Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:
IBAN IT73P0548412500CC0561000940
Banca Civibank
Intestato a Meridiano 13
Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.
«Non potrò mai dimenticare la partenza da Genova. Tutta la città si è radunata per celebrare familiari e amici. Sul molo, una Babele indescrivibile. Orchestre, fanfare, chitarristi solisti. Tutta l’Italia della mia immaginazione. E tutti i colori del mondo. Gli italiani sulla nave dicono che succede così fin dai tempi delle caravelle».
Così Rudolf Wetzer, capitano della nazionale romena, saluta la partenza della squadra dal porto di Genova a bordo del transatlantico Conte Verde il 19 giugno 1930.
La destinazione del «palazzo sull’acqua» – così lo descrive lo stesso Wetzer – è la capitale dell’Uruguay Montevideo, dove si giocherà la prima Coppa del Mondo di calcio. Sarà il Conte Verde a portare in Sud America tre delle quattro nazionali europee partecipanti, il presidente della FIFA Jules Rimet e la nazionale brasiliana, raccolta lungo il tragitto a Rio de Janeiro.
La delegazione romena per il Mondiale 1930
Soprattutto, sarà proprio la delegazione romena, formata da quindici giocatori e cinque membri aggiunti, la prima a imbarcarsi. In qualche modo, il primo atto “fisico” di una Coppa del Mondo di calcio, il primo gesto in grado di dare impeto e concretezza alla più grande competizione globale del pallone tondo, è proprio quello dei romeni capitanati da Wetzer. È un viaggio di cui grazie a Wetzer abbiamo un ampio resoconto: il centrattacco di Timișoara, il giocatore più anziano ed esperto della squadra, redigerà meticolosamente un diario.
«Partiamo! Partiamo! Partiamo! Sono arrivati i passaporti!». L’entusiasmo di Rudolf Wetzer nelle righe che verga nel suo diario l’11 giugno è incontenibile. Soprattutto è incontenibile il suo sollievo: mancano solo cinque giorni alla partenza del treno che porterà il contingente bucarestino al porto di Genova, otto al momento in cui il transatlantico salperà dalla Liguria. Eppure, fino a quel fatidico 11 giugno, la presenza della Romania alla prima Coppa del Mondo di calcio è ancora in forte dubbio, nonostante le prime voci di una partecipazione romena risalissero all’inizio della primavera.
Il punto nevralgico da cui si diffondono le voci sono i tavolini del ristorante Mercur, prossimo alla sede dei telefoni su Calea Victoriei, dove «nulla al mondo slega la lingua meglio del riesling Zaporojcenko, specialità della casa». Dove, parola di Wetzer, «si trova la “Borsa del calcio”. Qui avviene tutto. Qui un accordo prospettato a pranzo, tra uno stufato di trippa e un caffè, si trasforma in una decisione ufficiale nel dopo cena». È qui che, durante i mesi primaverili, si moltiplicano gli incontri tra Wetzer, il manager e allenatore della nazionale Costel Rădulescu e soprattutto Octav Luchide, il segretario della federcalcio romena.
Luchide, detto “Grecul” (il Greco), è l’uomo che vive quei mesi in maniera febbrile, impegnato a tessere in gran segreto la tela della presenza romena a Montevideo, a suon di telegrammi diretti a Bruxelles, all’ufficio del dottor Buero, il ministro uruguagio incaricato di organizzare il necessario per la partecipazione delle squadre europee.
Ottenere il permesso di lavoro
Il problema che tormenterà fino all’ultimo la rappresentativa romena è quello dei permessi di lavoro: il calcio in Romania non è ancora un affare professionistico. Per questo i giocatori risultano spesso impiegati da compagnie legate alle squadre stesse e i padroni sono restii a concedere un permesso, per quanto non retribuito, di due o tre mesi. Tanto più che c’è scetticismo sul reale prestigio della competizione, dopo la scelta di non iscriversi da parte di squadre come Italia, Austria e Cecoslovacchia.
Luchide e Rădulescu devono farsi in quattro per convincere imprenditori milionari come Ettore Brunelli (presidente della Banca Commerciale Italiana e della Juventus Bucarest in cui milita Wetzer) o Max Auschnitt (il milionario titolare della fabbrica di locomotive Uzine și Domeniile di Reșița, oltre che dell’omonima squadra di calcio in cui gioca Adalbert Deșu).
L’ostacolo apparentemente insormontabile è la raffineria Astra Română di Ploiești, di proprietà inglese, in cui sono impiegati i due compagni di squadra di Wetzer, Imre Vogl e László Raffinsky. L’11 giugno in cui Wetzer esulta con il triplice «Partiamo!» sul suo diario è proprio il giorno della conferma che, alla fine, i dirigenti della raffineria hanno ceduto.
