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Vincere un’Eurolega è già di per sé un’ardua impresa. Vincerla da esuli, senza il supporto del proprio pubblico per quasi tutte le partite europee aggiunge un livello di difficoltà in più a questo obiettivo. Con un misto di giocatori d’esperienza e di nuove leve che poi hanno fatto la storia del basket europeo, con un allenatore alle prime armi e guidata dallo spirito di uno dei più grandi coach e dirigenti di quella parte di mondo, quella squadra ha trionfato nell’Eurolega 1992 in un contesto che non ha eguali nella storia dello sport contemporaneo, dando vita alla leggenda del Partizan de Fuenlabrada.
L’antefatto: lo scoppio della guerra e l’Eurobasket 1991
Il 25 giugno 1991, Croazia e Slovenia dichiarano unilateralmente la propria indipendenza dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. È l’inizio della fine della storia della Jugoslavia unita. Dal 26 l’esercito federale parte con gli attacchi, che si chiudono il 7 luglio con gli accordi di Brioni. La secessione inizia a farsi violenta anche in Croazia, con le tensioni che esplodono nel settembre del 1991. In questo clima molto teso e incerto, la nazionale jugoslava di basket è chiamata a rappresentare il paese agli Europei italiani del 1991 e a difendere il titolo conquistato due anni prima a Zagabria.
È la stessa squadra che è diventata campione del mondo l’anno precedente in Argentina, nella finale vinta con l’Unione Sovietica e che è diventata un simbolo delle crescenti tensioni all’interno del paese. Sono passati pochi mesi da quando Vlade Divac ha strappato di mano una bandiera con la šahovnica, la scacchiera, simbolo croato, dalle mani di un tifoso, incrinando per sempre il suo rapporto con Dražen Petrović, il più grande cestista croato di tutti i tempi.
Infatti, all’Eurobasket 1991 Petrović non si presenta perché supporta in tutto e per tutto la causa di Zagabria, ma ci sono gli altri croati: Perasović, Kukoč, Rađa e Komazec. C’è anche Jure Zdovc, l’unico sloveno della spedizione, che tornerà a casa prima della semifinale contro la Francia su ordine della neonata federazione cestistica slovena. I Plavi vincono il titolo europeo in finale contro l’Italia: è l’ultimo titolo conquistato dalla nazionale di basket jugoslava in ambito internazionale.
Obradović e la decisione di diventare allenatore
A quell’Europeo manca uno dei giocatori cardine della nazionale, ovvero il playmaker titolare Željko Obradović. Al termine della stagione 1990/1991, aveva deciso di ritirarsi dal basket giocato, dopo aver conquistato il titolo di campione di Jugoslavia con il Partizan, squadra nel quale militava dal 1984. Nella sua testa sa che il suo futuro è su una panchina ad allenare: rinuncia all’Eurobasket del 1991 dopo una conversazione con l’allora tecnico della nazionale Dušan Ivković nella quale decide il suo futuro professionale.
Obradović prende subito il controllo dei crno-beli, i bianco-neri, dopo aver passato le ultime fasi della stagione 1990/1991 ad allenare le giovanili: a fargli da mentore c’è uno dei più grandi nomi della storia del basket jugoslavo, Aleksandar “Aca” Nikolić, al quale oggi è intitolata l’Hala Pionir, storica casa della sezione basket del Partizan. Come in tutte le grandi storie di basket jugoslavo Aca è un profe, un professore di scienze motorie per formazione; ha un rapporto con i giocatori che definire particolare sarebbe un eufemismo: è quel tipo di allenatore al quale non va bene nulla se la squadra vince, ma se perde ti sa insegnare e motivare al punto di evitare altre sconfitte.
La squadra è stata foraggiata da un altro grande del basket jugoslavo, ovvero Dragan Kićanović, che ha personalmente selezionato buona parte del roster dei crno-beli, contribuendo così al flusso di talenti che arriva dalle giovanili della squadra nel periodo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta.
La decisione della FIBA e l’entrata in scena di DORNA
Con la vittoria del campionato jugoslavo del 1991, il Partizan guadagna un posto nell’Eurolega della stagione successiva. Ma la Jugoslavia sta velocemente sprofondando nel conflitto. Dopo varie Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che poi sfoceranno nella Risoluzione Numero 787 che determina l’esclusione a livello sportivo di tutte le squadre nazionali e di club rappresentanti la Repubblica Federale Jugoslava, la FIBA decide di vietare al Partizan di disputare le proprie partite europee a Belgrado per ragioni di sicurezza.
I crno-beli rimangono così senza una casa per la Coppa dei Campioni. Questo problema diventa un’opportunità per un’impresa di organizzazione di eventi sportivi spagnola, la DORNA, che prende il controllo della situazione. Propone alla FIBA di far sì che il Partizan si sposti, in occasione delle partite europee, nel sobborgo madrileño di Fuenlabrada, che aveva inaugurato da poco un nuovo palazzetto dello sport intitolato a Fernando Martín, leggenda del basket spagnolo scomparso in un incidente stradale all’età di 27 anni il 3 dicembre 1989. Si procede con l’accordo: il Partizan ha trovato una casa per l’edizione 1991/1992 della Coppa dei Campioni.
