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La guerra procede ma dove possibile sono già state avviate operazioni di bonifica di mine e ordigni inesplosi. Le istituzioni ucraine sono affiancate da quelle internazionali, ma per rendere sicuri ai civili i territori dove si è combattuto serviranno anni
Nonostante i combattimenti in Ucraina continuino a infuriare, progetti di rimozione delle mine e d’educazione al rischio che comportano sono sempre più frequenti nel paese. Ovunque sia possibile, il ripristino in tutta sicurezza dell’accesso alle case e ai mezzi di sussistenza è fondamentale al fine di proteggere i civili dai rischi causati dai residuati bellici. Le autorità ucraine stimano, infatti, che circa il 50% del territorio del paese (circa 300.000 chilometri quadrati) sia stato colpito da azioni militari che hanno messo ad alto rischio di mine, esplosivi e munizioni inesplose i civili che tornano nelle aree non più occupate.
Dall’inizio dell’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, nel paese sono stati neutralizzati quasi 114.000 ordigni esplosivi, ivi comprese quasi duemila bombe aeree, su un’area di oltre 22.000 ettari. Dmytro Bondar’, vice capo del Servizio statale dell’Ucraina per le emergenze, ha osservato che su 300.000 metri quadrati di aree che necessitano di sminamento, 19.000 riguardano l’area idrica di bacini, fiumi e mari. Ma gli esplosivi possono essere trovati ovunque, non solo nei campi, nelle strade o nei cortili delle case private, ma anche nei mobili e persino nei giocattoli dei bambini.
Secondo le dichiarazioni dello scorso maggio del vice ministro degli Affari Interni dell’Ucraina, Meri Akopjan, fatte a seguito della prima riunione del Centro di coordinamento internazionale per lo sminamento umanitario in Ucraina, dopo un giorno di ostilità occorrono in media trenta giorni per sgomberare i territori da qualsiasi ordigno esplosivo. E l’Ucraina ha almeno 300.000 metri quadrati di territorio da bonificare e quindi la stima attuale (ottimistica) per bonificare l’intero territorio è di 5-7 anni almeno.
Il vice ministro ucraino ha dichiarato nella stessa occasione che il governo ha istituito il Centro internazionale per lo sminamento umanitario con lo scopo, in particolare, di “gestire l’assistenza internazionale: professionale, tecnica e finanziaria. All’incirca 20 organizzazioni straniere hanno già risposto e stanno ottenendo la certificazione per lavorare in Ucraina”.
Le missioni di sminamento internazionali
A livello nazionale ucraino è stato selezionato il Danish Refugee Council (DRC) per svolgere un ruolo chiave nelle attività di azione umanitaria contro le mine. L’accordo biennale, che consolida una collaborazione che si svolge sul territorio ucraino già dal 2014, impegna il DRC a fornire attrezzature vitali per l’azione contro le mine con particolare attenzione alla bonifica dei campi di battaglia e allo smaltimento dei residuati bellici esplosivi, nonché a offrire un supporto tecnico, educativo e organizzativo materiale. “È una tappa fondamentale in questo momento consentire alle persone di tornare a casa in sicurezza e, parallelamente, creare una maggiore consapevolezza dei rischi che possono nascondersi nelle aree residenziali, nei terreni agricoli e in altri luoghi in cui la gente era solita muoversi” spiega Brieuc Le Merle, direttore nazionale di DRC in Ucraina.
Il DRC sta attualmente organizzando campagne di sensibilizzazione su larga scala in Ucraina e nelle zone limitrofe per rafforzare la consapevolezza del rischio derivante dai vecchi e nuovi tipi di ordigni esplosivi. Dopo una prima serie di missioni di ricognizione, le squadre operative hanno già identificato e mappato le aree più sospette di pericolo disseminate di proiettili, razzi, mortai, mine anticarro e antiuomo, missili guidati e trappole esplosive.
