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Dopo mesi di tensioni crescenti, con barricate e azioni violente nel nord del Kosovo a maggioranza serba, sembrerebbe farsi più concreto il raggiungimento di un accordo tra Serbia e Kosovo, capace di normalizzare, finalmente, le relazioni tra i due paesi. L’utilizzo del condizionale resta però d’obbligo quando si parla dei rapporti tra Belgrado e Pristina.
Di intesa storica, accompagnata da entusiasmo e buoni propositi, si era già parlato in occasione della firma dell’Accordo di Bruxelles dell’aprile 2013. L’intesa prevedeva la creazione di un’Associazione dei comuni a maggioranza serba all’interno del Kosovo, con un proprio statuto e una composizione etnica delle forze di polizia capace di riflettere quella della popolazione.
Per Belgrado, l’accordo rappresentava una sorta di tutela nei confronti dei cittadini serbi presenti nel paese, mentre per Pristina si trattava di congelare qualsiasi spinta secessionista mettendo a tacere le anime più ultranazionaliste serbe.
Dieci anni dopo, però, quell’accordo è rimasto carta straccia. Con buona pace degli ottimisti. In questo decennio le autorità kosovare non hanno concretizzato la formazione dell’Associazione mentre, dall’altro lato, le azioni dei nazionalisti serbi, sostenuti da Belgrado, hanno più volte rischiato di far scoppiare un nuovo scontro armato.
La proposta franco-tedesca di accordo tra Serbia e Kosovo
Nel tentativo di superare definitivamente il pericoloso status quo che caratterizza le relazioni serbo-kosovare da ormai un decennio, Francia e Germania hanno recentemente presentato una nuova bozza di accordo suddivisa in dieci punti. Il primo articolo sembra ricalcare la retorica degli ultimi decenni prevedendo “lo sviluppo di normali e buone relazioni di vicinato” con il “mutuo riconoscimento di documenti e simboli nazionali”. Obiettivi perseguiti da anni e mai effettivamente raggiunti, come dimostrato dalla recente crisi della targhe scoppiata lo scorso agosto.
L’articolo 2 della proposta franco-tedesca sembra però aprire la porta a un nuovo corso tra i due paesi. Secondo quanto previsto, entrambi riconoscerebbero come base per le proprie relazioni i principi stabiliti dalle Nazioni Unite e in particolare quelli relativi alla “sovranità degli stati, l’autonomia e l’integrità territoriale, il diritto all’autodeterminazione e la protezione dei diritti umani”. Un passaggio di primaria importanza perché obbligherebbe la Serbia a riconoscere, de facto, l’indipendenza kosovara chiudendo definitivamente una questione aperta da ben prima della dichiarazione unilaterale del 17 febbraio 2008. Questo andrebbe affiancato da un “appropriato livello di autogoverno della comunità serba” con tanto di assistenza finanziaria direttamente dalla Serbia e canali di comunicazione diretta con il governo del Kosovo.
Altrettanto fondamentali sono gli ultimi punti del piano che riguardano l’assistenza finanziaria da parte dell’Unione Europea a entrambi i paesi per sostenere progetti congiunti nei settori della connettività, la transizione energetica e lo sviluppo economico più in generale. Come sostenuto dal presidente serbo Aleksandar Vučić, l’Unione avrebbe infatti minacciato che il mancato raggiungimento di un accordo comporterebbe l’interruzione del processo di integrazione europea, il ritiro degli investimenti europei e persino l’abolizione del regime di visa free per i cittadini serbi.
La posizione kosovara
Pochi giorni fa il primo ministro Albin Kurti aveva dichiarato che la formazione dell’Associazione dei comuni serbi non rientrava tra le sue priorità, mostrando così un atteggiamento di chiusura sia verso le rivendicazioni serbe sia verso il piano europeo. Atteggiamento contraddittorio rispetto a quanto affermato dal lui stesso su Twitter il 6 febbraio scorso quando si dichiarava pronto ad accettare il piano per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia.
Il 2 febbraio Kurti ha presentato sei punti ai deputati dell’Assemblea del Kosovo, fondamentali, a suo avviso, per poter accettare la creazione dell’Associazione dei comuni a maggioranza serba. Questi prevedono che l’Associazione sia conforme alla Costituzione kosovara, che non sia monoetnica, che cambi nome e che non abbia alcun potere esecutivo. Viene inoltre richiesto lo smantellamento delle strutture serbe nel nord del paese considerate illegali e la consegna di tutte le armi in possesso dei serbi. Per Kurti, la creazione dell’Associazione potrà avvenire solo dopo il mutuo riconoscimento.
