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In memoria di Bora Đorđević: “Non potevo fare a meno del rock’n’roll”

Non dovevo avere più di 16 anni quando, ascoltando la musica su YouTube, mi imbattei in una canzone che parlava di vari mestieri, tutti quelli che avrebbe potuto fare il cantante, il quale, però, nonostante i consigli del padre, non riuscì proprio a dir di no al rock’n’roll. Nel video ufficiale della canzone, uno scolaro ben vestito, seguito dai propri genitori – entrambi vestiti elegantemente, da persone in carriera – cammina lungo una strada della piatta Vojvodina intonando la canzone.

Pekar, lekar, apotekar (“Panettiere, dottore, farmacista”), questo il nome del pezzo che mi introdusse ai Riblja Čorba, uno dei più famosi gruppi rock serbi e, in generale, ex-jugoslavi, e al suo leader indiscusso, il “duca” Borisav Bora Đorđević. Bora, venuto a mancare il 4 settembre 2024, è stato una delle personalità più bizzarre dell’intera scena musicale e artistica ex-jugoslava. Musicista, provocatore, scrittore, politico. Bora è stato tutto ciò (fedelmente al testo di Pekar, lekar, apotekar) – e questa è la sua storia.

Perché me l’aveva detto papà
Lascia perdere la musica, la scuola è importante
Assicurazione sociale, sanitaria e stipendio regolare
Ma io non potevo fare a meno del rock’n’roll.

Jer lepo je meni govorio tata
Mani muzikante, važna je škola
Socijalno, zdravstveno i redovna plata
Al’ nisam mogao bez rokenrola.

Quando ero giovane: la gioventù e i primi passi nel mondo della musica

Borisav Đorđević – detto Bora – nasce nel 1952 a Čačak, 150 chilometri a sud di Belgrado, da un impiegato dell’esercito e una professoressa di russo e serbo-croato. Bora è fin dall’adolescenza attratto dalla musica. A tredici anni, infatti, suona già il basso in una band chiamata Hermelini (“Ermellini”), influenzata da un gruppo zagabrese famoso negli anni Sessanta, i Roboti. Un paio di anni dopo inizia a suonare la chitarra, dedicandosi al contempo anche alla scrittura di canzoni e di poesie. Bora e i suoi amici si esercitano a suonare nello scantinato della casa di uno di loro, attirando la disapprovazione degli abitanti del quartiere.

I vicini mi vogliono picchiare
A causa del rock’n’roll troppo forte
Menzionano la mia famiglia
Mi fanno impazzire.

Komšije će da me biju
Zbog preglasnog rokenrola
Pominju mi familiju
Teraju me dođavola.

Bora è tanto proficuo a livello artistico-musicale, collaborando con altre band della sua città, quanto incline all’avere problemi con la legge. Insieme a dei suoi amici, infatti, viene arrestato e incarcerato per una settimana dopo anni di furti in case di ricche famiglie. Uno dei suoi amici di gioventù e futuro frontman degli Smak, altra band molto conosciuta, Radomir Mihajlović Točka, ha raccontato al portale Republika.rs che quei furti erano mirati all’ottenere il denaro necessario per comprare strumenti e apparecchiatura musicale di qualità – compreso un amplificatore Marshall.

Un altro suo amico di gioventù e membro della band Hermelini nello stesso articolo afferma che a causa di questi guai con la legge, essendo i genitori di Bora persone rispettabili, proprio quest’ultimi decisero di lasciare la città natale alla volta di Belgrado. I guai con la legge, che il corriere serbo Kurir definisce “malintesi”, costano anche la cacciata dal liceo che Bora frequenta a Čačak. Comunque sia, la nuova vita belgradese, contrariamente a quanto forse sperano i genitori, non lo guarirà, né tantomeno lo renderà un santo.

