Nella giornata di ieri il tribunale cittadino di Mosca ha condannato il giornalista Ivan Safronov a 22 anni di carcere per alto tradimento in base all’articolo 275 del codice penale. Figlio del padre (omonimo) Ivan Safronov, ex militare e giornalista di Kommersant morto nel 2007 in circostanze mai chiarite mentre indagava sulla possibile vendita di caccia Su-30 alla Siria e sistemi missilistici S-300V all’Iran tramite la Bielorussia, ha seguito le orme paterne, occupandosi del complesso militare-industriale russo per alcuni importanti giornali russi tra cui Vedomosti e Kommersant.
La vicenda di Ivan Safronov figlio è iniziata con l’arresto nel luglio 2020: secondo l’inquirente, il colonnello Aleksandr Čuban della Direzione Investigativa dell’FSB (i servizi segreti russi), Safronov avrebbe trasmesso informazioni coperte da segreto di stato al politologo tedesco Demuri Voronin (nel 2015 per 250 dollari) e al giornalista ceco Martin Lariš (nel 2017), i quali, in quanto agenti segreti, le avrebbero a loro volta comunicate ai servizi americani.
Nonostante la difesa abbia sempre sostenuto che tutte le informazioni in possesso dell’accusato fossero open-source, dichiarando di essere disposta a dimostrare tale affermazione, questa opportunità non è mai stata concessa. Al contrario, l’accusa, con la complicità del tribunale moscovita e della prima corte d’appello, ha fatto di tutto per limitare l’accesso ai materiali del caso (22 tomi e 55 ore di registrazioni), concedendo agli avvocati di Safronov un solo mese invece dei tre previsti per analizzarli. Trattandosi di documenti segreti, inoltre, era vietato prendere nota o fare delle copie.
Ivan Safronov scopre un affare da 2 miliardi
Secondo il servizio russo della BBC, la vera ragione della condanna di Safronov sarebbe da ricercare nella sua attività giornalistica in un settore sensibile come quello della difesa. Risulterebbe scomodo in particolare un articolo del 18 marzo 2019 riguardante un accordo da 2 miliardi di dollari con l’Egitto per la vendita di una ventina di caccia Su-35 e altri armamenti. La notizia, ripresa e approfondita dai maggiori media russi, suscitò infatti l’immediata reazione dell’addetto militare egiziano a Mosca che chiese alle autorità russe di negare pubblicamente tale notizia.
Una seconda lettera, proveniente dalla Direzione armamenti del ministero della Difesa egiziano, dimostra quanto la diffusione di questa informazione avesse creato disagio alle autorità egiziane. L’ufficiale general maggiore Tarek Saad chiedeva addirittura che le autorità russe imponessero la censura sulle informazioni inerenti la cooperazione militare tra i due partner. Il timore dei militari egiziani infatti era legato al rischio di incorrere in sanzioni secondarie, previste dalla legge federale americana CAATSA per chi fa affari con il complesso militare-industriale russo.
Ovviamente questi eventi sembrano non avere nulla a che fare con le informazioni trasmesse rispettivamente quattro e due anni prima a presunti agenti segreti stranieri (Voronin e Lariš). Tuttavia, tra le carte del processo figurano anche le lettere degli ufficiali egiziani, insieme a documenti dei servizi segreti esteri (SVR) e dell’FSB. Nel frattempo, dalle riprese satellitari sembra che la produzione dei Su-35 per l’Egitto stia procedendo, nonostante le minacce dell’allora segretario di stato Mike Pompeo, mentre la notizia dell’accordo rimane ancora accessibile sul sito di Kommersant, sebbene l’articolo originale sia stato eliminato dal sito.
Riportiamo di seguito la traduzione della lettera indirizzata a Ivan Safronov da parte della redazione di Kommersant
Ciao, Vanja
I tuoi articoli sono apparsi molte volte sulla prima pagina di Kommersant. Sempre lì a partire dal 7 luglio 2020 [giorno dell’arresto n.d.t.] abbiamo pubblicato molti articoli su di te. Ora la utilizziamo per rivolgerci a te direttamente.
Qui a Kommersant lavorano persone che ricordano il momento in cui sei approdato nel mondo del giornalismo, hai imparato a scrivere pezzi brevi, hai iniziato a condurre inchieste esclusive e a venire premiato come autore del miglior pezzo del numero. Ricordano come sei diventato il migliore nel tuo campo e quante volte grazie a te Kommersant si è ritrovato tra i giornali più letti, di come battevi la concorrenza.
Si ricordano in che modo e perché sei stato costretto ad andartene.
A Kommersant ci sono persone che hanno avuto la fortuna di lavorare con te, che ricordano che anche il giorno più grigio e deprimente si faceva più radioso quanto passavi in redazione. Ricordano il modo in cui scherzi e ridi, le tue barzellette e i tuoi brindisi. Ricordano la tua vigorosa stretta di mano. Ricordano che non ti sei mai dato delle arie e che sei sempre pronto a dare una mano, sia al lavoro che nella vita.
E ogni giorno ricordano il fatto di non essere riusciti a dare una mano a te.
A Kommersant ci sono anche persone che non ti hanno mai conosciuto. Persone che sono arrivate in redazione negli ultimi tre anni e ti conoscono solo grazie a fonti open-source (scusaci per questa battuta un po’ triste), ai racconti dei colleghi e agli articoli dedicati a te.
E [ti conoscono n.d.t.] grazie ai tuoi articoli che spesso risultano nelle ricerche quando occorre raccogliere materiale nel back-end e recuperare quanto di già noto su determinate questioni.
Oggi tutti noi vogliamo dirti: “Vanja, tu sei un vero giornalista”. Sei un vero professionista. Sei una persona davvero in gamba.
Non abbiamo sentito nessuna prova pubblica della tua colpa e siamo sicuri che in un altro tempo, in un’altra situazione, saresti stato assolto. È possibile che il procedimento penale stesso non sarebbe mai stato avviato.
Tuttavia, non si può scegliere il tempo in cui vivere. Possiamo se mai decidere che tipo di persona essere nel nostro determinato tempo. Tu hai fatto la tua scelta. In questi due anni sei stato un modello di comportamento. Non ti sei arreso e non ti arrenderai ora. Sappiamo che sopporterai tutte le prove. Ti vogliamo bene e crediamo in te.
Ti aspettiamo.
La redazione di Kommersant
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