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Dirigibile Italia attraccato alla Baia del Re presso l'isola di Spitsbergen, Norvegia, 1928
25 maggio 1928: la nave appoggio Città di Milano, attraccata alla Baia del re, nelle isole Svalbard, smette di ricevere aggiornamenti da Giuseppe Biagi, radiotelegrafista della spedizione artica guidata dal generale e comandante del dirigibile Italia Umberto Nobile. Inizia così una delle prime operazioni di ricerca e salvataggio internazionali della storia, in un’epica corsa contro il tempo tra i ghiacci polari che vede la partecipazione di esploratori di fama mondiale, radioamatori russi, navi rompighiaccio sovietiche e uno scambio epistolare tra il Segretario generale del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti e il Segretario generale del Comintern Nikolaj Bucharin.
Il secolo breve è passato alla storia principalmente per le sue contrapposizioni, ma furono anche anni di incredibile avanzamento scientifico. Lo sviluppo e il perfezionamento della tecnica consentono l’esplorazione delle aree più remote del globo terracqueo, fino ad allora considerate inaccessibili. È in questo contesto che inizia la corsa alla conquista dei Poli.
Già nel 1912 il grande esploratore norvegese Roald Amundsen aveva guidato con successo la prima spedizione antartica, raggiungendo il Polo Sud a piedi e aprendosi alla possibilità di replicare l’impresa anche nell’artico. Tentò quindi di ripetere il successo anche al nord avvalendosi di due idrovolanti, ma questo approccio risultò fallimentare per la scarsa autonomia degli apparecchi: si trattava di mezzi ancora rudimentali, insicuri, che riuscivano ad effettuare brevi ricognizioni aeree solo per limitati periodi di tempo, e che dunque mal si conciliavano con l’esplorazione delle immense distese artiche.
Foto dell’aeronave Italia, il primo dirigibile italiano progettato da Almerico da Schio in volo tra i cieli di Vicenza nel 1905 (Wikimedia Commons)
Alle criticità dell’aeroplano il dirigibile sembrava fornire una più che valida alternativa. Se è vero che già nel corso della Prima guerra mondiale l’aerostato aveva mostrato tutti i limiti del caso in ambito militare, è pur vero che il suo impiego civile sembrava promettere grandi vantaggi, a cominciare dall’enorme autonomia in volo quando comparata al suo principale competitor, l’aereo per l’appunto. Ciò era ben noto ad Amundsen, che per il suo secondo tentativo di trasvolo artico decise di puntare proprio sul dirigibile.
All’epoca l’Italia figurava tra le prime potenze dirigibiliste al mondo, seconda solo alla Germania con i celeberrimi Zeppelin, di tipo rigido. Il merito della nascente aeronautica italiana fu quello di inventare una nuova classe di dirigibili semirigidi, più resistenti rispetto ai loro omologhi tedeschi e quindi più adatti alle esplorazioni geografiche in condizioni estreme. Non fu infatti un caso se Amundsen, prima di intraprendere il suo secondo tentativo di esplorazione artica, si recò proprio a Roma dall’astro nascente dell’aeronautica italiana: l’ingegnere, in seguito generale, Umberto Nobile.
Nobile e il suo fox terrier Titina, immancabile mascotte delle sue esplorazioni
Il connubio Amundsen-Nobile è di quelli vincenti. Il norvegese, a capo della spedizione, commissiona il viaggio all’italiano, che coadiuvato dal governo fascista fornirà il supporto tecnico e il dirigibile Norge, pilotato dallo stesso Nobile. Al sostegno economico dell’impresa provvederà l’americano Lincoln Ellsworth, presente sull’aeronave insieme agli altri 13 uomini dell’equipaggio.
È l’11 maggio 1926: il Norge decolla dalle isole Svalbard e dopo 72 ore e 5.426 chilometri di navigazione attraverso il Polo atterra a Teller, in Alaska, portando a compimento il primo volo intercontinentale tra Europa e America della storia. Viene così definitivamente smentita la presenza di terra emersa nel mare glaciale artico: l’oceano polare si estende per tutta la sua ampiezza.