Non è chiaro cosa abbia smosso i titolari dell’azienda, e si è arrivati a pensare a un intervento di re Carol II in persona, che addirittura avrebbe scelto la squadra da inviare oltreoceano. Un’ipotesi pittoresca, ma che non si può considerare nulla più di una leggenda, se si tiene in considerazione la storia di re Carol II che, dopo aver rinunciato al trono e accettato di autoesiliarsi pur di restare con la propria amante, proprio il 6 giugno 1930 – dieci giorni prima della partenza della nazionale da Bucarest – rientra in incognito in Romania e con un colpo di palazzo si riprende la corona.
Resta quindi difficile credere che, in assenza di trasmissioni radiofoniche o televisive, Carol abbia potuto seguire dal proprio esilio le vicende del calcio romeno. Resta ancora più difficile pensare che, nelle convulse giornate del proprio insediamento, abbia potuto trovare il tempo di occuparsi della squadra nazionale.
La rosa mondiale della Romania
Il lotto finale è composto dai portieri Ion Lapușneanu (Sportul Studențesc Bucarest), Samuel Zauber (Maccabi Bucarest); dai terzini Rudolf Bürger e Adalbert Steiner (Chinezul Timișoara), Iosif Czako (UDR Reșița); dai medianiImre Vogl e László Raffinsky (Juventus Bucarest), Alfred Eisenbeisser (Dragoș Vodă Cernăuți), Corneliu Robe (Olympia Bucarest); dagli attaccanti Ștefan Barbu (Gloria CFR Arad), Rudolf Wetzer (Juventus Bucarest), Miklós Kovács (Banatul Timișoara), Adalbert Deșu (UDR Reșița), Constantin Stanciu (Venus Bucarest) e Ilie Subășeanu (Olympia Bucarest).
A loro si aggiungono, oltre a Rădulescu e Luchide, altri tre dirigenti: il tesoriere della squadra Nae Lucescu, il vicepresidente della federazione Paul Nedelcovici (ex rugbista e medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 1924 come Luchide) e l’inviato di Gazeta Sporturilor Moritz “Bică” Beilis. Rădulescu, con i suoi 34 anni, è il membro più anziano della delegazione, l’unico, insieme a Nedelcovici, oltre i trent’anni.
Tra i giocatori i decani sono Wetzer e il portiere di riserva Zauber, entrambi ventinovenni. Quattro membri della squadra hanno dovuto chiedere di rinviare all’autunno l’esame del bacalaureat (la maturità) per riuscire a prendere parte alla spedizione. È una squadra giovane, spinta da quello che Ioan Chirilă definirà «una forma di coraggio, una forma di élan giovanile»: un gruppo di venti ragazzi che, tra cameratismo e goliardia, affronta con lo spirito di chi sa di essere un pioniere la scoperta del mondo.
Prima il treno…
«Due notti perse. Panchine dure. Ossa rotte». Il viaggio in treno in seconda classe fino a Genova è lungo e poco confortevole per la squadra romena, come testimonia il diario di Wetzer. La partenza avviene alle 8:05 del mattino del 16 giugno dalla Gara de Nord di Bucarest e viene descritta sulle pagine di Gazeta Sporturilor da Bică Beilis.
Il giornalista parla di una «folla insolita» e racconta dell’ansia del tesoriere Lucescu: «Insonne da cinque giorni, in continua agitazione, è stato il primo ad arrivare alla stazione e conta paternamente i selezionati, perché non possa capitare che alcuno resti nella folla al binario». Al contingente bucarestino si aggiungono, alla stazione di Timișoara, Bürger, Steiner, Kovács e Deșu, oltre a Barbu, proveniente dalla vicina Arad. Wetzer annota l’incredibile dimenticanza di quest’ultimo, che si è portato un cappello di paglia, ma ha scordato ad Arad le scarpe da gioco!
Il diversivo principe del viaggio diventa ben presto la musica: Ilie Subășeanu, che è un buon pianista, organizza un coro a cappella, con un repertorio che Wetzer descrive come «italo-romeno». Il treno arriva a Genova alle otto di sera e viene accolto dal console Tomelini, da una rappresentanza di studenti romeni e da un ex dirigente della Juventus Bucarest. «A mezzanotte arriviamo in porto e abbiamo l’occasione di vedere ancorato il Conte Verde, che ci porterà in America», riporta Beilis, il cronista.