Quando le prendevo non piangevo
Sono stato picchiato e ho picchiato
Perché allora, allora ero giovane
Avevo solo quindici anni, lei era consumata
La ringrazio, ma è stata scopata
Perché allora, allora ero giovane
A sedici anni sono stato bocciato per la prima volta
Sono scappato di casa e non mi son fatto sentire
Perché allora, allora ero giovane
Un po’ mentivo, ero impulsivo
Non rendevo conto a nessuno di ciò che facevo
Perché allora, allora ero giovane

Kad dobijem batine nisam kukao
Bio sam tučen i ja sam tukao
Jer tad, tad sam bio mlad
Ja samo petnaest, ona ofucana
Fala joj, ali bila je tucana
Jer tad, tad sam bio mlad
Sa šesnaest sam prvi put ponavljao
Pobego od kuće i nisam se javljao
Jer tad, tad sam bio mlad
Malo sam lagao, bio sam nagao
Nikome račun nisam polagao
Jer tad, tad sam bio mlad

Sono sempre quello stesso stupido: Belgrado, anni Settanta

A Belgrado Bora finisce il liceo e si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, che lascia dopo due anni di studi poco proficui. Durante gli studi frequenta il teatro belgradese Atelje 212, partecipando all’opera rock Jesus Christ Superstar e conoscendo personalità famose nel mondo dello spettacolo come Zlatko Pejaković, cantante del famoso gruppo Korni Grupa.

Dopo aver fondato nel 1973 il gruppo rock Zajedno (“insieme”), sotto invito dell’attore Zoran Radmilović, conosciuto all’Atelje 212, Bora viaggia per i villaggi più remoti della Serbia, suonando e recitando in spettacoli concettuali. Nel frattempo, lavora a Radio Belgrado come assistente alla produzione, scrive articoli per la rivista Džuboks e compone jingle per Radio Belgrado 202 e Studio B.

Il Bora dei primi anni Settanta è attratto dal rock acustico e da testi umoristici che, tuttavia, non hanno molto del carattere dissacrante che pochi anni più tardi avranno i testi dei Riblja Čorba. Anzi, durante il suo periodo nella band da lui fondata Suncokret (“girasole”), dal 1975 al 1977, Bora è anche autore di canzoni ben lontane dalla sua natura ribelle. Nel 1977 esce, infatti, la canzone Reč Titova (“La parola di Tito”), canzone particolarmente benvoluta dalla propaganda e perfettamente conforme al culto della personalità del presidente jugoslavo, visto anche il fatto che il ritornello della canzone cita direttamente una frase di quest’ultimo:

Le parole di Tito nei momenti delicati
Riscaldano il nostro amore, ci danno forza!
“I popoli che hanno una gioventù così
Non devono preoccuparsi del proprio futuro!”

Titova reč u času blagu
Greje nam ljubav, daje nam snagu!
„Narodi koji takvu imaju omladinu,
Za svoju budućnost ne treba da brinu!”

Tuttavia, il vero Bora pretende di uscir fuori e, quando la canzone Lutka sa naslovne strane (“La bambola della copertina”), che parla di una bellissima ragazza che si concede per ottenere il successo, viene rifiutata dagli altri membri della sua band, egli l’abbandona, unendosi brevemente – appena tre mesi – ai Rani Mraz (“Primo gelo”) di Đorđe Balašević. È il 1978 e Đorđević fonda i Riblja Čorba (“Zuppa di pesce”). Proprio Lutka sa naslovne strane, una delle più belle canzoni del rock jugoslavo, è il singolo di debutto della band.

Il fotografo famoso della rivista erotica
Fotograferà la sua opera d’arte
Ragazzini immaturi a bocca aperta
Guarderanno il tuo giovane corpo nudo
Sei la perfezione senza difetti
Sei parte dei sogni dei soldati
Sei la bambola della copertina
E hai bisogno di grana

Slavni fotograf seks-magazina
Slikaće svoje umetničko delo
Nezreli klinci otvorenih usta
Gledaće tvoje mlado, golo telo
Ti si savršenstvo bez mane
Ti si deo vojničkih snova
Ti si lutka sa naslovne strane
I treba ti lova

Nel 1979 La band suona per la prima volta dal vivo alla Casa della Gioventù a Belgrado, dove vengono persino ingaggiate delle studentesse di danza classica per accompagnare Lutka sa naslovne strane, durante la cui esibizione Bora distruggerà a mani nude un manichino di plastica. Il successo di Bora e della sua band è quasi immediato. Essi partecipano al festival di Opatija e organizzano un concerto da sold-out allo stadio Tašmajdan. Poco dopo viene pubblicato il primo album, Kost u grlu (“Osso in gola”), immediatamente apprezzato.

