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Chi era Baba Jaga? Figura leggendaria del folclore dei popoli slavi, imprevedibile e misteriosa, questa strega vivrebbe in una capanna che si sposta su zampe di gallina e sarebbe vecchia, anzi vecchissima – temuta per i suoi poteri ma anche ammirata per la sua saggezza, Baba Jaga è legata profondamente ai cicli della natura e all’equilibrio tra bene e male, insomma un archetipo affascinante nelle tradizioni e nelle fiabe di paesi come Russia e Bulgaria, Serbia e Belarus’.
Una creatura che, per la sua carica simbolica, non poteva che dare il nome a un festival dedicato alle artiste e artisti del fumetto del Nuovo Est: dal 22 al 24 novembre 2024, Baba Jaga Fest ha animato il quartiere Ostiense a Roma, con mostre e workshop, eventi e laboratori per scoprire il meglio dei comics di Ucraina e Polonia, Repubblica Ceca e Croazia, Lettonia e Albania fino a “sconfinare” in Italia, Regno Unito e Messico.
Del resto, nel discorso pubblico la nozione di Est Europa è spesso una categoria che semplifica ciò che, in realtà, è complesso e inafferrabile. Baba Jaga Fest sfida questa visione e sceglie di abbracciare le contraddizioni e le sfumature della galassia che definisce come “Europa a est dell’Adriatico”. Gli artisti e le artiste coinvolti nella rassegna sono ventiquattro, per un totale di nove esposizioni che hanno trovato spazio in questa seconda edizione del festival – Meridiano 13 ne parlava all’inizio di novembre in quest’articolo.
Da Safe Place, collettiva che ha presentato a WPP Campus le tavole a fumetti di un gruppo di creativi ucraini, alla doppia personale di Miguel Angel Valdivia e Andrzej Klimowski a Portale Ostiense e ai manifesti di Igor Hofbauer, c’è stato molto da vedere e scoprire: vale la pena spendere qualche parola su Casa Baba, il progetto di residenza che ha coinvolto tre artisti in altrettante capitali europee, con una mostra finale proprio a Baba Jaga Fest.
Una residenza artistica a Roma, Praga e Riga
Gli addetti ai lavori e gli appassionati d’arte contemporanea hanno senz’altro familiarità con le residenze artistiche: si tratta di programmi che offrono a un artista uno spazio, risorse e tempo per concentrarsi sulla pratica creativa, spesso in un contesto stimolante e lontano dalla routine quotidiana. Lo scambio culturale e interdisciplinare è molto incoraggiato; una residenza è spesso un’occasione immergersi in nuove geografie, stabilire connessioni e riflettere sulla propria ricerca in maniera profonda e rigenerante.
Non fa eccezione Casa Baba: in occasione di questa residenza artistica, Giulia Cellino ha soggiornato a Riga, Jurijs Tatarkins a Praga e Jindřich Janíček a Roma – ciascun artista ha creato una storia a fumetti originale, riflesso della propria sensibilità stilistica e narrativa. Le tavole, poi, esposte alle Industrie Fluviali in occasione del festival, successivamente approderanno in Cechia e in Lettonia sempre nell’ottica di uno scambio circolare di idee, immagini ed energie tra nazioni, città, persone.
Artista lettone, Jurijs Tatarkins è una figura di spicco nel panorama del fumetto indipendente: è apparso su Kuti, fanzine finlandese del collettivo Kutikuti, e pubblicazioni come š!, edito da kuš! Tatarkins fa parte del del collettivo Sābrs, e da un paio d’anni organizza un festival dedicato alla piccola editoria e alle fanzine a Riga. Durante la sua residenza a Praga per Casa Baba, ha creato una storia a fumetti che riflette il suo approccio narrativo sperimentale, intrecciando il fumetto con la culturale visuale del suo paese d’origine.
Dall’Italia arriva infine Giulia Cellino, autrice e illustratrice che esplora temi come l’introspezione, la solitudine e disagio giovanile, non senza una punta di ironia; ha studiato fumetto e illustrazione all’Accademia di Belle Arti di Bologna e si è distinta per opere autoprodotte come Lavare a mano, presentato al Ratatà Festival. Cellino ha partecipato anche al progetto collettivo Povere Puttane e pubblicato racconti e illustrazioni su riviste come Linus, D di Repubblica e Domani Editoriale: il suo lavoro Ha senso è incluso nell’antologia Sporchi e Subito, edito da Feltrinelli.
Co-fondatore della casa editrice Take Take Take, Jindřich Janíček viene dalla Repubblica Ceca: la sua produzione celebra il viaggio e l’esplorazione, raccontando la bellezza di oggetti, architetture e paesaggi, tanto che tra i suoi lavori spiccano libri illustrati che intrecciano narrazione grafica e quotidianità. Janíček peraltro ha firmato il poster ufficiale per la seconda edizione di Baba Jaga Fest, e durante la sua residenza artistica a Roma ha sviluppato una storia ispirata alla Città Eterna, esplorando il rapporto tra il paesaggio urbano e la memoria visiva.
Per un’integrazione nel panorama europeo e globale
Baba Jaga Fest, così come Casa Baba, dimostra il potenziale di iniziative che celebrano le scene artistiche e creative dei paesi del Nuovo Est, evidenziando la ricchezza culturale delle nazioni e il contributo che possono offrire al panorama globale; progetti che sono vere e proprie piattaforme di dialogo, e che creano connessioni significative con il resto d’Europa e del mondo. Eppure, se guardiamo al futuro, il successo di festival e residenze come questi dovrebbe essere misurato dalla loro capacità di diventare superflui.
In altre parole, l’obiettivo dev’essere che gli artisti e le artiste dell’Europa Centrale, Orientale e dell’ex-Unione Sovietica trovino un posto naturale nei circuiti italiani ed europei, senza passare attraverso cornici tematiche che sono preziose oggi, ma che nel tempo rischiano di consolidare categorie geografiche o culturali rigide e limitanti. Questo processo richiede un cambiamento di prospettiva: non più guardare agli artisti dei “paesi emergenti” come voci altre, ma come parti integranti e riconosciute del sistema artistico contemporaneo.
Quando un festival come Baba Jaga non sarà più necessario, perché le artiste e gli artisti che rappresenta saranno visibili e apprezzati senza etichette o delimitazioni sulla carta geografica, potremo davvero festeggiare il traguardo di un sistema artistico equo e aperto; fino a quel momento, Baba Jaga Fest resta un esempio brillante di come si possano costruire ponti attraverso l’arte, nel segno della scoperta e della condivisione reciproca.
È un ricercatore e divulgatore indipendente; si occupa di decolonialità e culture visuali nello spazio del Nuovo Est, in particolare post-ottomano ed eurasiatico. Oltre che per Meridiano 13, scrive regolarmente su Meridiano 13, Est/ranei - Letteratura, cinema e culture dell'Europa orientale e Antinomie - Rivista di scritture e immagini. È anche contributing editor dell'edizione digitale di Harper's Bazaar Italia e, dall'aprile 2024, fa parte dello staff di Lossi 36 - Weekly Highlights from Central Europe to Central Asia. Oltre a tenere seminari e insegnare nelle scuole superiori, è stato consulente di ricerca e catalogazione per l'Archivio Ico Parisi, l'Archivio Mario Radice e l'Archivio Heidi Bedenknecht-De Felice.