Una squadra giovane, unita ma non troppo
La squadra dei bianconeri è la più giovane dell’intera competizione: compreso Obradović ha un’età media di soli 23 anni. I giocatori con più esperienza sono il capitano Saša Đorđević (25 anni), Dragiša Šarić (31 anni) e il croato Ivo Nakić (26 anni), che decide di rimanere a Belgrado nonstante la guerra in Dalmazia e nella sua ciità natale, Rijeka. I più giovani sono Igor Perović e Branko Sinđelić (entrambi 18 anni). Il rapporto a livello umano tra tutti i giocatori è molto buono, lo spogliatoio molto unito. Anche se ci sono delle divergenze, soprattutto tra i due giocatori più talentuosi della squadra, ovvero le due guardie titolari Saša Đorđević e Predrag Danilović.
I due vengono da contesti differenti: il primo è belgradese, nato e cresciuto tra i blokovi di Novi Beograd, è il capitano e ha una presenza a livello di carisma che è disarmante. Sempre da capitano, aveva portato la nazionale jugoslava juniores sul tetto del mondo a Bormio nel 1987. Danilović, invece, viene da Sarajevo: è figlio di serbi dell’Erzegovina e muove i primi passi nelle giovanili del KK Bosna. Il Partizan nota subito il suo talento e nel 1988 lo porta nella capitale, dove piano piano acquisisce un ruolo di importanza sempre maggiore. Questi due, che portano sulle spalle la maggior parte del peso offensivo della squadra, non si parlano, ma la loro intesa sul campo è fenomenale.
L’esordio a Fuenlabrada: l’inizio di un’amicizia eterna
Il “Partizan de Fuenlabrada” viene sorteggiato nel gruppo B dell’Eurolega insieme a Den Helder, Estudiantes, Joventut Badalona, la fortissima Olimpia Milano, Bayer Leverkusen, Racing Mechelen e Aris di Salonicco. Nella prima partita, la trasferta olandese contro il Den Helder, il Partizan si mette subito in mostra vincendo 81-75. Il secondo incontro è il primo giocato nella loro nuova casa, il Pabellón Fernando Martín: l’obiettivo primario è vincere, quello secondario, e in questo contesto forse più importante, è quella di ingraziarsi il pubblico spagnolo, in modo da avere supporto in questa situazione senza l’appoggio dei famigerati grobari. Sul campo stravincono 87-67 contro i belgi del Racing Mechelen, ma è sugli spalti che ottengono la vittoria più importante: si fermano a parlare col pubblico senza capire una parola di spagnolo, a firmare autografi, riescono in tempo brevissimo a farsi amare dalla gente.
L’evento che più di tutti simboleggia l’amicizia che si viene a creare avviene in occasione della partita tra il Partizan e i catalani della Joventut Badalona che si gioca il 6 febbraio 1992: il pubblico spagnolo supporta incessantemente la squadra di Belgrado, nonostante gli avversari siano loro conterranei, tanto che dopo la vittoria per 76-75 in un finale concitato il pubblico continua ad applaudire il Partizan per altri dieci minuti. Ciò sciocca la stampa sportiva spagnola, che non si capacita di come il pubblico di Fuenlabrada abbia sostanzialmente adottato i belgradesi: questo è l’inizio di un’amicizia che dura da ormai trent’anni e che ha contribuito fortemente allo sviluppo del basket in quell’area. Se oggi Fuenlabrada ha una squadra che è costantemente parte della Liga ACB, massimo campionato spagnolo, è grazie al fatto che il Partizan abbia giocato lì in quel periodo.
Il ritorno a Belgrado e le monetine di Bologna
Nel loro gruppo, i crno-beli si classificano quarti – ultimo posto disponibile per passare il turno – con 9 vittorie e cinque sconfitte. Ciò significa che ai quarti di finale devono affrontare la Virtus Bologna di Ettore Messina, anche lui al suo primo incarico da capo allenatore. Tra le Vu Nere milita anche Jure Zdovc, proprio il playmaker sloveno che aveva abbandonato la nazionale jugoslava durante l’Eurobasket 1991.
Per quest’occasione la FIBA concede al Partizan di giocare la prima partita della serie dei quarti di finale in casa, all’Hala Pionir: per la prima volta in quell’edizione dell’Eurolega i crno-beli si ritrovano a giocare con il supporto dei propri tifosi, solo che l’affluenza non è quella delle grandi occasioni. Nonostante ciò il Partizan riesce ad imporsi 78-65 e va in trasferta a Bologna con il peso di questo vantaggio sulle spalle. A gara 2 i belgradesi perdono di un solo punto per 60-61 e devono restare a Bologna, perché secondo la formula del tempo gara 2 e 3 vengono giocate in casa della squadra con il miglior piazzamento nella fase a gironi. Il Partizan riesce a spuntarla nella “bella” per 69-65: alla sirena finale il pubblico del PalaDozza non prende bene la sconfitta, urlando offese ai vincitori e lanciando di tutto ai ragazzi di Obradović che stanno rientrando negli spogliatoi. Ma poco importa, perché il Partizan ha appena staccato il biglietto per la Final Four di Istanbul. Da esuli avevano già fatto l’impresa.
