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Le biografie di Italo Svevo e Umberto Saba, così come la storia della psicanalisi e dei suoi protagonisti (come il dottor Weiss, allievo di Freud) hanno sicuramente promosso la conoscenza dell’anima ebraica della città di Trieste, un’anima dalle radici antichissime che — benché in larga parte obliate nel corso del Novecento — sono ancora rintracciabili oggi nelle vie del centro e che si trovano documentate presso il museo Carlo e Vera Wagner di via del Monte.
La prima testimonianza della presenza ebraica a Trieste risale al 1226, data riportata in un documento attestante un debito contratto dal vescovo nei confronti di un ebreo di Carinzia in città. Sono proprio le attività finanziarie a costituire la traccia ebraica ad oggi conservatasi dal Medioevo triestino (ciò non vuol dire che questa fosse l’unica occupazione dei membri della comunità, di cui facevano parte anche ambulanti e persone dei ceti più bassi, di cui però non sono pervenuti molti documenti).
Alla fine del Seicento crescenti contrasti per ragioni religiose ed economiche portarono alla creazione del ghetto, situato in centro città, nell’odierna zona di Riborgo oggi caratterizzata dai suoi stretti viottoli vivacizzati da caffè, ristoranti, negozi e rigattieri. Del ghetto rimane pochissimo, tra cui il muro di due sinagoghe (sefardita e ashkenazita) all’inizio di via delle Beccherie, dato che l’area fu vittima del “piccone risanatore” fascista tra 1934 e 1938.
Alla proclamazione avvenuta nel 1719 di Trieste “porto franco” da parte di Carlo VI d’Asburgo, seguì in città l’introduzione della libertà di culto che richiamò non solo nuove comunità di fede ebraica, ma anche armeni, greci, protestanti e altre popolazioni dell’area balcanica.
Nel 1746 venne aperta la prima sinagoga, mentre nel 1771 le “Patenti Teresiane” (firmate cioè da Maria Teresa d’Austria) riconobbero maggiori libertà agli ebrei triestini, tra cui quella di residenza, possesso di immobili, impiego nel commercio, nelle arti e nei mestieri. In seguito, con gli editti di tolleranza emessi da Giuseppe II negli anni Ottanta del Settecento, a Trieste venne chiuso il ghetto, creata una scuola ebraica e i membri della comunità ottennero il permesso di partecipare alle elezioni del consiglio direttivo della borsa e di frequentare l’università. Dopo la parentesi napoleonica e il ritorno della città all’impero austriaco, la comunità ebraica ricevette infine piena emancipazione con la costituzione del 1867.
Nel corso dell’Ottocento la comunità ebraica triestina riuscì ad affermarsi nel mondo del commercio, fondando una serie di realtà in alcuni casi note ancora oggi, come la compagnia di assicurazioni Generali (fondata nel 1831), la società di navigazione Lloyd (sorta nel 1836), l’azienda di carte da gioco Modiano (creata nel 1868), la produzione di liquori e distillati Stock (aperta nel 1884), la fabbrica di saponi “Adria” dell’industriale Pollitzer (attiva dal 1857). Alcuni ebrei ricevettero cariche, onorificenze e titoli nobiliari proprio grazie alla loro produttività nel tessuto della città e dell’impero più in generale.
Di questo periodo a Trieste rimangono gli eleganti palazzi delle famiglie più facoltose come Casa Hierschel sul canale (Ponte Rosso) o Palazzo Morpurgo oggi sede della biblioteca statale Stelio Crise, ma anche la maestosa sinagoga (la quinta che venne eretta in città, nel 1912), frutto del lavoro dei famosi architetti Berlam, tra le più grandi d’Europa assieme a quella di Budapest, e ancora oggi utilizzata dalla comunità (ospita anche un negozio kasher; e a proposito di cucina, le fave [o favette] triestine — tipico dolcetto a base di mandorle della tradizione — sono a tutti gli effetti un prodotto kasher).
Benché l’ingresso generalmente utilizzato sia quello da via San Francesco d’Assisi (piazza Virgilio Giotti), in realtà la sinagoga è tradizionalmente orientata verso Gerusalemme e pertanto il portale si affaccia su via Donizetti. La presenza di stanze mal segnalate sulle piantine di questo moderno e funzionale edificio permise alla comunità di preservare molti materiali e testi durante il periodo fascista. Caratterizzata da uno stile orientaleggiante (siriaco) e dai rosoni che raffigurano la stella di David, la sinagoga fu tra le prime strutture costruite in cemento armato dell’epoca, cemento che all’interno è stato rivestito di stucchi per ricordare pietra o marmi.
Il Novecento sarà tragico per le sorti della comunità, prima divisa davanti alla prima guerra mondiale tra irredentisti e leali all’Austria, poi colpita dalle leggi razziali proclamate da Mussolini proprio da piazza Unità a Trieste nel 1938 (un tradimento per quegli ebrei fascisti che nel 1919 avevano fondato in città il “fascio giovanile ebraico”).
Nell’edificio oggi sede del museo ebraico in via del Monte, nel primo Novecento era attiva l’agenzia per l’emigrazione verso il futuro stato d’Israele; proprio una delle sale del museo è dedicata alle storie personali di chi in quegli anni si ritrovò a dover lasciare la città o, invece, a passare per la Risiera di San Sabba, campo di transito verso i lager nazisti e dall’aprile 1944 sede di un forno crematorio.
Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.