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Così i giocatori e i tifosi dell’Hertha Berlino cantavano nell’estate 1931, mentre stavano festeggiando il secondo (e ultimo) titolo tedesco della loro storia. La persona di cui parla la canzone è Hermann Horwitz, il medico sociale della Alte Dame, la “Vecchia Signora”, come è soprannominato il club nato nel 1892. Pochi si sarebbero immaginati che il dottore, di religione ebraica, sarebbe morto ad Auschwitz.
Per quasi sessant’anni, di lui nessuno o quasi avrebbe più parlato. Nel 2009, in un periodo dove i club tedeschi scavavano per la prima volta nel loro passato nazionalsocialista, un libro dello storico Daniel Koerfer Hertha unter dem Hakenkreuz (Hertha sotto la svastica) aveva riportato alla luce la storia di Horwitz. O meglio l’autore aveva menzionato i soli dati conosciuti a quell’epoca: la data di nascita, il periodo in cui approssimativamente era stato all’Hertha Berlino, il suo indirizzo e la notizia della deportazione. Quattro anni dopo, nel 2013, nei pressi di Prager Straße 24, il suo ultimo domicilio, nel distretto di Charlottenburg-Wilmersdorf viene posata una pietra d’inciampo.
Si accende la miccia della storia di Hermann Horwitz
Il lavoro di Koerfer e la commemorazione delle autorità sono una “miccia”, perché alcuni tifosi della Alte Dame, che autonomamente avevano già organizzato un “viaggio della memoria” ad Auschwitz, vogliono saperne di più su Horwitz. Nell’ambito del progetto “Aus der eigenen Geschichte lernen” (imparare dalla propria storia) avviato dall’Hertha Berlino per ricercare il proprio passato durante il regime nazista nasce “Auf den Spuren”, sulle tracce. Un gruppo di una decina di tifosi del club, guidati da due storici, l’archivista del Hertha Juliane Röleke e Söhnke Vosgerau, e sostenuti dalla società con i Fanbetreuer (responsabili dei fan) Stefano Bazzano e Ralf Busch, si mettono a spulciare archivi, ad ascoltare testimonianze a leggere qualunque tipo di contributo alla ricerca di Hermann Horowitz.
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È un mettere insieme pezzi, a volte con difficoltà. Un esempio? Per più di un anno cercano una foto del medico, che Juliane Röleke trova in un’edizione di Fußball-Woche, una delle testate di riferimento del calcio berlinese, datata 1931 in cui si vede il dottore, in completo elegante, portare fuori dal campo l’infortunio Willy Kirsei nella finale di campionato. Il risultato della ricerca è un libro, intitolato Dr. Hermann Horwitz- Eine Spurensuche (Hermann Horwitz: una ricerca di tracce), tutt’ora in vendita sul sito del club. In quelle sessanta pagine c’è la storia del primo medico sociale dell’Hertha Berlino. O meglio quanto si è potuto ricostruire di lui.
Chi è stato Hermann Horwitz?
Nato nel 1885 a Berlino, diplomato al prestigioso Sophien-Gymnasium-Realgymnasium, mentre studia all’università Horwitz, dove ha praticato atletica leggera nel Berliner-Sport Club, viene arruolato per partecipare alla Prima guerra mondiale e decorato con la Croce di Ferro. Laureato nel 1920 con un tesi sulla tubercolosi polmonare, nel 1923, con la fusione tra il Berliner-Sport Club e l’Hertha 92, Hermann diventa membro dell’Hertha BSC, di cui intorno al 1924 assume l’incarico di medico sociale.
È una figura nuova ed è un innovatore. Nel 1926 insieme a un suo collega scrive il volume Der Sportmassage, tiene conferenze, appare sulle pagine di Fußball-Woche. È un esperto soprattutto dell’alimentazione applicata allo sport, redige delle diete personalizzate per i giocatori, dà consigli di nutrizione. Il suo lavoro lo spiega in un articolo di Fußball-Woche del 1930, apparso dopo il primo titolo dell’Hertha.
Un bravo professionista, una personalità rispettata e amata da allenatori e giocatori. Nel 1933 però la storia di Horwitz si incrocia con la Storia con la S maiuscola. Con l’avvento di Adolf Hitler al potere lui e gli altri membri ebrei dell’Hertha vengono emarginati. È la Gleichstaltung, l’allineamento di tutte le componenti della società all’ideologia nazionalsocialista. Nel 1935 con l’entrata in vigore delle leggi di Norimberga Hermann, di cui non si sa se è sposato o ha figli e neppure del suo rapporto con la fede ebraica, non può più esercitare, se non con pazienti ebrei. Il 26 settembre 1938 è espulso dall’Hertha Berlino. Sul suo tesserino da socio una dicitura Nicht Arianer, “Non ariano”.
Non è più un dottore, ma burocraticamente un Krankenhandler, ovvero una persona che si occupa degli ammalati. Gli anni seguenti sono avvolti nella nebbia. Le ultime tracce ufficiali risalgono agli inizi del 1943. In un documento della Gestapo del 1° febbraio è dichiarato “nemico del Reich” e perciò i suoi beni sono confiscabili. Per questo il 4 aprile 1943 compila la dichiarazione dei redditi, ritrovata dai ricercatori dell’archivio regionale del Brandeburgo. Da quel documento, in cui si fa l’inventario dei beni in suo possesso, si deduce che, vista la presenza di apparecchiature mediche, Horwitz abbia continuato a curare i pazienti nella sua casa di Prager Straße 24.
La storia di Horwitz ad Auschwitz
Nell’aprile 1943 il dottore, 60 anni, viene prima rinchiuso nel campo di raccolta di Große Hamburger Straße, nel quartiere di Mitte, un ex ospizio ebraico, e poi condotto il 19 aprile allo scalo merci della stazione berlinese di Moabit. Da lì, insieme ad altri 687 ebrei di Berlino è deportato ad Auschwitz. Il viaggio dura un giorno e, contrariamente a quanto affermato da Daniel Koerfer, Horwitz non è mandato alle camere a gas subito.
Ricercando negli archivi si scopre che il medico è stato registrato con il numero 116 761, ha passato un periodo a Buna-Monowitz, lo stesso lager in cui sarebbe stato rinchiuso anche Primo Levi, e poi è stato internato nel campo principale, nel blocco 9, quello riservato ai “prigionieri-medici”. Un ruolo, quello di Horwitz nel lager, che venne svelato anche qui grazie al lavoro della squadra dei tifosi guidati da Juliane Röleke.
La storica, leggendo un articolo di Lars Reichardt sul magazine della Süddeutsche Zeitung che parlava di suo nonno adottivo, scopre attraverso una lettera che Hermann ad Auschwitz non solo era sopravvissuto alla selezione iniziale, ma che nel campo di sterminio aveva aiutato a salvare altri internati, di sicuro uno: Erwin Valentin, il nonno adottivo di Lars Reichardt.
Non si salverà invece Horwitz, anche se della sua data di morte non si sa nulla. Come per decenni si è saputo pochissimo della famiglia di Horwitz. Due sue sorelle sono morte come lui in un lager, mentre una, Irmgard Ida era scappata in tempo a Buenos Aires, della più anziana invece nessuno conosce il destino. Suo fratello invece si è salvato, morendo a Berlino nel 1958. Una serie di informazioni e di pezzi di un puzzle messi insieme grazie alla passione dei tifosi e alla preparazione di storici che hanno scavato in un capitolo oscuro della storia tedesca, calcistica e non solo.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.