Le canzoni, ora con testi apertamente controversi, parlano di vite difficili, di uso di droghe, di ribellione. Lo stile dei Riblja Čorba è un hard rock con elementi di blues che viene apprezzato particolarmente, nonostante in contemporanea si stia affermando la stilisticamente differente new-wave jugoslava (di cui, comunque, la band fa parte a livello onorario) a Lubiana, Zagabria e Belgrado. Sempre durante il 1979 i vari membri della band sono costretti a partire per il servizio militare. Bora viene spedito a Doboj, in Bosnia. Durante questo periodo, egli viene nominato musicista rock dell’anno dalla quasi totalità delle riviste musicali.

Ad ovest niente di nuovo: anni Ottanta

Nazad u veliki prvljavi grad (“Ritorno alla grande, sporca città”) è il nome della canzone con cui, nel 1980, i Riblja Čorba tornano in scena – a servizio militare non ancora concluso, motivo per cui uno dei membri della band sconterà due settimane di carcere all’interno della sua caserma. La natura ribelle di Bora e dei suoi ritorna, quindi, a tutta forza.

Nel 1981 pubblicano un altro album (Pokvarena mašta i prljave strasti, “Immaginazione perversa e passioni sporche”) e danno il via ad una serie di numerosi (59) concerti per tutto il paese. Durante uno di questi, alla Sala dei Pionieri di Belgrado, Bora si rifiuta di salire sul palco come segno di protesta verso il direttore della sala, che, per evitare disordini, pretendeva che la band suonasse a luci accese. Dopo un intervento della polizia e con un alto rischio di una rivolta del pubblico, il direttore fu costretto a spegnere le luci.

Copertina del disco dei Riblja Čorba

Nello stesso anno, esce il controverso album Mrtva priroda (“Natura morta”), che comprende la già citata Pekar, lekar, apotekar, ma anche Volim, volim, volim, volim žene (“Amo, amo, amo, amo le donne”) e Na zapadu ništa novo (“Ad ovest niente di nuovo”). Una è la descrizione dell’attrazione sessuale del cantante verso le donne, che viene ritratta come un’ossessione, con riferimenti non troppo celati alla masturbazione (Kupujem stručnu literaturu, za malu, noćnu fiskulturu […], guzate, sisate, lomne u struku, zbog njih razvijam desnicu ruku, “Compro letteratura professionale, per un po’ di esercizi notturni […], culone, tettone, dalla vita stretta, a causa loro sto sviluppando la mia mano destra”), la terza, invece, è una storia a sé.

Bora con Na zapadu ništa novo dimostra grande capacità di satira, nonché coraggio, durante il duro periodo di crisi post-morte di Tito. Il testo della canzone è concepito quasi come una serie di titoli di giornale, titoli che riflettono le difficoltà e i paradossi dell’epoca, ma sono presenti anche frasi molto taglienti che vanno ben oltre la satira.

I grandi infastidiscono ostinatamente i piccoli
Gli stupidi muoiono per gli ideali
Le fabbriche avvelenano l’ambiente
Gli idioti si ribellano e muoiono

Veliki uporno zezaju male
Za ideale ginu budale
Fabrike truju okolinu
Kreteni dižu bune i ginu

A causa di queste frasi, che la stampa e le associazioni di ex-partigiani giudicano un’offesa a coloro che sono morti per il paese, la band è costretta a cancellare concerti, quando questi non vengono direttamente annullati dagli organizzatori, che affermano o di non poter garantire la sicurezza durante l’esibizione o che la band non si confà agli ideali socialisti.

Tutto ciò termina quando proprio il presidente dell’associazione dei veterani della guerra partigiana (SUBNOR), Milo Dimitrijevski, decide di difendere Bora e il gruppo. Nonostante tutto, durante lo stesso anno i Riblja Čorba ricevono il premio del Primo Maggio dal comitato belgradese della gioventù socialista jugoslava e i concerti organizzati in Croazia vengono gestiti proprio da un’associazione legata al SUBNOR.

