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A Leopoli, la mia città natale, ci sono strade chiamate via dei bulgari, dei greci, degli armeni, degli antichi ebrei… Sono i frammenti che formano l’intero tessuto della città. Anche la casa dove sono cresciuta era piena di armeni, di ebrei, di russi, di polacchi e di noi ucraini. (...) Durante i due anni di progetto abbiamo realizzato storie sugli ultimi armeni nel villaggio di Kuty, sui tedeschi e i valacchi in Transcarpazia, sugli ebrei a Brody, i turchi mescheti e i rom nell’Ucraina orientale, sui gagauzi, i liptak, gli svedesi. Tutto questo è una lunga storia sulla nostra diversità. Queste storie parlano della gente, di me, di noi. Siamo vicini di casa, dobbiamo comprenderci a vicenda, trovare una lingua comune. (Olesja Jaremčuk)
Apparso per la prima volta in lingua ucraina nel 2018, Mosaico Ucraina della giornalista Olesja Jaremčuk è stato tradotto in inglese e in tedesco per poi raggiungere il pubblico italiano grazie al lavoro della slavista e traduttrice Claudia Bettiol e di Bottega Errante Edizioni. Dal 2015 Jaremčuk si occupa di identità culturali e nazionali e di frontiere, ed è stata caporedattrice della casa editrice Čoven di Leopoli, specializzata in reportage e letteratura documentaria. Per realizzare i reportage contenuti nel volume ha percorso oltre 11mila chilometri in lungo e in largo per il suo paese natale, l’Ucraina.
Nello sterminato e chiassoso marasma di pubblicazioni lampo di varia (e spesso dubbia) qualità immesse nel mercato italiano a seguito del tragico scoppio della guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022, Mosaico Ucraina è tra le poche che si distingue subito per il suo valore in primo luogo umano e, di conseguenza, letterario. Il libro è infatti valso all’autrice il Premio di reportage letterario Samovidec’ e il LitAccent of the Year, oltre alla candidatura tra i finalisti dell’ADAMI Media Prize for Cultural Diversity in Eastern Europe e dell’UNESCO City Literature Award.
Il volume raccoglie una serie di quattordici reportage riguardanti una larga fetta delle minoranze che abitano il paese, un progetto iniziato tra il 2015 e il 2016 in collaborazione con la testata online The Ukranians. Prerogativa della raccolta di Jaremčuk è la capacità di tracciare in modo accessibile e scorrevole un quadro, seppur non esaustivo, del composito mosaico internazionale che da decenni, generazioni e secoli, abita l’Ucraina. Un mosaico che nel 2018, momento della pubblicazione, è ancora parzialmente intatto: i tatari di Crimea raccontano le conseguenze dell’annessione russa della penisola nel 2014, i rom e i turchi mescheti che vivono nella regione del Donec’k sono involontari testimoni del conflitto che fino al 2022 era circoscritto alle due regioni ucraine più orientali.
«Il mio sogno dal 2013 è avere cinque rappresentanti rom al parlamento ucraino» condivide Ol’ha. «Quando mi chiedono perché proprio i rom, rispondo sempre che sono quattro volte più intelligenti degli altri popoli. Lo affermano gli scienziati, o forse è quello che vorrei dicessero…» ride. «In cinque anni ne abbiamo passate di tutti i colori, sia cose belle che meno belle. Lesja, non puoi scrivere tutto, ma scrivi che noi viviamo in prima linea: non per la guerra, ma per una vita dignitosa nella nostra terra natale ucraina, dopo la vittoria».