La spedizione suscitò un enorme clamore mediatico, prontamente cavalcato dalla propaganda di regime, che finì per oscurare la figura di Amundsen stesso in favore del neo-promosso generale Nobile e causare un aspro dissidio tra i due. Ma per Nobile la spedizione del Norge non era che l’inizio: numerosi interrogativi geografico-scientifici restavano ancora irrisolti ed erano, a suo avviso, meritevoli di una seconda esplorazione.
Il dirigibile Italia e la seconda spedizione artica
Nobile è confidente dell’affidabilità dei dirigibili e ritiene che i tempi siano maturi per una spedizione scientifica a guida interamente italiana. Con il sostegno politico di Benito Mussolini ed economico di una cordata di investitori privati, il generale riesce a mettere a tacere lo scetticismo di Italo Balbo, sottosegretario di stato per la regia aeronautica da sempre avverso alla destinazione di fondi per i dirigibili a scapito degli aeroplani, e di ampi settori dell’aviazione, restii a imbarcarsi in una seconda spedizione artica tanto dispendiosa quanto rischiosa.
La nuova aeronave allestita dallo stesso Nobile prende il nome di dirigibile Italia. Si tratta di un aerostato di 55mila metri cubi, tre volte più grande del Norge e con specifiche migliorie tecniche approntate per l’occasione, come una cupola d’osservazione e un meccanismo che consentisse l’ancoraggio a terra e la discesa sul pack artico dell’equipaggio. Uno degli obiettivi era infatti quello di allestire un piccolo campo dotato di stazione radio per poter effettuare i dovuti rilievi direttamente sulla banchisa.
Il 19 aprile finalmente il dirigibile Italia parte da Roma e facendo tappa a Milano, Stolp e Vadso raggiunge la Baia del Re nelle isole Svalbard il 6 maggio 1928, dove era ormeggiata anche la nave appoggio Città di Milano.
Dei cinque voli di esplorazione pianificati da Nobile, tuttavia, solo tre ebbero luogo. Nel corso del secondo, il dirigibile Italia mosse da Capo Mitra e, sorvolate le isole settentrionali della Terra di Francesco Giuseppe, si spinse fino all’arcipelago russo di Severnaja Zemlja, a nord della Siberia, per poi rientrare alla Baia del Re sorvolando le isole Svalbard. Il trasvolo durò 69 ore e consentì la trasposizione cartografica puntuale di 48mila chilometri quadrati ancora inesplorati, nonché la dimostrazione dell’inesistenza dell’ipotetica terra di Gillis.
Lo schianto dell’aeronave
Viste le cattive previsioni meteorologiche, Nobile decide di modificare la programmazione e procedere immediatamente con il volo finale. Il piano prevede l’esplorazione della parte settentrionale della Groenlandia, il raggiungimento del Polo e, condizioni meteorologiche permettendo, la discesa sulla superficie artica per allestire il campo base dal quale effettuare le rilevazioni scientifiche previste.
È il 23 maggio 1928, il dirigibile Italia inizia la sua terza ed ultima trasvolata artica. Spinto da un forte vento in poppa, l’aeronave raggiunge il Polo Nord in meno di venti ore, ma la situazione meteorologica non è tale da consentire una discesa sul pack. Dopo un confronto con lo svedese Film Malmgren (meteorologo, geofisico e docente universitario già parte della spedizione del Norge) Nobile decide quindi di invertire la rotta e rientrare alle isole Svalbard: lo svedese suggerisce sia più prudente che attraversare il fronte temporalesco alla volta dell’Alaska. Si rivelerà una valutazione errata e, purtroppo, tragica.
Il forte vento che aveva sospinto il dirigibile Italia all’andata, infatti, ora rallenta l’aeronave, la appesantisce di incrostazioni sempre più spesse e causa il lancio continuo di proiettili di ghiaccio che, distaccandosi dalle eliche, danneggiano la copertura esterna della struttura. Per le trenta ore successive i motori, al massimo dello sforzo, riusciranno a far avanzare il dirigibile Italia solo a modesta velocità.