Con il 1983 la popolarità della band, fino a quel momento considerata la migliore rock band del paese, inizia a scemare. Bora è ormai dipendente dall’alcol, come altri membri della band, alcuni dei quali fanno uso di eroina, e per migliorare almeno un po’ l’immagine del gruppo decide di partecipare alla realizzazione di Pediculis pubis, canzone dei Bijelo Dugme, i maggiori rivali dei Riblja Čorba in quel momento.

In questo periodo, inizia a farsi strada il Bora dissidente. Nel 1984, durante la registrazione di Za milijon godina (“Per un milione di anni”), canzone organizzata dalla YU Rock Misija, un equivalente jugoslavo del Live Aid, prima si rifiuta di partecipare, per poi ricredersi, pur decidendo di rimanere a bocca chiusa mentre i suoi colleghi cantano.

Spiegherà la cosa ai giornali dicendo che, pur essendo vero che in Africa ci fosse una crisi umanitaria, anche in Jugoslavia c’era gente che viveva nella miseria e che questa andava aiutata per prima. Oltre a quanto appena citato, i testi di Bora continuano a provocare allarmismo all’interno della Lega dei Comunisti di Jugoslavia per il loro contenuto altamente provocatorio, che mette in difficoltà la stessa censura.

Alla fine degli anni Ottanta Đorđević si dedica nuovamente alla poesia, pubblicando ben due raccolte di versi ed entrando, nel 1988, nell’Associazione serba degli scrittori – ovviamente non senza remore da parte degli altri membri della stessa. A causa di quelle poesie, anch’esse dal contenuto dissacrante e politicamente ambiguo, viene accusato di aver insultato il proletariato jugoslavo.

Oh, amico mio zagabrese: il Bora Đorđević politico

Già alla fine degli anni Ottanta Bora inizia a concentrarsi su temi particolarmente cari a quello che sarà il nazionalismo serbo. Nel 1988 un concerto della band viene organizzato proprio per finanziare la costruzione della Chiesa ortodossa di San Sava a Belgrado, mentre già nel 1985 Bora scrive la canzone Pogledaj dom svoj, anđele (“Guarda la tua casa, angelo”), che per sua stessa ammissione vuole lanciare il messaggio secondo cui i serbi sono un popolo mandato da Dio. Nel 1990 esce l’album Koza nostra (gioco di parole tra l’italiano “cosa” e il serbo “koza”, “capra”), dove Bora apertamente offende la figura di Tito, paragonandolo ad Al Capone.

Con l’inizio delle guerre jugoslave Đorđević, ora conosciuto come persona ormai trasandata, dedita all’alcol e beceramente nazionalista, dedica proprio al nazionalismo gran parte dei suoi sforzi e dei suoi testi. Nel 1993 appare nel videoclip della canzone del cantante serbo-bosniaco Mirko Pajčin, in arte Baja Mali Knindža, Ćuti, ćuti ujko (“Zitto, zitto fascio” – “ujko”, che normalmente significherebbe “zio”, è in realtà un diminutivo di “ustaša”, un appartenente all’omonimo movimento fascista croato, perciò la scelta di rendere “ujko” come l’italiano “fascio”), in cui i due, visibilmente sotto l’effetto dell’alcol, augurano la morte a croati e musulmani bosniaci.

Sempre nello stesso anno Bora collabora con la band di Knin (all’epoca sotto dominio della Repubblica della Krajina serba) Minđušari nella scrittura e realizzazione della canzone E, moj druže zagrebački (“Oh, amico mio zagabrese”). La canzone, che parodizza la canzone del gruppo croato E, moj druže beogradski (“Oh, amico mio belgradese”), la quale parla di un’amicizia perduta e dell’insensatezza della guerra, è un’aggressiva e sfacciata presa in giro ai croati:

Oh, amico mio zagabrese
Eccoci qui a rubarvi in casa
Noi vi saccheggeremo
E voi piangerete tutti

E, moj druže zagrebački
Evo nas kod vas u pljački
Mi ćemo vas opljačkati
A vi ćete svi plakati

Col tempo e le sconfitte militari in Croazia e, in parte, in Bosnia, Đorđević inizia a opporsi apertamente a Slobodan Milošević. Al presidente serbo e a sua moglie Mirjana, Bora dedica l’album del 1996 Njihovi dani (“I loro giorni”), che deve essere registrato in Bosnia per evitare la censura e che, a detta dello stesso cantante, porta i coniugi Milošević a ordinare la sua uccisione – cosa che, a quanto pare, non avviene.