“Non arrabbiatevi se sono rimasto in silenzio per un momento”
La squadra di Željko Obradović e Aca Nikolić è tra le migliori quattro del continente: in semifinale devono affrontare un club che sulla carta è decisamente favorito, la Philips Milano che tra le proprie fila conta giocatori come Antonello Riva, Riccardo Pittis, Davide Pessina e l’ex NBA Darryl Dawkins, conosciuto come “Chocolate Thunder”. Sia la semifinale che la finale sono a gara secca: il 14 aprile il Partizan affronta i milanesi e compie l’impresa nell’impresa, battendoli 82-75.
È finale. Si dovranno scontrare contro la Joventut Badalona, vincente sull’Estudiantes, squadra che i belgradesi avevano già battuto con l’appoggio del pubblico di Fuenlabrada. La partita è equilibratissima, né i catalani né i serbi riescono a prenderne il controllo; è punto a punto fino all’ultima palla. A pochi minuti dalla fine il Partizan perde Predrag Danilović che è costretto ad uscire per aver commesso il suo quinto e ultimo fallo personale: è fuori di sé dalla rabbia e dallo sconforto. L’ultimo possesso della Joventut si chiude a 8 secondi dalla fine, con un canestro impossibile di Tomas Jofresa sul raddoppio di Đorđević e Stevanović. La palla finisce direttamente nelle mani di Juan Antonio Morales che, invece di passarla all’arbitro per farla rimettere in gioco, la lascia sotto canestro: Slaviša Koprivica la rimette subito in gioco passandola al capitano Aleksandar Đorđević che prende in mano la situazione.
Il cronometro continua a scorrere, passano i secondi. Il numero quattro in bianco è marcato da Jofresa e riesce a raggiungere la linea del tiro da tre nell’altra metà campo. Con quattro secondi, Đorđević tira: è tutto storto, a livello meccanico sarebbe un tiro sbagliato, ma non ha altre opzioni. La palla vola, tocca il ferro e finisce dentro. Gli spagnoli provano a salire velocemente e cercano un tiro disperato. Non c’è più tempo. Suona la sirena: Partizan 71, Joventut Badalona 70. I crno-beli, inaspettatamente, sono sul tetto d’Europa. Di quella sera rimane impressa, oltre alla tripla di Đorđević, la frase del commentatore Dragan Nikitović pronunciata subito dopo il canestro:
(SR): Đorđević...
Tri poena! Tri poena!
Vreme je isteklo! Vreme je isteklo!
Nemojte se ljutiti, što sam zaćutao za trenutak
Sedamdeset jedan sedamdeset
Ja u svojoj karijeri ovo nisam doživeo!
(IT): Đorđević...
Tre punti! Tre punti!
É scaduto il tempo! É scaduto il tempo!
Non arrabbiatevi, se sono rimasto in silenzio un momento
Settantuno a settanta
Non ho mai vissuto una cosa del genere nella mia carriera!
Il documentario per il trentennale del Partizan de Fuenlabrada
La frase di Nikitović è diventata il titolo di una serie di documentari in tre parti prodotta dalla Radio Televizije Srbije (RTS), insieme alla casa di produzione Videostroj, che racconta il dietro le quinte di quella squadra e dell’amicizia ormai eterna con la comunità di Fuenlabrada. Compaiono quasi tutti i protagonisti di quel trionfo, ovvero Đorđević, Danilović, Željko Obradović, Nikola Lončar, Slaviša Koprivica, Zoran Stevanović, Milovan Šilobad e Željko Rebrača; oltre a loro ci sono dei contributi anche di Dule Vujošević, storico allenatore del Partizan, e di Bogdan Diklić, attore e grande tifoso dei bianconeri che era presente a quella finale. Una finale che non era nelle previsioni di nessuno soprattutto in un contesto del genere, dimostrazione del fatto che con caparbietà, intesa e la giusta guida si possono raggiungere risultati inaspettati. Il Partizan, il Partizan de Fuenlabrada, rimane ad oggi l’unica squadra serba ad essersi laureata campione d’Europa.
Laureato in Scienze della Comunicazione, si occupa principalmente di calcio e basket specificatamente nell'area balcanica, avendo vissuto in Serbia nel periodo tra agosto 2014 e luglio 2015. Ha collaborato da giugno 2020 a dicembre 2021 con la redazione sportiva di East Journal. É co-autore del podcast "Conference Call" e autore della rubrica "CoffeeSportStories" sul podcast "GameCoffee". Da agosto 2022, collabora con la redazione sportiva della testata giornalistica "Il Monferrato".