Il ministro dell’Amministrazione e del governo locale, Elbert Krasniqi, si è detto disposto a discutere della creazione di un “consiglio nazionale dei serbi” in Kosovo come ulteriore avanzamento per il mantenimento della pace e la sicurezza, pur ribadendo che le norme kosovare sulla tutela delle minoranze sono già le più avanzate della regione.
Le reazioni in Serbia
Mai come oggi, il presidente Vučić si trova con le spalle al muro, costretto a considerare la possibilità di un riconoscimento del Kosovo, anche se non esplicito. Pur continuando ad accusare il Kosovo di voler far scoppiare una guerra per isolare ulteriormente la Serbia e non dare vita all’Associazione dei comuni, Vučić, ancor prima del premier kosovaro Kurti, si è detto disponibile a trovare un compromesso. Una posizione tattica la sua, che gli permette di mostrarsi possibilista e responsabile agli occhi dei mediatori euro-atlantici. Per il governo serbo il punto più controverso resta l’adesione del Kosovo alle organizzazioni internazionali, un passo che rappresenterebbe una riconoscimento vero e proprio della sua indipendenza mentre la formazione dell’Associazione rimane l’aspetto non negoziabile di tutta la trattativa.
Il 2 febbraio, mentre Kurti presentava i suoi “sei punti” al parlamento kosovaro, Vučić presentava ai suoi deputati un piano in dieci punti sulla futura politica estera della Serbia. Secondo quanto annunciato, gli obiettivi primari saranno quello di: “preservare la pace e la stabilità con quasi tutti i mezzi e ad ogni costo” senza cedere alle provocazioni, “la formazione dell’Associazione dei comuni a maggioranza serba”, “la sicurezza per i serbi in Kosovo e Metohija” e la continuazione del percorso europeo del paese.
Una piccola curiosità. Il comunicato ufficiale apparso sul sito del governo serbo è stato al centro di una polemica. Nel testo originale infatti, la traduzione inglese riportava la dicitura “Repubblica del Kosovo”. In Serbia però, giornali e soprattutto fonti ufficiali si riferiscono al Kosovo sempre con le diciture “Kosovo e Metohija” o “il cosiddetto Kosovo”. Per molti quindi, in modo più o meno ironico, riportare “Repubblica del Kosovo” in un documento ufficiale equivaleva già a un effettivo riconoscimento. Dopo poche ore e soprattutto dopo l’intervento della prima ministra Ana Brnabić, l’errore è stato corretto e sostituito con il classico “Kosovo e Metohija”.
Il ruolo di Ue e Stati Uniti
Il vero elemento di svolta nel tentativo di raggiungere un accordo tra Serbia e Kosovo è stato senza dubbio il cambio di approccio da parte di Unione Europea e Stati Uniti. La minaccia di chiudere i rubinetti degli investimenti ha messo con le spalle al muro il presidente serbo Vučić cosciente che senza il sostegno economico dell’Europa il suo paese vedrebbe compromesso il suo percorso di sviluppo, nonostante gli ottimi rapporti, anche economici, con Russia e Cina.
Altrettanto decisive sono state, al momento, le pressioni esercitate sul governo kosovaro per la creazione dell’Associazione dei comuni serbi. Fino ad oggi gli Stati Uniti, ancor più dell’Unione Europea, hanno sempre avuto una posizione piuttosto indulgente verso i governi kosovari.
Il rappresentante speciale dell’Unione Europea per il dialogo tra Kosovo e Serbia, Miroslav Lajčák, è stato in Kosovo ben dieci volte da settembre ad ora, a dimostrazione dell’importanza per l’Unione di raggiungere il prima possibile un accordo.
L’obiettivo di Ue e Usa è quello di evitare un’altra escalation come quella di dicembre capace di portare i due paesi sull’orlo di un nuovo scontro armato. Un conflitto che potrebbe avere ripercussioni gravissime anche nel resto della regione, come dimostra la già complicata e delicatissima situazione in Bosnia Erzegovina. Il raggiungimento di un accordo tra Serbia e Kosovo, concreto e attuabile, sarebbe inoltre un successo diplomatico contro i nemici russi e i competitor cinesi che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo e sostengono da sempre l’integrità territoriale della Serbia.
I dubbi restano però sempre gli stessi: Belgrado e Pristina saranno in grado di trovare un compromesso accettabile per entrambi? Riusciranno a far digerire l’eventuale accordo alle frange più nazionaliste delle loro società? L’intesa verrà davvero implementata e rispettata da entrambe le parti o sarà l’ennesima promessa non mantenuta?
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.