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Un campione diventato leggenda. Nella Repubblica Democratica Tedesca il mito di Werner Seelenbinder, professione lottatore, era dovunque. A lui erano dedicate scuole, impianti sportivi, luoghi. Addirittura tra il 1954 e il 1989, la sua faccia era effigiata sulle monete che venivano conferite per l’assegnazione dei titoli di Meister des Sports e Verdienter Meister des Sports, le due più importanti onorificenze sportive della Ddr. Un’importanza nel pantheon sportivo della Germania orientale, legato a quello che Seelenbinder aveva fatto fuori dal ring durante il regime nazionalsocialista.
Nato nel 1904 a Stettino, oggi Polonia, allora parte dell’Impero tedesco, a 5 anni si trasferisce a Berlino, nel quartiere Friedrichshain. La sua famiglia gestisce un negozio di prodotti coloniali, ma la Prima guerra mondiale cambia la sua vita, come quella di milioni di tedeschi. Quando la madre muore e il padre viene chiamato alle armi Werner va a vivere dalla nonna. Dopo la scuola dell’obbligo Seelenbinder fa diverse lavori, per esempio il facchino in un hotel. Spesso però il giovane è disoccupato. Non è l’unico, visto che la Germania della nascente Repubblica di Weimar vive una profonda crisi economica.
Lo sportivo e l’attivista
Quando è un ragazzino Werner comincia ad avvicinarsi allo sport. Anche per il suo fisico imponente si indirizza verso il sollevamento pesi e la lotta. Il suo primo club è nel 1917 l’Elche 1900, per poi passare al Berolina 03, società di Neukölln, il quartiere dove si è trasferito da adolescente e dove si è concentrato solo sulla lotta. A inizio anni Venti è tesserato per lo Sparta Lichtenberg. È il club dell’omonimo distretto di Berlino e fa parte del Arbeitersportbewegung, il movimento sportivo dei lavoratori, legato al Partito comunista tedesco, che nel 1919 aveva provato sulla scia di quanto successo in Unione sovietica a instaurare in Germania una Repubblica dei soviet con il tentato colpo di stato degli Spartachisti. Sì, perché Werner si è avvicinato al comunismo, leggendo i testi di Marx e Lenin. Seelenbinder però sta diventando soprattutto un grande atleta, specializzato nella lotta greco-romana, categoria mediomassimi.
Sport e militanza sono parti imprescindibili della sua vita. Infatti partecipa non alle competizioni della Federazione tedesca di lotta, ma a quella del Deutschen Arbeiter-Athleten-Bund, l’organizzazione sportiva legata al Kpd, il Partito comunista tedesco, in forte ascesa nella Germania di Weimar. Nel 1925 vince l’oro alle Olimpiadi dei lavoratori, disputati a Francoforte, con la partecipazione di atleti di undici nazioni legati allo sport “operaio”, ma soprattutto unico tedesco della spedizione nel 1928 sale sul più alto gradino del podio delle Spartachiadi, le Olimpiadi socialiste, organizzate tra Oslo e Mosca. Nella capitale dell’Urss Seelenbinder domina. La sua presa ai fianchi (nella greco-romana non si possono utilizzare prese alle gambe nel combattimento) diventa per i sovietici “la Seelenbinder”. È un momento importante perché Werner, al ritorno si iscrive al Partito comunista.
La sfida ai nazisti di Seelenbinder
Il vento però in una Germania piagata dalle conseguenze del crollo di Wall Street sta cambiando. Il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, che basa la sua ideologia sulla “riscossa” economica e militare del paese, guadagna consensi e nel 1933 vince le elezioni. Il suo capo Adolf Hitler diventa cancelliere. Per i comunisti come Seelenbinder, che ha rifiutato qualche anno prima il professionismo, è l’inizio di una persecuzione che durerà per undici anni. Il ’33 però è sportivamente decisivo per il lottatore. Dato che il nazionalsocialismo ha ordinato la Gleichschaltung, l’allineamento dello sport ai dettami della sua ideologia, Seelenbinder è entrato nella Sportvereinigung Berlin-Ost, club affiliato alla Deutschen-Amateur-Schwerathletik-Verband DASV von 1891, unica federazione di lotta legale per il nuovo regime. Con questo club nel 1933 conquista il titolo tedesco. Ne vincerà altri cinque, l’ultimo nel 1941.
Il primo però passa alla Storia per quello che succede dopo la vittoria in finale contro Karl Engelhardt. Sul podio di Dortmund, quando suona l’inno, Seelenbinder non alza il braccio teso nel saluto hitleriano. Le sua braccia sono lungo il corpo. Uno dei suoi compagni Erich Rochler dirà. “È stato l’unico che ha osato non alzare il braccio. Ha osato far vedere a loro (i nazisti) che non era dei loro”. Quel gesto Seelenbinder lo paga duramente. Tre settimane dopo viene arrestato dalla Gestapo e internato a Columbiadamm, uno dei primi campi di concentramento, situato non lontano dall’aeroporto berlinese di Tempelhof.