…poi la nave: il Conte Verde
A portare tre delle quattro squadre europee a Montevideo sarà infatti il Conte Verde, un transatlantico della Lloyd Sabaudo costruito nei cantieri navali della William Beardmore & Co a Dalmuir, vicino a Glasgow, e varato otto anni prima, lungo 173 metri e capace di trasportare quasi tremila persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Il «palazzo sull’acqua» è un vascello all’avanguardia, dotato di dieci ponti, quattro piscine, dormitori disposti su due piani e un piccolo casinò. La delegazione romena è alloggiata in cabine da quattro posti sul ponte E, insieme alle altre due squadre che si imbarcheranno. Wetzer annota anche che ben dodici membri della squadra non hanno mai visto il mare in vita loro, prima di imbarcarsi in questo viaggio di due settimane.
La partenza avviene il 19 giugno e, dopo quattro ore di navigazione, il Conte Verde effettua la sua prima fermata, a Villafranche-sur-Mer, dove si imbarcano la squadra francese e soprattutto il presidente della FIFA Jules Rimet. Nella sua valigetta c’è una statuetta di 3800 grammi in argento placcato oro, che viene riposta nella cassaforte del comandante della nave. La statuetta, alta 30 centimetri e realizzata dall’orafo parigino Abel LaFleur, raffigura una vittoria alata ed è l’oggetto del desiderio dei calciatori imbarcati sul transatlantico e di quelli che attendono il suo arrivo in Sud America: è la Coppa Rimet, il trofeo che verrà assegnato al vincitore della prima Coppa del Mondo.
I giorni passano tra gli allenamenti in palestra e qualche tentativo di partitella sui ponti, senza però molta fortuna: «Abbiamo fatto anche una partita con il pallone. Raffinsky ne ha calciata una fuori bordo. Si è fatto rosso di vergogna, voleva lanciarsi – e non scherzo – per riprenderla!». Soprattutto, il viaggio è un’occasione di socialità per un gruppo di ragazzi giovani. E la squadra romena è la vera mattatrice del viaggio, in gran parte grazie al coro organizzato da Subășeanu.
Una sera i cantori romeni, mentre si stanno preparando per l’ormai abituale rappresentazione, scoprono di avere nel pubblico uno spettatore di eccezione: il famoso cantante d’opera russo Fëdor Šaljapin, accompagnato, scrive Wetzer, dalla sua figlia, «una bellissima bionda di diciott’anni». Durante l’esecuzione di un canto tradizionale romeno, Pe cărare, sub un brad, Šaljapin si unisce per una strofa e, alla fine del brano, applaude il coro. Il passaggio dell’Equatore, il 25 giugno, viene celebrato con un “battesimo” dei giocatori da parte dei marinai e con una serata di balli, di cui Wetzer racconta: «I nostri ragazzi se la cavano molto bene nel ballo, con tutto che ci avviciniamo al continente della rumba e del tango. E tra le viaggiatrici ci sono certe sudamericane… al Ballo dell’Equatore, Cupido ha fatto qualche vittima nel nostro lotto».
Lo sbarco in Uruguay
Il continente sudamericano arriva, finalmente, il 29 giugno, dopo dieci giorni di navigazione: il Conte Verde approda a Rio de Janeiro, dove si imbarca anche la nazionale brasiliana. Il caldo soffocante preoccupa Wetzer, ma mancano ancora più di 2.500 km a Montevideo, dove la nazionale romena sarà invece accolta dall’inizio dell’inverno australe, costringendo il tesoriere Lucescu ad acquistare venti pullover. È il 3 luglio, dopo due settimane di navigazione e quasi 14.000 km, quando finalmente il Conte Verde approda in Uruguay: «L’approdo del nostro transatlantico è salutato da salve di cannone. Spero che non sia solo un sogno. Mi sfrego le pupille… nel porto c’erano migliaia di uomini». Mancano dieci giorni all’inizio della prima Coppa del Mondo.
Il primo Mondiale assorbe completamente l’attenzione e la passione degli uruguagi, in una fiesta che Wetzer descrive così: «Il Carnevale di Venezia, a cui ho partecipato, è una processione decrepita e anemica a confronto con la follia di qui. Sono tutti in strada. Sono convinto che gli uffici siano vuoti e le scuole in vacanza». I giornali dedicano grande spazio agli eroi della nazionale uruguagia, nelle strade non si parla che di José Nasazzi e compagni, tutto ribolle. Wetzer racconta del ragazzo dell’ascensore dell’hotel Artigas, che gli chiede quante fratture abbia il loro portiere, e riporta le confidenze quasi intimidatorie del lustrascarpe zoppo che staziona di fronte all’albergo: «Ha capito, di sicuro, che sono il centrattacco della squadra della Romania. Altrimenti non mi racconterebbe con tale insistenza, ogni giorno, che l’uruguagio Lorenzo Fernández è un centro-mediano che non ha fatto mai passare nessuno, mai».
Il Mondiale 1930
Il sorteggio non sarà gentile con la Romania, che dovrà affrontare il Perù e soprattutto i padroni di casa dell’Uruguay, in quel momento la squadra più forte al mondo, sull’onda dei successi olimpici del 1924 e del 1928. Contro i peruviani in particolare la partita assumerà connotati epici: la Romania vincerà 3-1 nonostante due gravi infortuni la riducano in nove giocatori (all’epoca le sostituzioni non sono consentite) e segnerà un gol proprio grazie a uno dei due infortunati, che raggiunge il pallone saltando sul piede sano e lo calcia in rete con la gamba fasciata da tre ginocchiere. Contro l’Uruguay però Wetzer e compagni dovranno alzare bandiera bianca: la Celeste andrà a segno quattro volte nella prima mezzora, eliminando la Romania e mettendo fine alla sua prima avventura mondiale. E alla fine saranno proprio i padroni di casa a sollevare per primi la Coppa Rimet.
Il viaggio di ritorno
Il 30 luglio la delegazione si imbarca sulla nave Duilio della Lloyd Sabaudo per fare ritorno in Europa mentre a Montevideo esplodono le celebrazioni per la vittoria finale. Una nuova lunga traversata atlantica, ma stavolta l’umore dei romeni è malinconico e, terminata l’avventura della Coppa del Mondo, la nostalgia di casa attanaglia i cuori. Wetzer continua ad allenarsi nella palestra del transatlantico, in vista di una nuova stagione con la Juventus Bucarest.
Il coro si è sciolto: i più giovani sono chiusi in cabina, a studiare per il diploma. Come se non bastasse, Alfred Eisenbeisser si ammala. Il mediano del Dragoş Vodă Cernăuți ha conosciuto una francese a bordo e ha ballato tutta la sera con lei, senza sosta. Poi è uscito, sudato, in coperta. Sputa sangue, ha la febbre alta: ha una doppia polmonite. Si teme il peggio e viene chiamato perfino il cappellano. In dieci giorni perde 15 chili. Ha solo 19 anni: prima della partenza da Bucarest la madre l’aveva implorato di non partire, arrivando a telefonare a Luchide per pregarlo di lasciare a casa il proprio figlio. Aveva ceduto, alla fine, ma tra le lacrime aveva detto di aver paura di morire senza rivederlo.
Il 16 agosto la nave attracca a Genova. Il giorno successivo la squadra prenderà il treno in direzione Milano, per poi dirigersi a Bucarest, ma Eisenbeisser rimarrà a Genova, ricoverato al sanatorio Castelletto. Due mesi più tardi, il giornale di Cernăuți darà la notizia della sua morte in un ospedale italiano. Una notizia, però, non vera: il giocatore fa ritorno alla sua città qualche giorno più tardi, proprio mentre la madre sta allestendo il servizio funebre. Lo stesso giocatore ricorderà l’accaduto, raccontandolo a Ioan Chirilă: «Quando sono arrivato a casa, nel giardino di fronte, mia madre ha sgranato gli occhi, si è irrigidita ed è svenuta».
Alle otto di sera del 20 agosto, dopo più di due mesi di viaggio, la nazionale romena raggiunge in treno la Gara de Nord di Bucarest e viene accolta trionfalmente. «Non posso crederci. Le banchine sono piene. […] Usciamo con difficoltà. I tram hanno smesso di andare. Come a Montevideo», annota con stupore Wetzer. Poi si lascia andare a una riflessione malinconica: «Sono stanco. Ma non è una stanchezza fisica. Sono stanco al pensiero che ho trent’anni. E che tra altri due o tre, la maglietta di Montevideo prenderà un leggero odore di cassettone, come il vestito di nozze di mamma».
Giornalista sportivo con lo sguardo rivolto a est e al calcio lontano dai riflettori, video editor e presentatore per la app OneFootball. Ha ideato il podcast Lokomotiv e il documentario Petrolul Nu Moare e ha vissuto tra Como, Roma, Bucarest e Berlino. Tra le collaborazioni passate: Avvenire, Il Giorno, Radio 24, The Blizzard, When Saturday Comes, East Journal, Kosovo 2.0.