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L’8 agosto 1991 la nave Vlora, proveniente da Durazzo, attracca al porto di Bari con oltre 20 mila albanesi. In realtà già qualche mese prima, a febbraio, erano stati circa 27 mila le persone arrivate a Brindisi dall’Albania in pochi giorni. Con le immagini della Vlora mandate in diretta televisiva, l’Italia si trova di colpo di fronte a una storia che aveva sempre vissuto al contrario. Per tanto tempo il nostro paese aveva infatti registrato un significativo processo di “doppia” emigrazione: interna, con l’esodo di milioni di meridionali verso il nord produttivo ed esterna, verso altri paesi europei.
L’arrivo di una nave stracolma di gente, le difficoltà organizzative, la trasformazione dello stadio del capoluogo pugliese in un campo profughi, hanno rappresentato un vero e proprio shock per chi non aveva mai davvero fatto i conti con l’immigrazione e l’arrivo di migliaia di persone da un altro paese. Ed è proprio sull’onda emotiva creata dalle tragiche immagini degli arrivi dall’Albania che partiti razzisti come la Lega Nord costruirono parte della loro fortuna. Sempre più spesso si cominciò a parlare di invasione, a identificare un gruppo etnico cucendogli addosso presunte generali tendenze al crimine e all’ozio.
Su quella nave, in quella caldissima giornata di agosto, si trovava anche Jora. La protagonista quattordicenne della graphic novel di Croma Jepi Jora edito da Il Galeone Edizioni.
Jora è una giovane ragazza albanese, amante delle biciclette, che da un momento all’altro si trova costretta a preparare uno zaino e partire verso l’Italia, lasciando dietro di sé i genitori, le amicizie e le proprie radici. I primi anni Novanta non erano tempi facili per l’Albania. La fine del lungo regime di Enver Hoxha e del suo successore Ramiz Alia aveva provocato un terremoto politico, economico e sociale. Scontri interni, povertà e assenza di prospettive spinsero migliaia di cittadini albanesi a tentar fortuna nel nostro paese. Molti di loro parlavano già italiano, imparato ascoltando le nostre radio o guardando la tv.
Eppure, nonostante la solidarietà e l’accoglienza, per una giovane adolescente come Jora sentirsi accolta tra “gli italiani” non è per nulla semplice. Ai soliti pregiudizi dei vicini, alle angherie dei compagni di scuola, alle discriminazioni quotidiane si aggiungono le preoccupazioni economiche e le difficoltà nel trovare un’occupazione. Così come quella di trovare se stessi e sapersi collocare in un luogo.
Jora cresce a Roma, impara a muoversi tra i vicoli della capitale e con il tempo riesce a sentirsi un po’ più a casa. Soprattutto grazie a una serie di eventi, fondamentali per la sua crescita. Dopo aver trovato lavoro come colf nelle case delle famiglie italiane, Jora scopre anche l’amore. Inizia così una relazione che diventa subito molto chiacchierata, anche tra la comunità albanese. Il motivo è semplice: Jora è innamorata di un’altra donna. Uno scandalo per due società ancora molto patriarcali e maschiliste come quella albanese e italiana di trent’anni fa. Sarà proprio questo amore ad allontanarla, di nuovo, dalla sua terra, ripudiata dalla famiglia e senza più motivo per tornare.
Un altro evento però cambia la sua vita: la scoperta di una ciclofficina risveglia in lei l’amore per la bicicletta. Pezzo dopo pezzo Jora se ne costruisce una tutta sua. Una volta conclusa, decide di partire per un viaggio, destinazione: Kukës. Casa, vent’anni dopo. La tenacia di Jora le permette di affrontare anche le salite più difficili e gli imprevisti che, inevitabilmente, si presentano lungo il tragitto. E quando si trova sul lungomare di Bari, ricorda che l’aveva visto per la prima volta dall’altro lato, dal mare. Il viaggio si trasforma così in un’occasione per riscoprirsi, per riflettere sulle proprie origini, sulle aspettative una volta tornata a casa, per immaginare l’incontro con il padre.
Una volta arrivata nel paese delle aquile, sembra quasi che non abbia mai lasciato quei posti. Jora riscopre gli stessi odori di allora, rivede le stesse montagne e riconosce i luoghi in cui ha vissuto la prima parte della sua vita. Trova tutto uguale. O quasi.
Kukës, il punto di partenza di questa storia, è una piccola città nel nord dell’Albania vicino al confine con il Kosovo. La città è stata nominata al Premio Nobel per la Pace nel 2000 per aver accolto 450 mila profughi durante la guerra del Kosovo del 1998-99 e per aver favorito il ritorno dei rifugiati alla fine del conflitto. Come il resto del paese, anche Kukës in questi trent’anni ha vissuto, e sta vivendo, un progressivo spopolamento. Basti pensare che la provincia conta oggi la metà dei circa 150 mila abitanti registrati nel 1989. Anche se l’Albania ha fatto importanti passi avanti, in molti continuano a emigrare e a lasciare il paese. Alcuni tornano, altri tagliano tutti i ponti col passato. Altri ancora, come Jora, si mettono in viaggio per ricordarsi da dove vengono.
Jepi Jora è un lavoro di Claudia Romagnoli, in arte Croma, street artist che, come la sua protagonista, ama la bicicletta, fedele compagna di tanti viaggi. E l’Albania, anche grazie al contatto con le comunità arbëreshë presenti in Molise dove vive e lavora.
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.