Membro del Partito democratico serbo, Bora, in seguito ai cambiamenti politici in Serbia dei primi anni Duemila, è consigliere del ministro della cultura serbo nell’anno 2004, ma deve licenziarsi dopo aver insultato dei giornalisti della rete B92, che definisce traditori.

Non nasconde mai la sua simpatia per il movimento dei Četnici, apparendo spesso in uniforme o indossando mostrine o simboli legati alla citata organizzazione. Nel 2012, Borisav Đorđević, al secolo Bora, diventa vojvoda, ovvero duca, cetnico. Il suo essere nazionalista è sempre stato, per lui, un dovere in quanto serbo. Ai media croati afferma che, se fosse stato un croato, allora sarebbe stato un nazionalista croato.

Eppure, numerose sono le sue uscite particolari in materia di politica e, appunto, nazionalismo. Durante un concerto in Slovenia, il duca Bora dice, guardando il pubblico con soddisfazione: “Ma com’è bello vedere serbi, croati, sloveni qui tutti insieme?”. Riguardo la canzone E, moj druže zagrebački afferma che si è trattato di una semplice presa in giro, e, citando anche la canzone E moj druže beogradski (scritta dall’amico Jura Stublić, leader dei Film), asserisce: “Non ho motivo di scusarmi. Jura ha scritto E, moj druže beogradski ed è venuto a Belgrado come se niente fosse”, aggiungendo che la canzone del collega non è così tanto contro la guerra.

Quando confrontato sulle sue passate offese agli albanesi, ammette tranquillamente di non aver chiesto scusa, mentre ricorda di aver fatto marcia indietro riguardo alcune sue uscite offensive contro gli sloveni. D’altronde, in Slovenia vive dal 2016, anno in cui ha sposato la sua terza moglie, fino alla propria morte.

“È morto il più grande di tutti”

Alla sua scomparsa Đorđević è stato compianto da molti e ulteriormente criticato da tanti altri. Gli è stato riconosciuto lo status di leggenda musicale in ogni repubblica ex-jugoslava, non a torto. Dedito all’alcol, forse anche ad altro, amante sfortunato (la sua prima moglie si è tolta la vita poco dopo il loro burrascoso divorzio), nazionalista incallito (ma, forse, non troppo – perché, come amava ricordare, non bisogna generalizzare e, comunque, lui “non ha mai voluto una Grande Serbia, solo una Serbia unita”) ed eterno ragazzo.

Bora Đorđević, nonostante tutto, metteva d’accordo più o meno tutti. Ricordo una conversazione con mio padre, che ascoltando una sua canzone mi disse: “Vedi, è come scrivono i croati nei commenti delle sue canzoni su YouTube: è un cetnico, sì, ma cazzo se è bravo a fare musica!” E quello era ed è l’importante.

Per concludere, le parole della giornalista e scrittrice croata Vedrana Rudan, che il 4 settembre 2024, giorno della morte di Bora, ha pubblicato un articolo, intitolato È morto il più grande di tutti sul proprio sito web, che termina così e con cui vorrei che terminasse questo contributo dedicato a Đorđević:

Tutti abbiamo mille facce, tutti siamo bravi e cattivi attori, i nostri volti e le nostre parole non possono dire nulla su di noi. Perciò tu sei, Bora, per alcuni un cetnico – beati quelli che sanno tutto – ma per me sarai per sempre soltanto una medicina per la mia anima.


Le traduzioni dei testi delle canzoni sono di Marco Jakovljević.

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Marco Jakovljević
Marco Jakovljević

È dottorando in letterature comparate presso l’Università di Zagabria. Le sue ricerche e i suoi interessi vertono sulla cultura pop e giovanile in Jugoslavia e sulla letteratura della transizione in Croazia e Slovenia. Da aprile 2024 collabora in qualità di ricercatore indipendente con l'Istituto di Etnologia e Folkloristica di Zagabria. Collabora coi progetti Est/ranei e Andergraund.