Quasi tutti i popoli intervistati sono stati vittime di vicissitudini spesso brutali, intrappolati nelle pieghe più violente della Storia del secolo scorso e non solo, sballottati da un paese all’altro, da un ordine politico all’altro, da una lingua all’altra. C’è la minoranza ungherese, il cui paesino nel 1946 “venne spezzato a metà, come una pagnotta” tra Unione Sovietica e Repubblica Socialista Cecoslovacca; le deportazioni naziste dei polacchi di Dovbyš che s’intrecciano con quelle degli ebrei di Brody, di cui l’ultima testimone Sofija Solomonivna ha ormai perso la memoria; ci sono le vicende di integrazione e speranza del folto quartiere rom di Torec’k, dei valacchi del villaggio di Obava e dei romeni del distretto di Herca. E poi tedeschi, svedesi, gagauzi, armeni…
Bottega Errante ha prontamente corredato il libro di una mappa dove riecheggiano nomi di località ormai note anche al pubblico occidentale, a cui però è senz’altro meno nota la presenza di tanta pluralità. Non manca inoltre un inserto fotografico a colori particolarmente suggestivo ad accompagnare la lettura. La scrittura di Olesja Jaremčuk va oltre lo “stile asciutto giornalistico”, come lo definisce lei stessa, senza mai intralciare né sovrapporsi alla voce dei protagonisti, i quali non vengono mai giudicati né tantomeno compatiti. I racconti arrivano perciò del tutto intatti, di prima mano, come se anche lo stesso lettore fosse stato presente al momento dell’intervista.
«Quasi nessuno parla ucraino, ma nemmeno russo. A meno che non ci siano un bulgaro e un gagauzo, allora tra di loro parlano in russo». Marija non è mai stata nella Gagauzia moldava. Non ha nemmeno mai avuto l’occasione di scoprire l’Ucraina. Eppure, quasi ogni giorno entra in contatto con le culture bulgara, moldava, albanese, greca, rumena e ucraina. L’eterogenea zona di Budžak è diventata la casa di molti popoli. Ma solo per i gagauzi è l’unica casa.
Come racconta l’autrice in una videointervista realizzata insieme alla traduttrice Claudia Bettiol in occasione dell’edizione 2022 del Festival del Coraggio a Cervignano del Friuli, ci sono diversi altri reportage che non sono stati inclusi in Mosaico Ucraina, ma che potrebbero vedere la luce in una futura pubblicazione. Il progetto infatti non si è ancora esaurito, e Jaremčuk cerca di mantenere i contatti con le persone intervistate, che da febbraio 2022 si trovano di nuovo costrette a fronteggiare altre crudeli e drammatiche avversità, stavolta per colpa dell’invasione russa.
Il filo rosso che lega le voci del libro, oltre alla migrazione e alla condivisione della stessa madrepatria (adottiva o meno), è anche e soprattutto il senso di adattamento che caratterizza tutte le minoranze interpellate. La potenza e l’importanza di Mosaico Ucraina viaggia perciò su due binari paralleli: da un lato dimostra ancora una volta quanto la Storia paia inesorabilmente destinata a ripetersi, mentre dall’altro documenta l’instancabile tenacia e speranza delle tante persone comuni che lo popolano e riconoscono nell’Ucraina la loro terra, nonostante tutto. Il titolo originale scelto da Jaremčuk non a caso è letteralmente “I nostri altri” (Нашi iншi).
P.S. «Pronto, Lesja?». «Sì, Jasim, che piacere». «Auguri di buon anno!». «Grazie, altrettanto. Ma, mi stai chiamando dall’Ucraina? Perché ho letto sulla stampa europea che tutti i turchi mescheti sono stati mandati in Turchia». «Ma no, Olesja, chi vuole andarci? Forse alcuni sono stati portati via, ma noi siamo qui. Qui».
Mosaico Ucraina. Viaggio dentro le molteplici identità di un popolo, Olesja Jaremčuk, traduzione di Claudia Bettiol, Bottega Errante Edizioni, 2022.
Traduttrice, interprete e scout letterario. S'interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove ha conseguito la laurea in traduzione presso l'Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Nel 2023 è stata finalista del premio Peroto per la migliore traduzione dal bulgaro in lingua straniera e nel 2024 vincitrice del premio Polski Kot. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours.