di Oleksiy Bondarenko*
Quelle andate in scena lo scorso fine settimana in molte regioni e città russe, sono state le prime elezioni dopo l’inizio della cosiddetta ‘operazione militare speciale’ che si traduce in invasione dell’Ucraina. Se negli ultimi anni, pur senza vere rivoluzioni, le elezioni in Russia ci avevano riservato piccole sorprese e spunti di riflessione con l’evidente calo di consensi per il partito presidenziale (ma non per il presidente stesso), una nuova configurazione di forze tra i partiti della pseudo-opposizione (con i successi a livello regionale del partito Comunista) e gli esperimenti tattici dell’opposizione extra-parlamentare capitanata da Aleksej Naval’nyj (e il suo ‘voto intelligente’), lo stato di guerra non dichiarate sembra ora aver spazzato via ogni parvenza di normalità (e non solo pseudo-competitività) dal farraginoso sistema politico russo.
Le elezioni appena terminate sembrano sottolineare simbolicamente la trasformazione finale del regime e la definitiva morte dell’istituto delle elezioni.
La campagna elettorale
Le elezioni, spalmate in 3 giorni, dal 9 al 11 settembre, si sono tenute in un totale di 82 regioni dove i cittadini sono stati chiamati a eleggere i propri rappresentanti nei vari organi dello stato. In 14 regioni si sono tenute elezioni dei governatori (la massima carica esecutiva) in altre 6 quelle dei parlamenti regionali e in 11 città quelle per i consigli comunali. A Mosca sono stati eletti 126 (dei 145 totali) consigli locali nei vari distretti della capitale russa.
Non sorprende che in parallelo con le notizie provenienti dall’Ucraina e la militarizzazione del dibattito pubblico, le elezioni sono state le meno competitive degli ultimi anni. Non solo i principali partiti della cosiddetta opposizione sistemica si sono tutti schierati a favore dell’invasione dell’Ucraina, molti si sono anche dimostrati più realisti del re, come il partito Liberal-Democratico di Russia (mai nome fu meno azzeccato) del da poco defunto Vladimir Žirinovskij. La questione della guerra non ha quindi dominato la campagna elettorale e in molte regioni, anche dove il partito di potere (Russia Unita) storicamente faticava maggiormente, come Jaroslavl’ e Marij El, o dove nei mesi recenti sono sorti timidi movimenti contro la guerra, come in Buriazia, non c’è stata in pratica alcune competizione. In quello che è chiaramente un accordo con il Cremlino, il partito Comunista (CPRF), ad esempio, non ha presentato il suo candidato nella competizione per la poltrona di governatore in Marij El, regione in cui nelle elezioni nazionali lo scorso anno aveva registrato uno storico 36%, il suo miglior risultato tra tutte le regioni russe. In Buriazia, invece il CPRF ha ‘sorprendentemente’ deciso di non far competere Vjačeslav Marchaev, membro del parlamento federale e il comunista più popolare e influente a livello locale, nonché uno dei pochi a non appoggiare incondizionatamente l’invasione dell’Ucraina. Più in generale, lo stesso schema vale anche per gli altri partiti che hanno lasciato campo libero a Russia Unita e ai candidati sostenuti direttamente dal Cremlino.
Una parvenza di competizione ha caratterizzato le elezioni per i parlamenti locali (Ossezia del Nord-Alania, Udmurtia, Krasnodar, Penza, Saratov e Sachalin). Una competizione, però, non dovuta ad una vera contrapposizione tra le forze in campo, ma piuttosto ad alcuni conflitti tra i gruppi di potere locali, come in Ossezia, Udmurtia e Sachalin.
Un controllo assoluto
Un quadro già di per sé desolante è reso ancora più cupo dalla spirale repressiva attuata dal regime per far fronte alle possibili conseguenze dell’impatto delle sanzioni economiche e dell’andamento piuttosto negativo della campagna militare in Ucraina. Anche se per svariati motivi la guerra e le turbolenze economiche non hanno portato al consolidamento di un forte movimento di protesta, il regime ha preventivamente ristretto ogni spazio di manovra per l’opposizione non sistemica cercando di schiacciare sul nascere anche i piccoli movimenti regionali. Già ad agosto, ad esempio, un numero crescente di candidati indipendenti, soprattutto a Mosca, è finito sotto indagine, impedendo così la loro registrazione alla corsa elettorale. Non solo. Con la scusa della guerra, le autorità hanno ampiamente esteso la legislazione contro l’estremismo e adottato misure sempre più restrittive criminalizzando la ‘diffusione di fake news’, il ‘discredito delle forze armate’ e inasprendo la legislazione nei confronti dei cosiddetti ‘agenti stranieri’ (organizzazioni e personalità che hanno ricevuto qualsiasi sorta di finanziamento proveniente dall’estero).
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Molti dei leader dell’opposizione hanno deciso di abbandonare il paese, mentre altri, come Il’ja Jašin, sono andati a fare compagnia ad Aleksej Naval’nyj dietro le sbarre.
A proposito di Naval’nyj, dopo il suo arresto nel gennaio 2021 il suo movimento (Fondazione Anti-corruzione), che nelle recenti elezioni aveva testato con qualche successo la tattica del ‘voto intelligente’ per minare la solidità del partito di potere, è stato lentamente smantellato dalle autorità. Nella tornata elettorale appena trascorsa il suo movimento, ora in pratica guidato da Vilnius dal suo braccio destro, Leonid Volkov, ha proposto la sua lista alternativa di candidati da votare solo nei distretti di Mosca, senza troppo successo.
I risultati
Un quadro, questo, che rende quasi inutile addentrarci nell’analisi dei risultati o delle numerose violazioni registrate nei giorni del voto. In un clima di incertezza, difficoltà economiche, militarizzazione ideologica del dibattito pubblico e crescente repressione di ogni forma di dissenso, le elezioni non sono altro che un inutile giro di giostra nel quale il partito di potere non poteva non dominare vincendo tutte le corse per la poltrona di governatore e conquistare maggioranze schiaccianti in tutti i parlamenti regionali.
Il disinteresse generale e la paura sono perfettamente catturati dall’affluenza alle urne, la più bassa di sempre. Persino le elezioni dei governatori, storicamente caratterizzate da un discreto livello di affluenza, sono state in buona misura ignorate dalla popolazione. In molte regioni l’affluenza non ha raggiunto il 30% (con Jaroslavl’ leader in negativo con solo il 25%), una differenza sostanziale con lo scorso anno, quando il livello più basso è stato registrato a Chabarovsk con il 44%.
Sullo sfondo della controffensiva ucraina nella regione di Charkiv e le crescenti difficoltà militari della Russia, le elezioni sono definitivamente diventate un teatrino in cui la vittoria di Russia Unita è venduta dalla propaganda come inconfutabile segno di sostegno nei confronti di Putin e della sua ‘operazione militare speciale’. Una scatola vuota che ormai le autorità non fanno nemmeno più finta di considerare nient’altro che un’inutile perdita di tempo.
Foto: Krasnogorskie Vesti
* Nato a Kiev e laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna (sede di Forlì), Oleksiy Bondarenko si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca sull’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer e insegna politiche comparate alla Warwick University. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.