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Ogni tempo ha la sua musica, i suoi artisti e le sue inquietudini. In un paese che da decenni ha forgiato le nuove generazioni nella crisi economica, nella disoccupazione, nel precario equilibrio di un futuro incerto, con gente che parte e che viene, non è un caso se sui palchi e nelle cuffie risuonino le parole e le barre di chi vive in Italia ma proviene da altrove. Non è un caso se oggi, come mai in passato, diventino mainstream i brani di Ghali, il flow di Mahmood ed esplode sui social Doppelgänger, all’anagrafe Alen Đokić.
Artisti che cantano nella nostra lingua, studiano nel Belpaese, sono italiani al cento per cento ma non tralasciano, anzi, non dimenticano, le loro origini. Sono la nuova generazione del XXI secolo, figli come noi abituati a viaggiare, a parlare più lingue, a cantare delle paure di tutti, perché sono anche le loro, quindi le vostre e pure le tue.
Abbiamo raggiunto Doppelgänger, giovane cantante classe 2000, nato a Roma ma con sangue bosniaco (di Kotor Varoš per la precisione) prima del live del 29 novembre, preludio del nuovo album Balkan represent vol. 3 in uscita oggi.
Alen Đokić fa Balkan hip hop (“ma sì, inventiamo un nuovo genere”, dice), vanta un milione di follower su TikTok, è la sintesi tra l’Italia e la Bosnia ed Erzegovina, tra il passato e il presente, tra Roma e Sarajevo (come un suo brano omonimo), che canta della guerra, dei sacrifici dei suoi genitori e di un intero popolo, delle inquietudini di chi ha lasciato molto per cercare qualcosa, ma altrove.
A primo impatto potrebbe sembrare che le sue barre siano rivolte a un pubblico ristretto, quasi di nicchia: ai balcanici, ai giovani slavi che hanno lasciato la loro infanzia al di là dell’Adriatico per vivere sulla costa più occidentale. Eppure, ci tiene a precisare, lui vuole “arrivare a tutti, portando un messaggio che non sia inteso come esclusivo”. E allora non resta che ascoltarlo, risentire i brani e analizzare le parole.
Doppelgänger parla della guerra, sì, quella degli anni Novanta, quella che noi abbiamo visto al telegiornale, di fronte a un piatto caldo dopo una lunga giornata di lavoro, ma la guerra c’è anche oggi, ed è quella che poggia i gomiti sui nostri confini, tra le steppe ucraine e la terra bruciata dal sole palestinese.
Parla anche della povertà, quella che ieri era di qualcuno, per lo più degli stranieri, magari con il cognome che finiva in “ić”, ma oggi è di tutti, corre dal Meridione al Settentrione, si insinua tra le campagne e le vie urbane dello Stivale; parla dell’incertezza di chi ha lasciato tutto, come la casa e i nonni, per cercare un futuro migliore in un presente grigio, ma sembra tanto quell’incertezza che riguarda tutti noi, dal barcone che trema sulle onde mediterranee, dal contratto a tempo determinato che forse un giorno si rinnoverà per avere comunque un termine.
In fin dei conti, se ascoltiamo bene le barre, tra un po’ di slang italico e bosniaco, ci accorgiamo che anche Doppelgänger parla delle nostre vite, di quel castello di carte che è tanto difficile da tirare su, bellissimo da guardare, ma eretto con l’unica certezza che basti un sospiro più profondo per cadere rovinosamente.
E allora non ci è rimasto che intervistarlo, conoscerlo da vicino, parlare prima del live del 29 novembre, tenutosi allo Snodo Mandrione di Roma, a pochi giorni dal lancio di Balkan represent vol.3.
Alen, cominciamo dalla fine: sensazioni prima del live e del lancio del nuovo album?
Provo molto ansia, ma in senso buono del termine. L’ansia mi rende umile, mi permette di tenere i piedi per terra e di rimanere concentrato. Allo stesso tempo sono felice: lo sono per l’album, ovviamente, ma lo sono soprattutto per il live di stasera. D’altronde il disco, così come i social network, sono un qualcosa che fai da casa, il concerto invece è dal vivo, di fronte alle persone.
Quanto tempo hai impiegato per costruire Balkan represent vol. 3?
Beh, dal punto di vista temporale, se consideriamo da quando abbiamo cominciato a parlarne per arrivare fino alla fase dei mixer e dei master, circa un paio di mesi. È chiaro che se ci fossimo rinchiusi in una baita in Bosnia ed Erzegovina, solo per lavorare al disco, i tempi potevano ridursi anche a due settimane.
A chi ti rivolgi con la tua musica?
