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Iosif Brodskij: poesia, saggistica e memoria del passato

Il 28 gennaio 1996 moriva un “uomo ebreo, poeta russo, saggista inglese e cittadino americano”. Con queste parole era solito descriversi Iosif Brodskij, noto anche con il nome di Joseph Brodsky.

Premio Nobel per la letteratura nel 1987, nasce il 24 maggio 1940 a Leningrado, quando il nome di questa città rispecchiava il potere sovietico che la governava. Sebbene per Iosif fosse la città più bella della Terra, si rifiutava di chiamarla Leningrado e preferiva riferirsi a lei, come tutti gli altri suoi abitanti, con il nome di Piter, utilizzato già in epoca zarista. Tuttavia, la sua Piter, dominata negli anni della sua infanzia e adolescenza dalla dittatura di Stalin, era a quel tempo “il luogo più ingiusto del mondo”, come dice nella sua opera più nota Fuga da Bisanzio (1986).

Infanzia e ricordi

La famiglia di Brodskij è di origini ebraiche e di ascendenza rabbinica. Passa i primi anni di infanzia con la madre, che di professione era impiegata. Il padre, invece, era fotografo di guerra e capitano della marina militare e in quegli anni di guerra si trovava sempre in mare per importanti spedizioni che lo portarono fino in Cina. Il 22 giugno 1942 l’esercito tedesco invade Leningrado con l’Operazione Barbarossa, segnando così l’inizio del conflitto fra Germania e Unione Sovietica. L’assedio di Leningrado durò quasi tre anni e nei primi mesi la città è completamente isolata. Durante l’inverno circa 600mila abitanti di Leningrado morirono di fame. Iosif e sua madre vennero evacuati a Čerepovec, nell’oblast’ del Vologda, e torneranno a Leningrado nel 1944 in una nuova casa sul Litejnyj prospekt.

Il giovane poeta ha dei ricordi vividi dell’assedio. Scrive: “Mia madre che mi trascina per le strade morte e piene di neve, le luci della contraerea che tracciano disegni che sembrano numeri romani, il rumore lontano dei cannoni. Ricordo i bombardamenti aerei sbirciati dalla cantina, i prigionieri tedeschi che sfilano per le strade scortati dai soldati russi, il colore delle uniformi, queste cose ricordo. Ricordo i fuochi d’artificio per la riconquista di questa o quella città, e poi ovviamente i fuochi d’artificio del 9 maggio 1945, il giorno della Vittoria e la folla straripante”.

Dei suoi ricordi parla anche Aleksandra Guseva nell’articolo The memoirs Brodsky didn’t want you to read datato 2017 scritto per Russia Beyond.

Architettura sovietica

Di Leningrado lo colpiscono soprattutto le architetture neoclassiche. Dal 1947 la famiglia Brodskij vive, come tanti altri russi, in una kommunalka: 40 metri quadri di spazio, con bagno e cucina in comune con altre famiglie. Gli appartamenti, però, sono di solito situati in alloggi immensi e lussuosi, in quei palazzi nobiliari che sono stati confiscati e ridistribuiti. I Brodskij vivono in uno dei palazzi più lussuosi di Pietroburgo, tanto lussuosi che Iosif disse: “Ricordo una volta che Anna Achmatova mi disse che i suoi genitori la portavano in carrozza a vedere quella meraviglia, i soffitti alti 4 metri, i balconi immobili e monumentali e le decorazioni a stucco”.

Iosif Brodskij fotografato dal padre a Leningrado negli anni ‘50

Le kommunalki erano parte della vita dei russi da tre generazioni e avevano fortemente influenzato il loro modo di vivere e il loro immaginario. Nonostante le difficoltà e le ristrettezze sia fisiche che economiche, quando parla della sua infanzia, il poeta la ricorda in modo affettuoso. Sono altri gli elementi che ricorda con disgusto, anzi, con rabbia, come il regime sovietico e la scuola, che promuoveva una propaganda piena di bugie, ma non solo: soffriva soprattutto dell’antisemitismo di quegli anni.

