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Harald Jäger, l’uomo che aprì il confine

Per quanto io sappia, da subito, immediatamente.

Sono le 18.53 del 9 novembre 1989 e Günter Schabowski, da tre giorni portavoce del governo della Repubblica Democratica Tedesca, ha appena risposto a Riccardo Ehrman, giornalista italiano che lo ha incalzato per chiedere quando sarebbero entrate in vigore le nuove norme di viaggio per i cittadini della DDR. La risposta titubante del 60enne, già caporedattore di Neues Deutschland, l’organo ufficiale della SED, il partito di governo della Germania Est, causerà una serie di eventi inaspettati che da lì a poche ore avrebbero portato all’apertura delle frontiere e alla caduta del Muro di Berlino.

Un’invasione pacifica senza spargimenti di sangue, possibile anche grazie a un uomo che per storia e idee non poteva essere più lontano da chi oltrepassava il Muro. Si chiama Harald Jäger e questa è anche la sua storia.

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Harald Jäger e Bornholmer Straße

Le parole di Günter Schabowski fanno il giro del mondo ed entrano anche nelle case dei cittadini della Repubblica Democratica Tedesca. La conferenza stampa la ascolta pure Harald Jäger. Ha 47 anni e da quando ne ha 18 fa parte della Grenzpolizei, la polizia di confine, oltre a essere un dipendente della Stasi, il ministero per la Sicurezza dello Stato.

La sera del 9 novembre Jäger avrebbe terminato il suo turno di 24 ore alle 19, ma dopo l’annuncio di Schabowski, ascoltato mentre è in pausa, decide di non staccare. È l’ufficiale più alto in grado in servizio al varco di Bornholmer Straße, il più a nord dei sette che dividono Berlino Est e Berlino Ovest.

Dopo la prima reazione tra l’infastidito e lo stranito, Jäger, che il Muro di Berlino ha contribuito a costruirlo nel 1961 e che è un convinto comunista, fa quello che ogni altro militare previdente farebbe: cerca di mettersi in contatto con i suoi superiori. Chiama Rudi Ziegenhorn, responsabile del Sesto reparto della Stasi, quello che si occupa dei passaporti e a cui Jäger appartiene. La risposta del superiore è gelida. “Mi chiami per questa stupidata? Chi arriva, mandalo a casa”.

Nessun ordine

Nelle successive due ore Jäger tenta di avere delle indicazioni da chi sta sopra di lui. Intanto a Bornholmer Straße arrivano i primi cittadini della DDR intenzionati a varcare il confine. L’ufficiale li invita a tornare domani. Qualcuno gli fa notare che, se il Partito ha sempre ragione, in questo caso il Partito ha deciso che loro possono viaggiare.

Intanto la folla cresce e Jäger raduna la truppa. “Cosa proponete?” chiede. L’unica cosa che decidono è che non spareranno. Per il resto tutto tace. Nessun ordine, nessuna direttiva.

Via gli indesiderati

Alle 22 Jäger per due volte chiama Ziegenhorn. Alla prima chiamata il suo superiore gli risponde in maniera secca (“tu sai cosa devi fare!”), alla seconda Ziegenhorn lo mette in contatto con Gerhard Niebling, militare e importante membro del Partito. Niebling chiede a Ziegenhorn: “Ci possiamo fidare di questo Jäger o è uno che ha semplicemente paura?”. Il responsabile di Bornholmer Straße prende il suo telefono e gira la cornetta per far ascoltare la voce della folla. La conversazione finisce, ma Ziegenhorn richiama. Ordina di far passare le persone più esagitate apponendo però un timbro sulla foto, così da rendere non valido il loro passaporto per il ritorno.

Su la sbarra

Al confine sono ormai migliaia. A Ovest già si festeggia. Intorno alle 23.30 Jäger chiama l’addetto alla sbarra e gli dice di alzarla. Lui inizialmente non capisce, poi esegue.

Il confine è aperto.

Tra i tanti che passano a Bornholmer Straße, una giovane donna laureata in fisica, figlia di un pastore evangelico. Si chiama Angela Merkel e la storia la vivrà da protagonista altre volte.

Jäger riceve l’approvazione del suo superiore. Continua il servizio fino alle 7, poi torna a casa. Riprenderà la sera successiva, anche se il mondo è cambiato. Sulla sua storia è uscito nel 2014 un film. Jäger ora è un pensionato, è rimasto un comunista ma ha riconosciuto che la DDR aveva sbagliato tutto.

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Roberto Brambilla
Roberto Brambilla

Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.