Io voglio arrivare a tutti. È chiaro che le persone che maggiormente si sentono più coinvolte con la mia musica sono i ragazzi di seconda generazione provenienti dai Balcani. D’altronde io sono questo: faccio Balkan hip hop proprio perché è ciò che conosco meglio. Ma allo stesso tempo i miei testi coinvolgono le seconde generazioni in generale, anche quelle originarie di altre aree geografiche, come l’Africa o l’America latina.
Devo dire poi che tanti giovani del Sud Italia, trasferitisi al Nord, mi scrivono per dirmi che si sono riconosciuti nelle mie parole, nonostante siano italiani al cento per cento. Quindi voglio assolutamente arrivare a tutti, portando un messaggio che non sia inteso come esclusivo, rivolto solamente al mondo balcanico, no. Tutti siamo inclusi in questa storia.
Perché hai scelto di chiamarti Doppelgänger? Tra l’altro, nel nuovo album c’è un brano che si intitola Dr. Jekyll & Mr. Hyde, il caso più emblematico in letteratura strettamente collegato al tuo pseudonimo.
È la prima volta che mi viene chiesto l’origine del mio nome e finalmente posso spiegarlo. In maniera molto semplice, in tedesco, Doppelgänger significa persona divisa in due vie; e questo è il concetto che meglio mi rappresenta, tant’è che me lo sono scelto in maniera del tutto autonoma, dato che in Bosnia ed Erzegovina sono l’italiano e in Italia sono il bosniaco. E poi, lo dico: il nome Doppelgänger, spacca! Per quanto riguarda la canzone Dr. Jekyll & Mr. Hyde parla proprio della visione delle persone dalla mentalità chiusa che vedono in un certo modo il cosiddetto diverso.
Com’è stato a un certo punto della tua vita scoprire di avere un pubblico, di avere tanti fan che puntualmente ti ascoltano e ti seguono anche sui social network?
Ho iniziato a fare musica nel 2020 ma la mia esplosione è arrivata nel 2021. Mi sono approcciato a questo mondo tramite una gavetta personale, una sorta di ricerca non tanto del rap – secondo me, le barre e il flow, se uno si allena, le trova – ma nel tentativo di capire che cosa volessi raccontare. Volevo parlare di qualcosa che fino ad oggi non è mai stato detto o che comunque è stato detto da pochissimi e in maniera riduttiva. Ho portato dunque, per così dire, i Balkans in Italia, riscontrando il successo in primis su TikTok. Devo dire, quindi, che ho accettato questa cosa e ho provato a sfruttarla però a modo mio.
Come mai hai scelto proprio la musica per esprimerti?
Ho sempre avuto tanti hobby, e la musica era uno di questi, anche se adesso si è tramutata in un lavoro. Giocavo a calcio, gestivo una pagina dedicata al cinema, navigavo su YouTube ma niente mi dava soddisfazione. La musica invece è stata uno sfogo, una scoperta incredibile.
Nelle tue canzoni ricorre il tema della guerra, quello della famiglia e dei sacrifici fatti non solo dai tuoi genitori, ma da un intero popolo. Ciò detto, non perdi mai occasione di definirti balcanico, andando oltre il concetto di italiano o di bosniaco.
Io sono fiero di essere sia italiano che bosniaco. Ma quando incontro, per esempio, un croato o un albanese mi rendo conto che siamo uguali. Parlo dei Balkans proprio perché siamo un popolo vasto e molto simile che purtroppo, però, si è diviso in ragione di certe politiche nazionaliste, successive alla caduta del comunismo, che hanno generato un odio insensato tra le persone. E questa cosa mi mette tristezza, anche perché i discorsi brutti li fanno in molti, indipendentemente dallo Stato d’origine, e questo non mi piace.
Un balcanico particolarmente noto, che ricorre per giunta anche nei tuoi brani, è Goran Bregović. Nonostante non sia più giovanissimo (è nato nel marzo del 1950), resta un punto di riferimento artistico anche per i più giovani?
Goran Bregović è un vanto per tutta la Bosnia ed Erzegovina. È un figlio di Sarajevo, simbolo della nostra cultura. Lui, così come i Dubioza kolektiv, hanno portato questo piccolo paese di tre milioni di abitanti (la Bosnia ed Erzegovina, nda) nel mondo. Bregović, infatti, prende la cultura gipsy, o balkans in generale, e la porta ovunque e questo, tra l’altro, sarebbe anche il mio obiettivo. Credo, dunque, che Goran Bregović debba rimanere un punto di riferimento assoluto per tutti quanti noi.
Non di rado torni in Bosnia ed Erzegovina. Percepisci un paese in crescita?