L’antisemitismo

Figlio di ebrei russi laici, Iosif non ha ricevuto un’educazione religiosa, eppure fin da ragazzino si accorge di un cambiamento che si verifica a partire dalla Seconda guerra mondiale. Prima di allora infatti molti uomini di religione ebraica non solo avevano appoggiato la Rivoluzione d’Ottobre, ma erano anche stati capi bolscevichi, picchiatori e torturatori della Lubjanka e dirigenti di lager. Dopo la Seconda guerra mondiale il regime staliniano prende una piega antisemita e l’odio nei confronti degli ebrei viene quasi incoraggiato. L’antisemitismo è tanto forte da portare gli ebrei russi a temere di essere deportati in Asia centrale prima o poi. Gli stessi Brodskij vendettero il loro pianoforte: “Se ci deportano, non possiamo portarcelo dietro e tanto non ho mai imparato a suonarlo”.

Nel 1959 il padre viene congedato dalla marina militare, perché gli ebrei non vengono più promossi. Fatica a trovare un nuovo lavoro e per anni vivono con lo stipendio della madre; sono anni di grande povertà. Grazie a un ex collega ebreo ma con un cognome molto russo, il padre viene assunto come giornalista e fotoreporter per un giornale della marina mercantile. La famiglia torna a vivere. La madre non ha mai avuto problemi: era ebrea, ma bionda baltica con gli occhi azzurri. Al contrario, suo padre aveva un naso a becco tipicamente ebreo. Iosif aveva ereditato il naso di sua madre. Lei sapeva il francese, perché aveva ricevuto una buona educazione, e il tedesco, dal momento che era originaria dei paesi baltici. Grazie alla sua conoscenza, a fine guerra lavora come interprete in un campo di prigionieri di guerra tedeschi e si guadagna il grado di sottotenente del Ministero degli interni; le offrono addirittura di intraprendere una carriera nella polizia politica. Ciò però avrebbe comportato l’iscrizione al partito e per questo motivo torna a fare l’impiegata.

All’antisemitismo che dilagava in Russia è collegato un ricordo d’infanzia di Iosif, un ricordo riguardo la sua prima bugia. Ricorda di essersi recato in una biblioteca e di aver provato a compilare il modulo di iscrizione. Una delle voci da compilare recitava: nazionalità. Lui sapeva perfettamente di essere ebreo, ma alla signora al bancone disse di non ricordarsela. Lei allora rispose di tornare a casa e chiederlo ai suoi genitori. Iosif non tornò più in quella biblioteca.

Che lui fosse un ebreo famoso, gli venne detto durante diverse interviste. Dotato di grande spirito di contraddizione, rispondeva sempre che non gli importava granché e che in realtà veniva considerato dalla comunità ebraica un cattivo ebreo, dal momento che citava troppo spesso il Nuovo Testamento.

La cultura, la “cosa più importante del mondo”

Iosif, la scuola, la odiava. A quindici anni lascia gli studi e comincia a svolgere le professioni più disparate: fa il fresatore in una fabbrica, dove conosce il proletariato vero delle famiglie che vivevano in stanze sovraffollate e operai che bevevano come spugne e picchiavano le mogli. Dopo un anno prova a studiare medicina e trova lavoro nell’obitorio di un ospedale. Ma fare autopsie a Brodskij non piaceva, così fece prima il fuochista su una nave e poi divenne guardiano di un faro. A diciott’anni partecipò a delle spedizioni geologiche e scoprì che non gli dispiaceva. Viaggia dal Circolo Polare Artico fino ai deserti dell’Asia centrale e questo gli diede modo di stare lontano da casa e di viaggiare, visitando terre lontanissime a spese del governo. Quando lo arrestano per la prima volta, lo minacciano di spedirlo in terre lontane, ma lui non era per niente spaventato: quelle terre le aveva già visitate. Fra un lavoro e l’altro, Brodskij legge, scopre l’amore per la poesia e impara da solo l’inglese e il polacco per leggere i poeti. Decide in quel momento che i libri e la poesia sono la cosa più importante del mondo e viene a conoscenza di altri ragazzi che come lui hanno lo stesso rifiuto del mondo e la stessa passione per la cultura.