Anche HALO Trust, altra organizzazione che si occupa di sminamento, ha firmato diversi contratti con il governo statunitense per lavorare in Ucraina. Il suo direttore esecutivo, Chris Whatley, spiega che gli sminatori utilizzeranno Spot, un cane-robot prodotto dalla Boston Dynamics, per rimuovere i proiettili di mortaio e le munizioni a grappolo a Buča e Brovary, nella regione di Kyiv. Spot ha funzionato bene con esplosivi piccoli e instabili in passato e, di recente, nella zona di Sumy e Trostjanec’, ma Whatley spera che il cane-robot sia utile anche per liberarsi delle munizioni a grappolo, che la Russia utilizza ampiamente in Ucraina.
Un’ottima iniziativa è partita anche dal Kosovo, paese diventato (purtroppo) esperto in questo ambito: ampiamente contaminato da ordigni inesplosi durante la guerra del 1999, fino a quando le Nazioni Unite non lo hanno dichiarato libero da mine nel 2001, il paese balcanico è stato l’epicentro dell’azione umanitaria contro le mine. Il rapido successo nella bonifica ha contribuito a consolidare la sua reputazione di luogo ideale per l’addestramento: il centro di formazione MAT Kosovo sta insegnando agli sminatori a rimuovere gli esplosivi in altri paesi devastati da conflitti, tra cui l’Ucraina; di recente, ha accolto anche alcune donne ucraine che si sono formate per questo tipo di operazioni.
In Europa, invece, sono stati i ministri degli Interni dei paesi baltici e della Polonia a chiedere alle istituzioni dell’UE di coordinare il sostegno alle operazioni di sminamento in Ucraina e di fornire gli adeguati finanziamenti. Una delle opzioni proposte è quella di utilizzare la rete ATLAS, un’organizzazione di corpi di polizia di tutti gli stati membri dell’UE. Tuttavia, il capo della difesa lituana, il tenente generale Valdemaras Rupšys, ha espresso il dubbio che l’invio di personale militare in Ucraina possa essere interpretato come un coinvolgimento diretto della NATO nella guerra: “La NATO non sarà certamente presente con il suo personale e non combatterà, quindi andare lì e svolgere operazioni di sminamento può essere considerato come un coinvolgimento diretto in quella guerra”.
Il problema delle mine non è nuovo in Ucraina, era già una tragedia nella tragedia quando ne scrivevamo due anni fa. Allora, l’idea di un’estensione del conflitto sembrava solo un’idea folle e impossibile; invece, il peggior incubo si è avverato lo scorso 24 febbraio e chissà quando mai finirà.
Sjevjerodonec’k: la storia di Mariupol’ si ripete
Sjevjerodonec’k, Rubižne e Lysyčans’k: dopo mesi di estenuanti combattimenti, da pochi giorni queste città della regione di Luhans’k sono cadute in mano all’esercito russo. Negli ultimi mesi, qui, si è combattuto duramente: in primavera le forze filorusse sono riuscite a conquistare Rubižne e alla fine di giugno anche Sjevjerodonec’k, mentre Lysyčans’k seguirà presto. Oramai il destino di queste località ricorda quello di Mariupol’: completamente distrutti e irriconoscibili, questi centri abitati fantasma sono in mano ai russi.
Le città del cosiddetto “triangolo”, dove prima degli eventi del 2014 abitavano più di 35.000 persone, sono state occupate più volte nel corso della storia. Durante la Seconda guerra mondiale l’area, importante polo industriale, venne interamente conquistata dall’esercito tedesco. Nella primavera del 2014, invece, finì per due mesi sotto il controllo dei separatisti sostenitori della Novorossija. Lysyčans’k ospitava allora la nota brigata Prizrak, l’unità militare di Aleksej Mozgovoj, uno dei più noti comandanti dei separatisti assassinato il 23 maggio 2015 (una morte ancora da chiarire).
Secondo quanto riportato qualche giorno fa dal giornalista russo Aleksej Venediktov, ex caporedattore e conduttore della stazione radiofonica indipendente Echo Moskvy, nel suo canale Telegram, il 98,17% dei territori della regione di Luhans’k è controllato dalle truppe russe, così come il 58,49% della regione di Donec’k, il 74,89% della regione di Zaporižžja e il 94,07% della regione di Cherson.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.