Posso dirlo? Io ho paura. Non molto tempo fa, ad aprile per la precisione, sono stato a Sarajevo per registrare un video con i Dubioza kolektiv, e proprio loro mi dicevano che è la città più unica che si possa trovare in Europa. È originale, allora come oggi, e sta vivendo una crescita bellissima, che io le auguro che prosegua ancora di più, ma temo che possa diventare commerciale. Ecco, mi preoccupa che a un certo punto tra i bazar di Sarajevo sorga una catena di fast food. Spero proprio che non accada, anche se temo sia impossibile.
Pensi mai di andare a vivere in pianta stabile in Bosnia ed Erzegovina?
No, lo dico in maniera molto netta. Chiaramente è una cosa alla quale ho pensato per molto tempo, fin da quando ho raggiunto la maggior età, ma ho deciso di rimanere in Italia. Devo dire che se avessi la bacchetta magica e potessi decidere interamente sulla mia vita, mi piacerebbe stare in Bosnia ed Erzegovina per più tempo: magari sei mesi qui in Italia e uno là, ma non andrei a viverci. A quale scopo poi? Quindi il mio è un no d’accettazione.
Andiamo verso la conclusione: quando comincerà il tour?
Partiremo nel mese di marzo. Stiamo organizzando un tour con molte date, soprattutto nel Nord Italia. Parteciperò anche a tanti festival ma attualmente non posso aggiungere altro. Presto ci saranno sicuramente aggiornamenti.
Il live, dopo l’apertura di Estro Large e Vezeve (tra l’altro: molto, molto bravi), comincia con Balkan Bld (Noi siamo il resto / Frate la via mezzo / di scappare dalla Bosnia / Frate non l’ho chiesto) e Roma-Sarajevo, due dei brani più noti di Doppelgänger. Durante la serata si esibiscono anche GodDamn, DjBaro e Yan G, coadiuvando Đokić lungo tutto il live e le dodici tracce inedite di Balkan represent vol. 3, come Santa Maria, Vengo da dove, Ninna nanna e Dr. Jekyll & Mr. Hyde. È stata anche l’occasione per ascoltare dal vivo i due pezzi con i quali è stato lanciato il nuovo album, ovvero Burek ‘n cheese e Joj!, frutto quest’ultimo della collaborazione con i Dubioza kolektiv.
Il pubblico ovviamente si scalda fin da subito, indipendentemente dall’origine dei presenti, tutti ballano e accompagnano gli artisti lungo il live.
Un elemento che merita sottolineare sono i feat che Doppelgänger vanta: oltre ai già citati, negli anni, per elencarne solamente alcuni, Alen Đokić ha collaborato con Ozymandias per Foglie d’autunno, Frenkie per Mic check, Akira 404 per Bog zna e Josa per La Fiesta.
Ed è proprio su Foglie d’autunno che vale la pena soffermarsi: probabilmente, insieme ad Alen e Cuore a metà, si tratta di uno dei brani più profondi dell’artista. Uscito recentemente, Doppelgänger affronta il tema delle sue origini, del tempo che scorre, toccando alcuni aspetti più delicati della sua vita: parla dei genitori, dell’inverno gelido, dell’infanzia e delle “notti a contare i chilometri / pensare che eravamo dei poveri / vedere il passare dei giorni / seppellire alla fine i tuoi nonni / vedere invecchiare il tuo amico che chiedeva sempre: ma, frà, quando torni?”.
E qui c’è tutto Alen: la guerra, la Bosnia alle spalle e l’Italia all’orizzonte, la famiglia divisa da un mare che sembra un oceano, gli amici sparsi tra i colli romani e le montagne balcaniche, le difficoltà di coloro che, in fin dei conti, sono “sempre divisi a metà, non essere tutto, ma mai nullità” (Cuore a metà). Il mondo di Doppelgänger, ovviamente, è anche tanta allegria, supportata dalle note balcaniche, dai richiami alla gastronomia dell’Est, dagli amici e dal sogno che da anni coltiva, ovvero quello di portare la sua musica in giro per il mondo.
E alla fine, ascoltandolo, lo spettatore scopre uno stato dell’arte completamente diverso da quello che poteva immaginarsi. Per quanto le seconde generazioni balcaniche siano maggiormente coinvolte nelle barre di Doppelgänger, le canzoni si rivolgono a tutti. D’altronde anche Alen Đokić è figlio di questi tempi, in cui l’incertezza, la lontananza dai propri cari, la violenza della guerra e la precarietà esistenziale sono elementi che possono colpire chiunque, anche qui, nel Belpaese.
Giornalista e dottore in Giurisprudenza, attualmente cura l’ufficio stampa del Comune di Capalbio e collabora con il progetto divulgativo Frammenti di Storia. Nel 2019 è stato selezionato per partecipare, in Bosnia ed Erzegovina, all’International Summer School Rethinking the culture of tolerance, organizzata dai tre atenei di Sarajevo, Sarajevo Est e Milano-Bicocca. Autore del libro Stante così le cose, edito da Edizioni Creativa.