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Ridere di sé stessi significa privare gli altri dell’opportunità di farlo.
Per la regia di Aleksandr Veledinskij, Il Geografo si è bevuto il mappamondo è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo uscito dalla penna di Aleksej Ivanov, autore anche de I cinocefali. La semplice e attuale profondità della trama è valsa alla pellicola la ventiquattresima edizione del Kinotavr, il Festival del cinema russo (2013) e la ventisettesima edizione della cerimonia di Nika.
Nel caos economico, politico e sociale degli anni Novanta, il biologo Viktor Služkin si trova senza lavoro, sull’orlo di una crisi esistenziale e professionale. La sua condizione lo porta ad accettare l’impiego di docente di geografia in uno sgangherato liceo di Perm’, città sugli Urali che dà il nome all’ultimo periodo dell’era del Paleozoico.
Nel voler dare un volto al protagonista di Ivanov, Veledinskij sceglie Konstantin Jur’evič Chabenskij, uno dei più grandi attori della Russia contemporanea la cui espressività ricorda quella di un clown triste. Pasticcione e caricaturale, Viktor è infatti un uomo sulla soglia di trent’anni affetto dalla sindrome di Peter Pan, che scrive “buone poesie mediocri” e che reagisce comportandosi come un pagliaccio persino di fronte alle situazioni più serie.
Viktor, Vitja, Vit’ka e Vitus
Per sua moglie Nadja, Vitja è un marito superficiale e un padre distratto della loro piccola Tata. Fin dalle prime scene del film e dalle prime pagine del romanzo, emerge la profonda insoddisfazione di Nadja nei confronti della vita coniugale, così profonda da portarla a invitare il marito a trovarsi altre donne.
Se Viktor è Vit’ka per la sua compagnia d’infanzia, quasi a scimmiottare il latino diventa invece Vitus per Budkin, suo amico storico che si trasferisce nel palazzo accanto. Arrogante, inopportuno ed egoista, Budkin è spesso ospite a casa di Viktor, con il quale condivide non solo il tetto e la tavola, ma anche la moglie Nadja, che, seppur mal sopportandolo, comincia ben presto ad avere una relazione extraconiugale con lui.
Viktor: geografo e Geografo
Viktor è geografo e Geografo. Scrivendolo con la lettera minuscola, Ivanov indica la professione di Služkin, quella di professore di geografia. I suoi allievi sono indisciplinati e anarchici. Nella Russia post-comunista le distanze gerarchiche si accorciano: vige un senso di cameratismo fra studenti e insegnanti, talvolta addirittura apostrofati come “fratelloni”. Il nocciolo della filosofia pedagogica di Viktor è la sincerità. Sostenendo di non saper essere un buon docente e di non saper nemmeno leggere le carte geografiche, ammette: «so che non si può insegnare nulla. Si può essere da esempio e chi vuole, imparerà per imitazione. In ogni caso, sconsiglio a chiunque di imitare me». Tuttavia, l’umile onestà e la vicinanza umana post-sovietica che fa crollare ogni maschera spinge Viktor a organizzare con i suoi ragazzi una spedizione sul fiume nella taiga Perm’ a Mežen’, che si rivela essere per tutti una prova di sopravvivenza e umanità. Riprendendo le parole di Marco Archetti per Pagina 3, i paesaggi sono una ferita che sanguina una storia recente.
Durante questa spedizione, infatti, Služkin torna con la memoria alla sua adolescenza, al 1982 quando Brežnev moriva e si pensava fosse l’inizio della fine. Il giovane Viktor sognava un’esplosione nucleare che ponesse fine alle sue pallide aspettative sul futuro. Visitando lager abbandonati e ponti crollati, il Geografo ripercorre il suo passato e comprende quanto la rimozione dei fantasmi sia distruttiva e pericolosa quanto un’esplosione nucleare: non è rimasto nulla, se non le persone, ormai relitti di una storia con cui non potranno fare i conti.
Utilizzando la lettera maiuscola, invece, Ivanov sembra ricoprire il suo eroe di un ruolo. Il Geografo è tale perché ha il compito di tracciare la mappa di quel territorio dissestato che è ormai la Russia post-sovietica di fine Novecento. Quella di Viktor è una società terremotata e post-apocalittica abitata da naufraghi sopravvissuti, ma esausti alla ricerca di superficiale leggerezza. Il malinconico paesaggio di Perm’ si popola dei resti della precedente società sovietica: palazzoni prefabbricati, casermoni diroccati e fabbriche in rovina. Non a caso la traduttrice e curatrice del romanzo Anna Zafesova definisce Viktor l’archeologo di una società ormai in decomposizione.
L’ombra della letteratura
Il protagonista di Aleksej Ivanov ha ricordato alla critica quelli di altri grandi della letteratura russa, partendo dai numerosi volti cechoviani, passando per Raskol’nikov di Delitto e Castigo, e arrivando fino all’Eroe del nostro tempo di Lermontov. Per dirla alla Puškin però, Viktor è soprattutto un “uomo superfluo”, un “piccolo uomo” profondamente infelice che si arrabatta per cercare di riempire i suoi vuoti. E allora, per riempirli, Viktor si riempe il calice ed esagera nel bere, ricordando così, accanto a tutti gli altri, anche gli eroi religiosamente ubriachi di Erofeev.
Oltre all’alcool, che ritorna anche nel titolo Geograf propil globus, Služkin si circonda anche di donne: Nadja, Kira, Saša, Vetka. Tuttavia, le figure femminili che costellano la vita del protagonista non sono solo riflesso di un bisogno carnale: in loro cerca sempre un po’ di umanità col quale spera di poter colmare le sue mancanze. Lo spettatore osserva e vive insieme a Viktor non solo i suoi sentimenti più immediati, ma anche la sua crescita in quanto essere umano. L’amore in senso assoluto, infatti, Viktor lo sperimenterà solamente grazie al suo lavoro, grazie a Maša, studentessa per cui nutre un sincero e disinteressato affetto.
Il riflesso di Ivanov
Nelle sue molteplici sfaccettature, Viktor è anche il suo creatore, Ivanov stesso. Entrambi classe 1969, entrambi docenti: uno di geografia e l’altro di storia dell’arte. La scuola si ritrova a essere al centro del romanzo, e non solo dal punto di vista della trama: la primissima bozza de Il Geografo si è bevuto il mappamondo finì nel 1995 in un cestino per colpa di una collaboratrice scolastica. Ivanov decise così di scriverne una seconda copia, che purtroppo però venne rubata. La terza e ultima versione l’autore la riprese come assetto della prima, a puntate. Stavolta finalmente l’opera vide la luce: uscì in ventotto edizioni e venne adattato in un film, in questo film in cui i russi si sono specchiati. La nostra fortuna è quella di avere fra le mani un’opera letteraria e cinematografica di portata immensa, attuale, che sprigiona la forza della parola e riflette il disagio generazionale di un paese che incombe su se stesso.
Laureata in Lingue e letterature straniere a Milano con le tesi “Immagini gastronomiche nelle Anime Morte di N. V. Gogol’” e “Le dimensioni dell’individualismo e del collettivismo nella quotidianità in Russia e in Italia”, Laura Cogo è attualmente docente di lingua e letteratura. Collabora con Russia in Translation e Ilnevosomostro.