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Cimitero ebreo: l’esordio

Cimitero ebreo è la prima poesia scritta da Iosif Brodskij. Con questa si iscrive al Torneo dei Poeti di Leningrado e si esibisce al Palazzo della Cultura Gor’kij. Il suo componimento provoca scandalo e non viene particolarmente apprezzato né dalla giuria, né dai colleghi poeti. L’unica voce fuori dal coro però è l’unica che conta: Anna Achmatova, che era venuta a conoscenza di Brodskij, non solo riconosce il valore di Cimitero ebreo, ma vede in Iosif un suo possibile erede. Si conosceranno personalmente nel 1961, grazie alla mediazione di Nadežda Jakovlevna Mandel’štam.

Brodskij inizia a trascorrere periodi in cui svolge fra i lavori più disparati e altri in cui legge, studia, in particolar modo l’inglese e il polacco, scrive e traduce. Gran parte della sua produzione è costituita da poesie d’amore dedicate a Marina Basmanova, una giovane pittrice cui si rivolge nei suoi componimenti con le iniziali MB. Si conobbero il 2 marzo 1962, durante una festa a casa di Boris Tiščenko. Inizierà con lei una tormentata relazione sentimentale culminata nel loro matrimonio, ma costellata dei tradimenti di lei e dalle conseguenti crisi e delusioni di lui. Famosissima è la disperata visita notturna di Iosif a casa Mandel’štam.

Brodskij, professione poeta

In quegli anni continuò a dedicarsi alla letteratura. Tuttavia, in una Russia dove vigeva l’obbligo al lavoro, l’attività di Brodskij non veniva vista di buon occhio. Nel 1963 venne pubblicato sul Večernij Leningrad un articolo in cui viene accusato di parassitismo sociale e di scarsa operosità. Le calunnie continuarono e sfociarono nel suo arresto e nel suo conseguente processo fra gennaio e marzo 1964.

Articolo del Večernij Leningrad in cui si accusava Brodskij di parassitismo

Il processo indetto a Iosif Brodskij fu un momento particolarmente significativo. Il dialogo fra lui e il giudice viene stenografato, illegalmente, da Frida Vigdorova e si diffonderà in Russia e oltreconfine, in samizdat. Riportiamo qui di seguito una parte del colloquio:

Giudice: Qual è la sua professione?
Brodskij: Poeta, poeta e traduttore.
Giudice: E chi ha riconosciuto che siete poeta? Chi vi annovera tra i poeti?
Brodskij: Nessuno. (senza sfida) E chi mi annovera nel genere umano?
Giudice: Avete studiato per questo?
Brodskij: Per cosa?
Giudice: Per essere un poeta! Non avete cercato di completare l’università dove preparano… dove insegnano…
Brodskij: Non pensavo… Io non pensavo che ci si arrivasse con l’istruzione.
Giudice: E come?
Brodskij: Io penso che… (confuso) venga da Dio…
Giudice: Аvete richieste?
Brodskij: Vorrei sapere perché mi hanno arrestato.
Giudice: Questa è una domanda, non una richiesta.
Brodskij: Allora non ho richieste.

Brodskij si definisce poeta, e questa missione è per lui tanto naturale quanto essere un individuo appartenente al genere umano.

Iosif Brodskij viene condannato a cinque anni di lavori forzati nel distretto di Konoša. Dallo spirito fortemente anticonformista, Brodskij non è scoraggiato. Al contrario, non solo era già stato in quella zona durante le sue spedizioni archeologiche, ma i lavori a cui era stato condannato erano di tipo prettamente agricolo e poteva passare molto tempo a leggere e a scrivere. Definì quel periodo come uno dei più produttivi della sua carriera, durante il quale iniziò persino un lavoro di traduzione delle opere di John Donne che si rivelerà molto produttivo per la sua poesia.