Alle ore 10:30 del 25 maggio la poppa della nave si abbassa improvvisamente, trascinando l’intera aeronave verso la banchisa sottostante. Qualsiasi sforzo è inutile e Nobile ha solo il tempo di ordinare lo spegnimento dei motori per scongiurarne l’incendio e la conseguente esplosione. Tre minuti dopo la coda del dirigibile Italia e la cabina di comando impattano sul ghiaccio.
Nello schianto muore il motorista Vincenzo Pomella, mentre altri nove componenti dell’equipaggio vengono sbalzati fuori dall’aerostato assieme a strumenti di bordo e provviste. L’involucro esterno, alleggerito del suo contenuto, riprende lentamente quota mentre i restanti sei dirigibilisti, ormai impossibilitati a qualsiasi manovra, osservano attoniti i loro compagni rimpicciolirsi e scomparire sotto di loro, mentre il loro volo fuori da ogni controllo li conduce verso est.
Dei motoristi Ettore Arduino, Attilio Caratti e Calisto Ciocca, del timoniere Renato Alessandrini, del professore di fisica sperimentale Aldo Pontremoli, del giornalista Ugo Lago e dei resti del dirigibile Italia non si seppe più nulla.
L’epoea del salvataggio
Inizia con il terribile schianto del dirigibile Italia un’operazione di ricerca e salvataggio che vede il contributo attivo di Italia, Finlandia, Francia, Norvegia, Svezia e Unione Sovietica, nonché di innumerevoli altri stati e privati cittadini che offriranno mezzi e supporto a titolo personale.
I soccorsi però non iniziano sotto il migliore degli auspici: per 15 lunghissimi giorni i ricevitori della nave appoggio Città di Milano e della base operativa a Ny-Ålesund restano in silenzio. Si teme il peggio: temperature rigide, condizioni estreme, scarsità di provviste e i comprensibili effetti di un impatto del dirigibile Italia sulla banchisa non lasciano ben sperare.
Ma poi avviene il miracolo: Nikolaj Schmidt, un radioamatore sovietico in ascolto dall’oblast’ di Arcangelo, capta un frammento dell’sos proveniente dai superstiti del dirigibile Italia. Il governo dell’Urss provvede a informare il governo italiano, e le ricerche riprendono con rinnovato vigore.
Nikolaj Schmidt capta l’sos dei naufraghi del dirigibile Italia nel film italo-sovietico La tenda rossa del 1968
Lo schianto dell’aeronave sul ghiaccio non aveva sbalzato fuori solamente gli sventurati dirigibilisti, ma anche materiale indispensabile a sopravvivere in quelle condizioni climatiche estreme. Tra questi si annoverano, in particolare, la famosa tenda rossa (predisposta per ospitare un numero esiguo di persone per una breve permanenza, originariamente era di colore bianco, ma venne tinta con l’anilina per migliorarne la visibilità), una stazione radio da campo a onde corte, un ricevitore e un numero esiguo di scorte alimentari. Tutto ciò, insieme al fortunato abbattimento di un orso polare da parte di Malmgrem, consente all’equipaggio – tra il quale si annoverano diversi feriti – di sopravvivere per svariate settimane nel gelo polare.
Finalmente, a qualche giorno di distanza dall’sos captato da Schmidt, la nave Città di Milano riesce a ristabilire un contatto radio con i superstiti del dirigibile Italia, registrandone le coordinate. A lungo si dibatté sulle ragioni di un simile ritardo, che avrebbe potuto rivelarsi fatale per i naufraghi. Per quale motivo gli SOS di Biagi, radiotelegrafista dell’Italia, furono captati con così tanta difficoltà?
