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Palazzo della Republika Srpska a Banja Luka (Wikipedia)
A causa dell’impossibilità di garantire adeguate garanzie di sicurezza per i nostri dipendenti, collaboratori, ospiti e visitatori, in linea con le normative e le circostanze attuali, dato il colpo di stato contro le istituzioni da parte dei ribelli di Banja Luka, il Memoriale di Srebrenica rimarrà chiuso fino a nuovo ordine.
Si potrebbe cominciare da questo post, tutt’altro che laconico, per raccontare l’improvviso (?) deterioramento della stabilità interna della Bosnia ed Erzegovina. Dal 7 marzo scorso, infatti, i cancelli del Memoriale sono rimasti chiusi, la memoria è protetta, ma la decisione è un campanello di allarme per tutta la regione. Di fatto, come molta stampa e vari attori politici scrivono e affermano con chiarezza, è in atto un tentativo di secessione da parte della Republika Srpska.
Alla guida delle operazioni c’è ovviamente il presidente della Repubblica serba della BiH, nonché ex membro della presidenza tripartita dello stato bosniaco, Milorad Dodik. Per quanto il fondatore del Partito dei socialdemocratici indipendenti (poi rinominato Alleanza dei socialdemocratici indipendenti) abbia da sempre profetizzato la secessione della Repubblica a maggioranza serba, in questi giorni ha intrapreso un cammino che pare, forse, irreversibile.
La condanna
Il primo atto di questa improvvisa accelerata verso lo smembramento della Bosnia ed Erzegovina lo si registra mercoledì 26 febbraio, quando la Corte di Stato ha condannato in primo grado Milorad Dodik a un anno di carcere e a sei anni d’interdizione dai pubblici uffici per non aver rispettato l’autorità dell’Alto rappresentante1 Christian Schmidt, incaricato di garantire l’applicazione degli Accordi di Dayton.
Una decisione, come riporta anche l’Ansa del 19 febbraio, che il leader dalla Republika Srpska, insieme al premier Radovan Višković e al membro serbo della presidenza tripartita bosniaca Željka Cvijanović, aveva già battezzato così: “Qualsiasi sentenza del Tribunale sarebbe una violenza giuridica e rappresenterebbe un autentico colpo di stato contro la Bosnia ed Erzegovina e la Republika Srpska, che non resterà in silenzio”.
In attesa della motivazione, Milorad Dodik, macchiatosi dunque di aver promulgato una serie di leggi che sospendevano le sentenze della Corte costituzionale e dell’Alto rappresentante Schmidt, disconosce l’autorità del Tribunale di Sarajevo, comincia una spasmodica e minacciosa comunicazione su X e promulga un nuovo pacchetto di leggi, vietando alle istituzioni giudiziarie statali, come la Procura di Stato e la Sipa (Agenzia statale per l’investigazione e la protezione), di operare nella Repubblica serba, obbligando i funzionari pubblici a rispettare le decisioni delle autorità della Republika Srpska – in caso contrario scatterebbe il carcere – e ordinando ai membri della polizia bosniaca provenienti sempre dalla Republika Srpska di abbandonare il loro posto di lavoro e di unirsi alla polizia locale.
Una decisione che Dodik, come riporta Internazionale, commenta con queste parole: “Con le nuove norme la Repubblica serba si riappropria finalmente del suo libero arbitrio e delle sue competenze”. Cerca poi la sponda di Washington: “Sono convinto che gli Stati uniti non sosterranno più stati artificiali che non esistono nella realtà”, riferendosi chiaramente alla Bosnia ed Erzegovina.
Nasce, cresce, vince
Ma chi è, dunque, l’uomo che sta mettendo in atto la secessione della Republika Srpska? Milorad Dodik, classe 1959, vive la sua infanzia a Laktaši, una cittadina bosniaca a pochi chilometri di distanza da Banja Luka, nel Nord del paese.
Dopo le elementari, Dodik si iscrive alla scuola secondaria di agricoltura del capoluogo per poi laurearsi alla Facoltà di Scienze politiche di Belgrado. Poco più che venticinquenne entra nel mondo della politica, presiedendo il Consiglio esecutivo di Laktaši, e nel 1996 fonda il Partito dei socialdemocratici indipendenti, che successivamente sarà rinominato Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (Snsd), prendendone la leadership solo nel 2002. Dalla moglie Snježana avrà due figli, il primo, Igor, studierà economia e management a Milano, mentre la seconda, Gorica, completerà gli studi sempre in economia nell’isola di Cipro (ricoprendo poi, come riporta Biografija.info, il ruolo di capo gabinetto dell’allora ministra Željka Cvijanović).
La carriera di Dodik è costellata di successi: primo ministro della Republika Srpska dal 1998 al 2001 e dal 2006 al 2010; membro in quota serba della presidenza della Bosnia ed Erzegovina dal 2018 al 2022 e presidente di turno dal 20 novembre 2020 al 20 luglio 2021, succedendo al bosgnacco Šefik Džaferović; presidente della Republika Srpska dal 2010 al 2018 e riconfermato dal 2022 fino ai giorni nostri. Presidente onorario del Košarkaški klub Partizan, il club belgradese di pallacanestro, Dodik gode di buoni rapporti con la Russia di Vladimir Putin, così come con la Serbia di Aleksandar Vučić e l’Ungheria di Viktor Orbán.