Joseph Brodsky

Il 1972 apre a Iosif la porta su quella che diverrà poi la sua seconda vita. A maggio di quell’anno viene contattato dall’OVIR, il dipartimento per visti e per gli stranieri residenti in Urss. Gli viene proposto di emigrare negli Stati Uniti. In alternativa, qualora fosse rimasto in Russia, lo avrebbe aspettato una lunga serie di interrogatori, reclusioni in ospedali psichiatrici e incarcerazioni.

A giugno Brodskij parte per gli Stati Uniti e si stabilisce ad Ann Arbor in qualità di insegnante di poesia presso l’Università del Michigan. Non avendo esperienze pregresse di insegnamento, il metodo di Brodskij non era particolarmente strutturato. Come ricorda il collega e poeta Lev Losev, per 24 anni, per 12 settimane l’anno, Brodskij si recava in aula e parlava di ciò che amava più in assoluto: la poesia. Le sue lezioni vertevano principalmente attorno alla lettura lenta di testi poetici.

Nel 1977 ottiene la cittadinanza americana e Iosif Brodskij diventa così Joseph Brodsky. In quegli anni continua a insegnare nell’Università del Michigan e vengono rese pubbliche opere si erano diffuse precedentemente solo in tamizdat.

Con l’avvento della perestrojka, Brodsky viene riabilitato in Urss e le sue opere sono finalmente libere di circolare anche nella sua madrepatria.

Iosif Brodskij all’Università del Michigan a luglio 1972.
© The Ann Arbor News, della collezione U-M Surroundings To Affect Writing, Soviet Poet Says.

Fortuna ed eredità poetica

Colto da un infarto, Brodsky muore il 28 gennaio 1996. Dopo più di un anno di indecisioni, viene stabilito come luogo ideale di sepoltura l’Isola di San Michele, a Venezia, la città più cara al poeta dopo San Pietroburgo. L’Italia, inoltre, era patria della moglie Maria Sozzani. Brodsky la sposa nel 1990 e dalla loro unione nasce Anna, il cui nome è un esplicito tributo alla Achmatova.

Sensibile e anticonformista, Brodsky cede un lascito culturale e poetico immenso ai posteri, i quali si rivolgono a lui contemporaneamente come testimone di un dato periodo storico, come poeta e saggista e come uomo la cui vita è stata distrutta e ricostruita da zero dal regime, ma che nonostante tutto ha sempre dedicato la sua vita alla cultura nonostante le opposizioni del governo.

L’eredità di Joseph Brodsky ha inoltre un’eco concreta sulla produzione artistica contemporanea. Oggi Maria Sozzani è presidente della Joseph Brodsky Fellowship Fund con sede in America e in Italia. La Fondazione si propone di offrire concretamente agli artisti russi “l’opportunità di vivere un’esperienza creativa in un ambiente culturale stimolante, senza costrizioni di alcun tipo”. L’idea nasce da quello che era il desiderio di Brodsky di fondare un’Accademia russa a Roma. La JBFF si occupa di offrire anche borse per periodi di studio in Italia.

Nel settembre 2022, lo storico Alessandro Barbero ha tenuto la conferenza “Vite e destini: Iosif Brodskij” durante il Festival della Mente, di cui consigliamo caldamente la visione per approfondire la figura di Brodskij.

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Laura Cogo
Laura Cogo

Laureata in Lingue e letterature straniere a Milano con le tesi “Immagini gastronomiche nelle Anime Morte di N. V. Gogol’” e “Le dimensioni dell’individualismo e del collettivismo nella quotidianità in Russia e in Italia”, Laura Cogo è attualmente docente di lingua e letteratura. Collabora con Russia in Translation e Ilnevosomostro.