Uno studio del 2018 dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia sembra dipanare definitivamente quello che fu a tutti gli effetti un vero e proprio mistero per l’epoca. L’analisi delle osservazioni geomagnetiche di allora evidenzia come durante i primi giorni del naufragio fosse in atto una vera e propria tempesta magnetica a quelle latitudini del Polo. Inoltre, grazie all’applicazione di modelli geofisici e all’analisi di un’enorme quantità di osservazioni effettuate in zone polari il secolo scorso, è stato possibile confermare la presenza di una zona d’ombra per la radiofrequenza di 9.4MHz utilizzata dai naufraghi tanto ampia quanto l’area stessa delle isole Svalbard: la nave appoggio Città di Milano non avrebbe potuto in alcun modo ascoltare l’sos dei naufraghi.
Una volta ottenute le coordinate la macchina dei soccorsi ha modo di coordinarsi più efficacemente, ma l’individuazione dei naufraghi resta complicata. Alle condizioni meteorologiche estreme si somma la deriva del pack artico, che rende le coordinate ricevute imprecise: al polo inizia la stagione del disgelo, che porta immense superfici di ghiaccio a dividersi e a collidere l’una con l’altra, letteralmente sballottando la tenda rossa con tutti i suoi abitanti nel bel mezzo del vasto mare glaciale artico.
Tale spostamento aveva precedentemente portato i membri dell’equipaggio a ridosso dell’arcipelago settentrionale delle isole Svalbard, consentendo loro di individuare le isole di Foyn e Broch all’orizzonte. I capitani di corvetta Adalberto Mariano e Filippo Zappi, accompagnati da Malmgren, abbandonarono la tenda rossa nell’estremo tentativo di raggiungerle a piedi.
Nel frattempo in rapida successione partono i rompighiaccio sovietici Malyghin e Krassin, rispettivamente da Arcangelo e Leningrado. Il Krassin, in particolare, per portare soccorso ai naufraghi deve circumnavigare l’intera penisola scandinava. Da Trömso, in Norvegia, parte anche Amundsen a bordo dell’idrovolante francese Latham 47, ma sarà destinato a non fare più ritorno: l’aereo scompare nel nulla assieme a 6 uomini dell’equipaggio e, nonostante ulteriori missioni di ricerca e soccorso, non verrà mai ritrovato. La Norvegia si trovò così orfana del suo eroe nazionale e di uno degli esploratori più famosi del mondo.
L’aviatore Umberto Maddalena, sopraggiunto dall’Italia a bordo del suo Savoia-Marchetti S.55, è più fortunato: con l’aiuto di una radio da campo simile a quella in dotazione di Biagi, il 20 giugno riesce finalmente a individuare i sopravvissuti del dirigibile Italia, ma l’atterraggio è per lui impossibile. Tre giorni dopo ci riesce lo svedese Einar Lundborg, portando in salvo Nobile, ma al secondo tentativo di atterraggio sul pack l’apparecchio si ribalta e Lundborg rimane bloccato assieme ai naufraghi sulla banchisa.
Le speranze sono ormai riposte unicamente nel Krassin, che avanza con difficoltà attraverso la banchisa, ma il 3 luglio riporta un danno alle eliche tale da far valutare al comandante Karl Pavlovič Eggi un prudenziale rientro presso il porto sicuro più vicino per le dovute riparazioni. Ritrovarsi bloccati nella banchisa per il Krassin avrebbe significato l’esposizione a un rischio mortale: la deriva del pack e il movimento imprevedibile dei ghiacci avrebbe potuto facilmente stritolare l’imbarcazione, con drammatiche conseguenze per l’intero equipaggio. In questa circostanza cruciale Nobile stesso decide di telegrafare dalla Città di Milano a Samoilovič, pregandolo di non abbandonare la ricerca dei suoi compagni di sventura, ormai allo stremo.
Quanto il telegramma di Nobile abbia effettivamente influito sulla decisione di Pavlovič è difficile a dirsi. Fatto sta che il Krassin prosegue la ricerca e il 10 luglio il trimotore di bordo pilotato da Boris Čuchnovskyj individua il gruppo di Mariano e Zappi, scoprendo così la tragica fine di Malmgrem, morto per assideramento giorni addietro e mai ritrovato. Nel giro di due giorni il rompighiaccio sovietico trae in salvo il resto dell’equipaggio del dirigibile Italia, ponendo fine a un’odissea durata quarantotto giorni e costata la vita a diciassette persone tra dirigibilisti e soccorritori.