Stravede inoltre per Donald Trump: ecco come commenta sul suo profilo X l’incontro tra il tycoon americano e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky di qualche giorno fa alla Casa Bianca, quello in cui volano parole pesanti tra i due leader di Stati Uniti e Ucraina:
Oggi, Donald Trump ha dimostrato la massima responsabilità e la vera leadership, dicendo la verità in modo trasparente e diretto a coloro che sono abituati all’inganno e alla teatralità. Ancora una volta, Volodymyr Zelensky ha dimostrato di non essere altro che un attore impreparato, che interpreta un ruolo scritto da altri, mentre il suo palcoscenico è un teatro sanguinario dove il suo stesso popolo sta soffrendo.
Il suo falso coraggio è misurato dal numero di telecamere e dal glamour del jet set mondiale, mentre il costo della sua performance non è l’applauso, ma milioni di vite perse. D’altro canto, Donald Trump offre ciò di cui il mondo ha più bisogno oggi: razionalità, stabilità e forza che non cerca conflitti ma soluzioni. […] Trump è un leader che non ha paura della verità perché sa che solo la verità può portare soluzioni giuste e durature. Per questo approccio, ha la mano tesa e il pieno supporto della Republika Srpska.
Ma chi è davvero Milorad Dodik?
Agli inizi della sua carriera al vertice della Republika Srpska, ovvero poco dopo la fine della guerra degli anni Novanta, il leader di Snsd gode invece di un’ottima reputazione tra le fila occidentali: per Madeleine Albright, Dodik era “una boccata d’aria fresca”; per Robert Cook, allora ministro degli Esteri inglese, il presidente “fa in due settimane quel che i suoi predecessori non han fatto in due anni”; l’Unione europea, dal canto suo, elargisce non pochi finanziamenti alla Republika, confidando sulla bontà delle promesse del leader di Laktaši.
Poi, con il tempo, le cose cambiano dato che Dodik rivela la sua vera linea governativa: attacca i giudici bosgnacchi, critica aspramente i croati, si oppone all’ingresso della Bosnia ed Erzegovina nella Nato, offre un seggio in parlamento alla criminale di guerra Biljana Plavšić, nega il genocidio di Srebrenica, non riconosce Sarajevo come capitale e minaccia continuamente la secessione della Republika.
Dodik s’è rivelato – commenta il politologo serbo Jovo Baki in Maledetta Sarajevo di Francesco Battistini e Marzio G. Mian (edito da Neri Pozza, 2022) – il più abile dei politici e ha ingannato molti. È un grande ladro e manipolatore. Possiede enormi proprietà. E anche se non è un nazionalista, come Milošević sa usare bene i nazionalisti. […] se la congiuntura internazionale sarà di un certo tipo, vedremo probabilmente una nuova guerra civile. Sono tutti molto stanchi, nessuno ha voglia di combattere, ma la differenza la faranno le circostanze esterne.
Parole che oggi, con il senno di poi, sembrano assolutamente profetiche.
Nonostante lo strapotere di Milorad Dodik, spalmato su oltre venticinque anni di governo, seppur con ruoli differenti, la Republika Srpska non ha certo beneficiato della stabilità della sua leadership. L’area, infatti, è connotata da una profonda corruzione, falcidiata dalla criminalità, sempre più debole dal punto di vista economico e colpita da una continua emorragia di giovani che scappano all’estero. Politicamente quasi del tutto isolata, fardello di Russia e Cina, la Republika scompare dietro la propaganda e l’arroganza dialettica del suo leader, ritrovandosi prigioniera di una serie di politiche che paiono tutt’altro che vantaggiose.
Ed è così che nel luglio del 2023, la tracotanza di Milorad Dodik porta all’ennesimo incidente diplomatico e all’avvio della crisi dei giorni nostri: la promulgazione della legge che cancella l’obbligo di pubblicare nella Gazzetta ufficiale della Republika Srpska le decisioni dell’Alto rappresentante delle Nazioni Unite e che dispone la non applicabilità della Corte costituzionale della Bosnia ed Erzegovina sancisce di fatto la frattura tra le due entità che compongono lo stato, ovvero la Federazione e la Republika.
Da lì in poi comincerà un lungo procedimento penale, interrotto per permettere all’imputato di sottoporsi a un intervento chirurgico a Belgrado, per arrivare alla condanna in primo grado il 26 febbraio scorso.
La secessione a colpi di tweet
Su X, poco dopo la sentenza, Dodik sostiene che la democrazia è sotto attacco, lanciando un parallelismo tra la sua condizione giudiziaria e l’arresto di Călin Georgescu, candidato nazionalista risultato in testa al primo turno delle presidenziali rumene del 2024, poi annullate. Il giorno dopo, sempre ripostandolo su X, il presidente della Republika Srpska incontra il ministro della Cultura serbo, Nikola Selaković, sottolineando l’attacco subìto per volere della comunità internazionale e di Sarajevo.
