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Nel 2016 la Romania ha ratificato la Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere. A distanza di sei anni, il panel indipendente del Consiglio d’Europa ha valutato positivamente i cambiamenti a livello legale e sociale, ma il fenomeno della violenza di genere in Romania rimane diffuso e sono pochi gli strumenti di difesa per le vittime.
La violenza domestica
Fenomeno completamente ignorato fino alla caduta del regime di Ceaușescu, la violenza domestica ha avuto grande attenzione pubblica negli ultimi anni. Gli abusi psicologici e fisici provenienti dal partner, infatti, presentano una particolare intensità e si caratterizzano per l’enorme difficoltà della vittima a riconoscere la spirale di violenza – e uscirne. Questa dimensione accomuna la violenza domestica indipendentemente dal ceto sociale, economico e culturale della vittima, anche se può assumere un’ampia varietà di forme.
Uno dei casi più eclatanti emersi proprio negli ultimi anni ha riguardato la nota cantante pop Alexandra Stan, che ha rivelato nel 2013 di essere stata picchiata dal proprio compagno e manager Marcel Prodan. Tra le accuse che la performer ha rivolto all’ex fidanzato vi è di aver approfittato della situazione per sottrarle con l’inganno 40mila euro di compensi dovuti alla cantante per concerti e tour.
Il “caso Stan” ha contribuito a dare visibilità alla violenza domestica, sganciandola dal pregiudizio che la lega solo a contesti di povertà o arretratezza culturale: la battaglia legale tra la cantante e il suo ex compagno è stata coperta da giornali e televisioni ed è stata una vicenda importante per far uscire la violenza di genere dallo stato di invisibilizzazione in cui era confinata e portare l’argomento all’interno del dibattito politico.
Nel 2012 il Parlamento ha adottato una legge che consente per la prima volta ai giudici di utilizzare ordini restrittivi contro gli autori di maltrattamenti in ambito familiare, in attesa del giudizio, per intimare l’immediato allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi alla vittima. La normativa è stata accolta con grande favore ma si è rivelata in parte inadeguata, sia per l’ancora basso numero di case rifugio che per le difficoltà pratiche di attuare gli ordini restrittivi.
Solo nell’agosto 2022, infatti, è stato lanciato il progetto sperimentale per introdurre i braccialetti elettronici in grado di tracciare la localizzazione dei soggetti coinvolti e segnalare immediatamente alla polizia eventuali violazioni dell’ordine restrittivo. Nel 2013 meno del 23% delle richieste di ordine restrittivo finiva in un procedimento penale e, senza lo strumento che garantisce il tracciamento costante dell’autore di violenza, molte vittime di maltrattamenti si trovavano senza strumenti di difesa, tanto che nel 2017 la Romania è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non aver sufficientemente protetto una donna vittima di maltrattamenti.
L’attuazione della Convenzione di Istanbul
Introducendo a livello internazionale reati come stalking, maltrattamenti, mutilazioni genitali femminili, matrimonio forzato e aborto imposto, la Convenzione di Istanbul garantisce un livello minimo di tutela penale contro la violenza di genere comune a tutti gli Stati aderenti.
Il principale obiettivo culturale della Convenzione è il superamento degli stereotipi legati al genere, inteso non come una caratteristica “assoluta” e “intrinseca” dell’essere umano ma come costrutto socio-culturale destinato a cambiare a seconda dell’epoca e dell’area geografica. In un contesto patriarcale, la riduzione di un essere umano al ruolo sociale del genere di appartenenza implica la diffusa giustificazione sociale del ricorso alla violenza di genere, vista come strumento necessario per “punire” gli individui devianti.
La Romania, dopo la ratifica nel 2016, ha adottato una serie di modifiche sulla scia della Convenzione. Il panel indipendente GREVIO, formato da esperti incaricato dal Consiglio d’Europa di valutare l’attuazione della Convenzione nel singolo stato, ha valutato positivamente le misure adottate dalla Romania per contrastare la violenza domestica, come l’avvio di indagini statistiche per studiare e analizzare la diffusione del fenomeno a livello nazionale, l’introduzione degli ordini restrittivi e l’adozione specifiche linee guida per contrare il cyberbullismo.
La longevità della cultura dello stupro
Alimentato da un retroterra culturale carico di colpevolizzazione e omertà, non stupisce che sia proprio lo stupro il volto della violenza di genere su cui il panel GREVIO ha riscontrato la maggiore necessità di interventi.
Con la legge 197/2000 la Romania ha eliminato l’articolo del Codice penale che consentiva all’autore di violenza sessuale di evitare la condanna in caso di matrimonio con la persona offesa ed è stata riconosciuta la possibilità che anche il marito o il fidanzato possa rendersi responsabile del reato di stupro, in caso di rapporti sessuali non consenzienti. Con questo passaggio, la violenza sessuale è stata per la prima volta riconosciuta come uno dei tanti aspetti – assieme agli abusi psicologici, ricatti di natura economica, percosse e insulti – con cui si può manifestare la violenza domestica intesa come violenza da parte del proprio partner.
L’intervento è molto significativo soprattutto sul piano culturale, dato che presuppone un’idea di consenso come adesione piena e totale che deve essere presente in ogni momento e per ciascun singolo atto sessuale, escludendo che l’esistenza di una relazione comporti un’accettazione aprioristica ed incondizionata a rapporti sessuali.
Nonostante la Romania abbia fatto un passo significativo verso la nozione di consenso della Convenzione, però, la definizione di violenza sessuale del Codice penale ancora risente della cultura dello stupro, l’insieme di opinioni e atteggiamenti che in qualche misura normalizzano o giustificano l’uso della violenza.
Lo stupro, infatti, viene definito non come rapporto sessuale privo di consenso ma come atto sessuale commesso mediante violenza o l’utilizzo di strumenti per neutralizzare la resistenza della vittima, con la conseguenza che occorrerà dimostrare in giudizio che vi sia stata effettivamente coercizione fisica o minaccia. La violenza sessuale, perché sia tale, deve superare la soglia minima di accettabilità, la “forza gradita alle donne” necessaria a vincere il presunto naturale pudore femminile e che confina la donna in un ruolo esclusivamente passivo anche (ma non solo) nella sfera sessuale.
Come riscontrato dal report di GREVIO, un numero molto elevato di accuse di violenza viene archiviato perché la vittima non è stata in grado di dimostrare la coercizione, anche in casi che coinvolgevano minori di 15 anni vittime di abusi da parte di adulti, con la conseguenza di aumentare a livello sociale la paura da parte delle vittime di non essere credute o di venire ulteriormente stigmatizzate. La strada per il riconoscimento dell’autodeterminazione delle donne romene, sia in ambito sessuale che in ogni aspetto della propria vita, è ancora lunga, ma qualcuna è già in marcia.
Laureata in giurisprudenza, nel 2016 ha trascorso un semestre all'Università di Cracovia. Si interessa in particolare di diritti delle minoranze, stato di diritto, cultura ebraica, femminismi e movimenti lgbt+ nell'Europa centro-orientale. Di questi e altri temi ha scritto per East Journal e Diritto Consenso.