Le autorità sportive gli infliggono una lunga squalifica (inizialmente di sedici mesi) vietandogli di gareggiare ed allenarsi. Per il lottatore, che nel 1935 ha trovato un lavoro come trasportatore alla AEG di Treptow, la squalifica verrà ridotta, anche perché alle porte ci sono le Olimpiadi di Berlino, dove Seelenbinder è l’unico atleta tedesco che nella sua categoria che può aspirare a una medaglia. Proprio per questo il peso medio-massimo ha in mente di usare quell’evento per manifestare le sue idee. Nel caso di vittoria è deciso non solo a non fare il saluto nazista ma di salutare il pubblico con il pugno chiuso, oltre a voler tenere un breve discorso per incitare i presenti alla resistenza.
Che Seelenbinder rappresenti un possibile pericolo lo sanno anche i nazisti, tanto che nei mesi precedenti gli fanno “terra bruciata” intorno, arrestando molti dei suoi amici e compagni. L’1 agosto 1936, quando il lottatore mette piede sul ring, gli occhi sono tutti su di lui. Come la pressione. Rispetto a come si combatte ora non si utilizza la formula dell’eliminazione diretta, ma un sistema a punti, a gironi. Seelenbinder esce sconfitto dal primo combattimento, vince i due seguenti, ma perde soprattutto il quarto contro lo svedese Cadier. Questo ko lo fa rimanere ai piedi del podio.
È una delusione, ma Seelenbinder non si dà per vinto. Né fuori né dentro il ring. Anche se ha superato ormai la trentina continuerà a gareggiare. Tra i migliori in Germania prende parte a diverse competizioni internazionali, sia nei circuiti sportivi legati ai partiti comunisti e operai, sia nei tornei ufficiali, dove colleziona due bronzi agli Europei del ’37 e del ’38. Per Seelenbinder viaggiare, nonostante il controllo stretto della Gestapo, è anche un modo per prendere contatti, portare materiale di propaganda e sostenere la Resistenza. Nel 1939 la morsa intorno a lui però inizia a stringersi. Viene inviato al lavoro coatto in un’industria bellica a Tempelhof, dove comunque riesce a organizzare una cellula di resistenza insieme ai suoi compagni di lavoro, tra cui alcuni comunisti e lavoratori polacchi.
La Resistenza e la nascita del mito
Il lottatore, che vincerà il suo ultimo titolo tedesco nel 1941, stringe contatti con la rete guidata dall’ex operaio della OSRAM Robert Uhrig e di cui fa parte anche la sua compagna, l’ex altista e segretaria della Siemens Charlotte Eisenblätter. Uhrig, insieme ad Alfred Kowalke hanno costruito un’organizzazione che fa propaganda, resistenza e sabotaggio, in molte aziende berlinesi con circa duecento aderenti.
Il 4 febbraio 1942 la Gestapo smantella il gruppo di Uhrig. Seelenbinder viene arrestato in casa sua. Per lui, tra botte, torture e privazioni comincia un calvario che lo porterà in diversi campi di concentramento e carceri. L’ultimo, quello di Brandenburg-Görden. Lì riceve la sentenza del Tribunale del Popolo diretta da Roland Freisler. È una condanna a morte, per cui viene rifiutata più volte la grazia. Il 24 ottobre 1944, due mesi dopo la sua compagna Charlotte Eisenblätter viene portato davanti al boia. Pesa 60 chili e insieme a lui sono giustiziati Erich Lodemann, Otto Schmirgal, Walter Siemund e Hans Zoschke, quest’ultimo giocatore di calcio dello Sparta Lichtenberg, proprio ai tempi di Seelenbinder.
Prima di morire il lottatore è riuscito a far uscire dal carcere la sua lettera testamento, poi modificata dalla propaganda della DDR. Si chiude con queste parole
Questa consapevolezza [quella di aver trovato nel vostro cuore e in quello degli sportivi un ricordo] mi rende forte e orgoglioso per non farmi vedere debole in questi momenti.
Con la fine della guerra, l’occupazione sovietica e la nascita della Ddr, Werner Seelenbinder diventerà un mito. Il 29 luglio 1945 lo Sportpark Neukölln diventerà “Werner-Seelenbinder-Kampfbahn”, ma solo tre anni dopo, visto che l’impianto si trova a Berlino ovest ed è appena iniziata la Guerra fredda, ridiventerà Stadion Neukölln. Nella Germania Est invece lui, al di là del contributo storico alla Resistenza recentemente ridimensionato, almeno in parte, sarà uno dei membri del Pantheon sportivo.
Tra i tanti omaggi, la torre che sta all’interno del complesso del Zentralstadion di Lipsia e soprattutto la Werner-Seelenbinder-Schule a Berlin-Hohenschönhausen, una delle scuole sportive dell’élite della Germania est, dove è cresciuta Franziska van Almsick, una delle nuotatrici regine degli anni Novanta. Van Almsick è dal 2019 nella Hall of Fame dello sport tedesco. Lì dove dal 2008 c’era già Werner Seelenbinder, il lottatore che non si è piegato a Hitler.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.