Il 4 marzo, dopo continue pubblicazioni in cui si ribadisce la volontà della Republika Srpska di prendere le distanze dalla Federazione di Bosnia ed Erzegovina, Dodik scrive:
Dico alla Germania di ritirare Christian Schmidt, altrimenti lo espelleremo. Per loro sarebbe meglio farlo, invece che avere un imbarazzo del genere.
Viviamo in un paese fallito chiamato Bosnia ed Erzegovina. […] Invito la Federazione (di Bosnia, ndr) a non minacciare la pace e la stabilità, perché la pace è il desiderio della Republika Srpska. Durante l’incontro di oggi con i rappresentanti del ministero degli Interni, è stato affermato che la polizia della Republika Srpska è competente e organizzata e farà rispettare la legge, garantendo pace e stabilità.
Come gli animi si scaldano nell’area a maggioranza serba, lo stesso succede nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina. A seguito della decisione di Dodik di pubblicare il pacchetto di leggi relativo al divieto di attività degli organi centrali giudiziari e di polizia sul territorio della Republika, Denis Bećirović, membro in quota bosgnacca della presidenza tripartita bosniaca, Denis Zvizdić, presidente della Camera dei rappresentanti, e Kemal Ademović, vicepresidente della Camera dei popoli, presentano un ricorso alla Corte costituzionale. La contestazione, oltre a sottoporre la questione di incostituzionalità e di parlare apertamente di secessione e di colpo di stato, scaturisce l’avvio delle indagini da parte della Procura per il reato di sospetto attacco all’ordine costituzionale.
Oltre all’aspetto processuale, Milorad Dodik si trova costretto a incassare, nella mattinata di domenica 9 marzo, il tweet tutt’altro che benevolo del Segretario di stato degli Usa, Marco Rubio:
Le azioni del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik stanno minando le istituzioni della Bosnia ed Erzegovina e minacciandone la sicurezza e la stabilità. La nostra nazione incoraggia i leader politici in Bosnia ed Erzegovina a impegnarsi in un dialogo costruttivo e responsabile. Invitiamo i nostri partner nella regione a unirsi a noi nel respingere questo comportamento pericoloso e destabilizzante.
Poche ore dopo, ovviamente, Dodik twitta la replica:
Quando parla il Segretario di stato americano, lo fa sempre con serietà e io lo accetto. Sono contento che Rubio sappia di noi, anche se ne scrive in modo negativo. Il Segretario di stato non ha tempo per entrare nei dettagli, e lo capisco. […] Sarebbe bello però leggere che cosa sta succedendo e non limitarsi a contestare false narrazioni costruite dall’amministrazione Biden. […] Continuo a pensare che Rubio sia amico di tutti in Bosnia ed Erzegovina e che si sia lasciato convincere dai lobbisti filo-musulmani.
Nelle ultime ore, inoltre, l’Eufor, la missione militare dell’Unione europea in Bosnia ed Erzegovina, ha annunciato l’imminente rafforzamento delle proprie truppe nel paese al fine di garantire una maggiore sicurezza. Per quanto riguarda l’Onu, la Russia ha convocato un Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, mentre Mark Rutte, Segretario generale della Nato, atterrato domenica 10 marzo in Bosnia, ha voluto precisare che l’integrità territoriale del paese non può essere messa in discussione.
E mentre il clima politico si fa sempre più incandescente, portando i cancelli, come quelli del Memoriale di Srebrenica, a rimanere chiusi, riecheggiano le parole del politologo parigino specializzato nei Balcani, Loïc Trégourès, a proposito del suo incontro con Milorad Dodik e riportate in Maledetta Sarajevo:
Una volta mi ha detto: “Vedi, se parlo di sanità nessuno m’ascolta, ma se dico che non abbandonerò mai la Republika Srpska, allora m’applaudono…”. Ecco, una cosa è certa: come Milošević, farà qualsiasi cosa per rimanere al potere.
L’Alto rappresentante è incaricato di monitorare l’attuazione e l’interpretazione finale degli accordi di Dayton. Collabora con le istituzioni bosniache, la popolazione locale e la comunità internazionale per favorire il processo democratico e l’ingresso della Bosnia ed Erzegovina nell’Unione europea. L’Alto rappresentante dispone del potere di veto, è al vertice della struttura istituzionale dello stato ed è nominato dal comitato direttivo del Consiglio per l’attuazione della pace, organo composto da una quarantina di paesi e una ventina di osservatori, tra cui le organizzazioni internazionali e gli enti statali bosniaci.↩︎
Giornalista e dottore in Giurisprudenza, attualmente cura l’ufficio stampa del Comune di Capalbio e collabora con il progetto divulgativo Frammenti di Storia. Nel 2019 è stato selezionato per partecipare, in Bosnia ed Erzegovina, all’International Summer School Rethinking the culture of tolerance, organizzata dai tre atenei di Sarajevo, Sarajevo Est e Milano-Bicocca. Autore del libro Stante così le cose, edito da Edizioni Creativa.