Retroscena e conseguenze poco note
Se le vicende del dirigibile Italia e della tenda rossa sono abbastanza conosciute, decisamente meno noti sono alcuni risvolti politici aperti proprio dalla tragedia della spedizione di Nobile.
Nel 1928, anno del disastro, nell’Italia fascista l’ex Segretario del Partito comunista d’Italia Antonio Gramsci è già in carcere da due anni. Iniziano allora a prendere forma i primi timidi tentativi di liberazione del leader comunista. È in questo contesto che il nuovo Segretario del PCI Palmiro Togliatti scrive un’accorata lettera a Nikolaj Ivanovič Bucharin, Segretario generale del Comintern. Nella corrispondenza, che riportiamo di seguito, il dirigente italiano propone al leader bolscevico di intercedere presso Pavlovič, il comandante del Krassin in procinto di recuperare tutti i superstiti del dirigibile Italia, affinché richieda a Nobile la liberazione di Gramsci come contropartita per il salvataggio dell’equipaggio. Scrive Togliatti:
Compagno Bucharin!
L’equipaggio sovietico del Krassin ha salvato una parte della spedizione di Nobile e possibilmente si prepara a salvare anche una seconda parte (probabilmente la lettera fu scritta dopo il salvataggio del gruppo di Mariano e prima del raggiungimento della tenda rossa, ndr). Cioè quasi tutta la spedizione. Ecco quello che propongo a nome dei compagni che sono qui: che l’equipaggio del Krassin si rivolga a Nobile domandando che Gramsci sia rimesso in libertà e inviato in Russia, giustificando la domanda con le condizioni di salute di Gramsci, che è malato, che forse sta per morire in prigione, ecc. È possibile questo dal punto di vista generale? Se pensate che è possibile, potete interessarvi della cosa, oppure indicarmi a chi potrei porre la questione?
Vita e pensieri di Antonio Gramsci. 1926-1937, Giuseppe Vacca
Non conosciamo gli esiti della richiesta, anche se i fatti dimostrano che non sortì gli effetti desiderati. D’altronde si trattava di un’iniziativa viziata sin dall’inizio: era quantomeno ingenuo ritenere che Mussolini potesse prendere seriamente in considerazione un simile appello, rivoltogli da un generale decaduto in procinto di subìre una commissione d’inchiesta per il disastro del dirigibile Italia e la radiazione dall’aviazione.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare questo non fu, tuttavia, il triste epilogo della figura di Nobile. Rinnegato dal regime, umiliato pubblicamente ed esautorato delle sue cariche militari, l’ex generale nel 1931 si trasferisce in Unione Sovietica su invito di Iosif Stalin in persona. Qui gli viene affidato l’incarico di allestire praticamente da zero l’intera flotta di dirigibili dell’Urss, della quale diviene il responsabile. Proprio in questa veste ha l’occasione di battere un altro record mondiale: quello di durata in volo, compiuta dal dirigibile V-6 di sua ideazione.
L’epoca delle aeronavi volge tuttavia al termine. Il tragico incidente dell’Hindenburg in New Jersey, immortalato da sequenze cinematografiche destinate a fare scalpore in tutto il mondo, causa nel giro di trenta secondi la morte di trentasei persone e pone la pietra tombale all’impiego del dirigibile.
Riprese originali del tragico incidente dell’Hindenburg in New Jersey del 1937
Nobile, deteriorato il rapporto con l’Unione Sovietica, dopo la Seconda guerra mondiale rientra in Italia e su invito di Togliatti si candida come indipendente nel gruppo comunista alle elezioni dell’assemblea costituente. Risulterà secondo solo a Togliatti stesso in termini di preferenze ricevute. Grazie al generale Nobile, riabilitato e reintegrato nell’aeronautica con tutti gli onori, si deve l’elaborazione dell’art. 9 della carta costituzionale della Repubblica italiana:
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.