica e grandi gruppi industriali ostacola interventi decisivi e trasparenti.
A mancare, in questi anni, è stata soprattutto una volontà politica forte, capace di superare le divisioni interne e mettere al primo posto la salute dei cittadini e la tutela dell’ambiente. Il caso relativo alla concessione “in uso temporaneo” alla compagnia britannico-australiana Adriatic Metals spa di 7,24 ettari di terreno forestale per lo sfruttamento dei giacimenti di piombo, zinco, barite e metalli preziosi nell’area di Vareš, voluta dal governo della Federazione BiH e recentemente sospesa dalla Corte Costituzionale, è solo l’ultimo eclatante episodio di scontro tra le istituzioni bosniache.
Gli alti livelli di inquinamento, dell’aria e dell’acqua in particolare, si devono soprattutto alla mancata modernizzazione del settore industriale ed energetico, ormai obsoleto e spesso fermo a prima della guerra, così come alla presenza di centrali a carbone, agli scarsi controlli sulle emissioni delle industrie e a un sistema di riscaldamento domestico spesso inefficiente. Il risultato è una diffusa coltre di fumo che, specie nei mesi più freddi, sale dalle canne fumarie delle case per soffocare le città bosniache.
Un dato in particolare sembra confermare lo stretto legame tra un’economia quasi completamente deregolamentata e gli alti livelli di inquinamento registrati in Bosnia. Secondo i dati forniti dall’Amministrazione delle imposte indirette della Bosnia ed Erzegovina, nel 2023 le più grandi imprese presenti in Bosnia per volumi di importazioni ed esportazioni sono state quelle legate all’industria pesante, notoriamente tra le attività più inquinanti. Tra le più note ci sono la ArcelorMittal di Zenica, considerata “l’Ilva bosniaca”, la Sisecam soda di Lukavac, il produttore di materie prime industriali Alumina Zvornik e la Alluminio Industria Mostar.
Le minacce all’ambiente
Secondo i dati forniti dall’Agenzia Europa dell’Ambiente, quasi tutti i punti di misurazione della presenza di polveri sottili e altre sostanze inquinanti in Bosnia hanno registrato negli anni passati concentrazioni elevate e pericolose per la salute. Altrettanto allarmante è quello che succede con i corsi d’acqua.
A rendere famosa la Bosnia sono stati anche i suoi fiumi. Dalla Drina, la cui storia è stata narrata nel capolavoro di Ivo Andrić Il ponte sulla Drina, alla Bosna, da cui deriva il nome del paese, passando per l’Una e la Narenta, teatro di leggendarie battaglie tra partigiani titini e occupanti nazifascisti durante la seconda guerra mondiale. Da alcuni anni, gli oltre duecento corsi d’acqua che scorrono in Bosnia sono al centro di progetti di investimento non sempre trasparenti.
L’oro blu, come viene sempre più spesso considerata l’acqua, stimola l’interesse di numerosi investitori pronti ad approfittare delle maglie larghe della politica bosniaca per ricavare profitti dallo sfruttamento dei fiumi attraverso la costruzione di centinaia di mini centrali idroelettriche. Centrali che non solo modificano il paesaggio circostante ma trasformano in profondità l’equilibrio naturale dei luoghi in cui vengono costruite, con gravissime ricadute per l’ambiente e gli abitanti.
L’Agenda verde per i Balcani
Un primo tentativo di prendere in seria considerazione la tutela dell’ambiente e cominciare a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici si è concretizzato nel 2020, quando i governi della regione, con il supporto delle istituzioni europee, hanno adottato l’Agenda Verde per i Balcani occidentali, un piano che ambisce a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e sviluppo sostenibile già previsti dal New Green Deal dell’Unione Europea.
L’Agenda prevede, tra le altre cose, l’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili e la riduzione nell’uso del carbone fino a raggiungere la carbon neutrality entro il 2050, anche grazie all’efficientamento energetico degli edifici con l’obiettivo di migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua nella regione.
Tra i principali progetti previsti per la Bosnia rientra l’ammodernamento della centrale elettrica a carbone di Tuzla per cui sono stati stanziati circa 50 milioni di euro, la costruzione di una nuova centrale idroelettrica nelle vicinanze di Mostar per aumentare la produzione di energia rinnovabile e la costruzione di un grande parco eolico nella regione di Travnik finanziato con un prestito di oltre 50 milioni di euro da parte della Banca Europea per gli Investimenti e del Western Balkan Investment Framework.
Le lotte ambientali in Bosnia
In attesa che le politiche nazionali, regionali ed europee comincino effettivamente a mostrare un cambio di rotta, la popolazione bosniaca già da diversi anni si è mobilitata per proteggere i propri fiumi e per vedersi riconosciuto il diritto a vivere in un ambiente sano. Da anni, attivisti ambientali e organizzazioni non governative lottano contro la costruzione delle mini centrali idroelettriche e i disastri naturali che contribuiscono ad alimentare, come le sempre più forti inondazioni che colpiscono il paese.
Sono decine ormai le realtà presenti in tutta la Bosnia, tra queste l’iniziativa civica Pusti me da tečem (Lasciatemi scorrere) nata nel 2000 contro la costruzione di 15 centrali idroelettriche lungo la Neretva e la privatizzazione delle risorse idriche. Una battaglia che si concluse con la sospensione dei progetti di privatizzazione e l’adozione di una nuova legge sulle risorse idriche. I cittadini della regione di Doboj, nel nord del paese, si sono invece uniti per fermare lo sfruttamento della ghiaia del fiume Bosna. Nel 2019 è nato inoltre una coalizione, Partenariato 27, formato da organizzazioni della società civile con l’obiettivo di monitorare il processo di armonizzazione al diritto dell’UE nel settore della tutela dell’ambiente e del contrasto ai cambiamenti climatici.
Altrettanto significativo il ruolo giocato dalla rete Eco-BiH e dai centri Aarhus di Banja Luka, Tuzla, Sarajevo e Zenica. Entrambe queste iniziative si impegnano a stilare report e raccomandazioni per le istituzioni bosniache, informare i cittadini, favorire la loro partecipazione ai processi decisionali anche attraverso azioni dirette e di lotta lì dove necessario.
Davide contro Golia
Gli attivisti, riuniti in organizzazioni non governative e gruppi informali, non devono però lottare solo contro il peggioramento costante dell’ambiente in cui vivono ma anche contro grandi gruppi imprenditoriali, spesso internazionali. Come dimostrano le cronache degli ultimi anni, più aumenta la mobilitazione più le aziende coinvolte nei progetti cercano di zittirle.
Lo fanno tramite minacce e campagne denigratorie nei confronti degli attivisti ma anche tramite strumenti noti come SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), azioni legali intentate contro chi si batte per questioni di interesse pubblico come la tutela dell’ambiente. Lo scopo di queste querele non è quello di ottenere giustizia, ma di intimidire e silenziare le voci critiche, costringendo gli attivisti a sostenere costose e lunghe battaglie legali.
Nonostante questo però, la popolazione bosniaca sembra non volersi più voltare dall’altra parte e continuare a difendere la propria terra dallo sfruttamento e, con essa, il proprio futuro.
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.