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L’ultima strage di migranti, quando decine di corpi di uomini, donne e bambini sono arrivate sulle coste di Cutro (Crotone), risale al 26 febbraio scorso. Il tempo necessario per sentire le solite banalità, i cordogli da comunicato stampa, le folli parole del ministro dell’Interno, le false promesse affinché “non accada mai più”. Purtroppo, quello che è successo in Calabria è la quotidianità nel Mediterraneo. Un mare sempre più cimitero d’Europa, che continua a risucchiare vite mentre i governi europei continuano a discutere a vuoto.
Il mare è sicuramente l’elemento naturale più difficile da affrontare per chi migra, quello più rischioso e letale. Ma non è il solo. Alla via marittima si affiancano quelle terrestri, fatte di deserti e foreste, montagne e fiumi insidiosi. Luoghi attraversati da gente in fuga, costretti ad abbandonare tutto a causa della povertà, delle guerre, delle discriminazioni o delle persecuzioni politiche. O anche per i cambiamenti climatici.
Nell’ultimo decennio si è andata diffondendo la divisione, non solo linguistica ma sostanziale, tra migranti economici e rifugiati. Come se fosse possibile costruire una scala gerarchica della disperazione. Nel primo caso si fa riferimento a una “persona che lascia il proprio paese di origine per ragioni puramente economiche […] al fine di cercare di migliorare i propri mezzi di sostentamento”. “Migrante economico” è però una categoria che non rientra nei criteri per ottenere lo status di rifugiato e quindi non può beneficiare della protezione internazionale. Il tentativo era quello di distinguere tra “migranti meritevoli di protezione”, che scappano da una guerra e che hanno veramente bisogno di aiuto, e “migranti non meritevoli”, coloro che si sono spostati “solo” per questioni economiche.
Un’altra categoria utilizzata quando si parla di migrazioni è quella dei cosiddetti “migranti ambientali”. Una categoria non utilizzata per analizzare e trovare soluzioni al fenomeno dei cambiamenti climatici, quanto per creare l’ennesima distinzione, per applicare un processo di selezione e rimozione di tutto ciò che non è “meritevole” di tutela. Secondo Legambiente “oltre il 40% della popolazione mondiale (tra i 3,3 e i 3,6 miliardi di persone) vive in contesti di estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici” e si stima che, entro il 2050, 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a spostarsi.
“L’ultima foresta”, la trama
E proprio il rapporto tra uomo e natura è al centro del romanzo di Mauro Garofalo, L’ultima foresta, edito da Aboca. Un racconto ambientato in un luogo in cui si manifesta la follia umana, assetata di brutalità, violenza, distruzione dell’ambiente naturale. La foresta di Białowieża, dove è ambientata la storia, si trova al confine tra Belarus’ e Polonia. Una frontiera dell’Unione Europea diventata tristemente famosa per l’ennesima “crisi migratoria”. Nell’estate del 2021 il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašenka, il cui regime era stato sanzionato dall’Unione, aveva minacciato di far arrivare in Europa un’ondata di “trafficanti di droga e migranti”. In pochi mesi, con il sostegno delle compagnie aeree che favorivano i viaggi specialmente dal Medio Oriente, si riversarono migliaia di persone al confine tra i due paesi. Varsavia rispose come sempre hanno fatto i paesi europei: con la securizzazione delle frontiere. Tecnologie avanzate di controllo e aumento del numero di poliziotti di frontiera.
“I guardiani neri hanno manganelli e guanti dello stesso colore. Non hanno più un’anima però. Scorrazzano lungo un confine inesistente che qualcun altro gli ha detto di pattugliare. È una scorribanda per delega”
E poi, ovviamente, l’immancabile muro, alto 5,5 metri, lungo 186 km e costato più di 300 milioni di euro, in parte sostenuto anche dall’Ue. Di questi 186 km, 50 attraversano un parco nazionale tutelato dalla rete di protezione ambientale dell’Unione Europea, Natura 2000. Un’area in cui “gli uomini avevano inquinato la terra, saccheggiato risorse, estinto creature, si erano seduti ladri al banchetto del Signore”.
È in questi luoghi che la famiglia di cinque persone (marito, moglie, due figli e una figlia) protagonista della storia si scontra con le dure leggi della natura e dell’uomo, in un mondo che sembra esser fatto solo di violenza e distruzione, in cui solo gli animali, anch’essi vittime della mano dell’uomo, riescono a mostrare un qualche istinto di giustizia. Arren e la sua famiglia rientrano pienamente nella categoria di “migranti ambientali”. La loro casa e la loro fattoria sono stati, infatti, completamente distrutti da una tempesta in cui ha perso la vita anche il nonno dei bambini. Disperati, senza più nulla, i cinque si mettono in cammino addentrandosi nella foresta gelida e pericolosa. Da allora comincia per loro un viaggio che si rivelerà ancora più duro della tempesta stessa. Durante il cammino dovranno affrontare la pioggia, il freddo, gli ostacoli nascosti della foresta, un branco di lupi affamati.
Arrivati finalmente in un campo profughi al confine trovano, non senza diffidenza da parte degli altri profughi, un po’ di ristoro ma vedono con i loro occhi anche il disonore di cui sono capaci alcune persone. Il furto di un cellulare e di pochi soldi provoca un accoltellamento. Un gesto infimo, ma “non è il furto in sé. Il niente che rubano. Piuttosto la sottrazione delle residue speranze”. L’evento spinge Arren a decidere di riprendere il viaggio verso un altro campo al di là della montagna. Una decisione che si rivelerà catastrofica per le sorti della famiglia.
“Proverà ancora. Da un’altra parte. Questo fa chi è costretto a lasciare la propria casa. Bussare, e bussare, ancora, alle porte del destino”.
Parallelamente al loro viaggio, un’orsa si aggira per la foresta in cerca degli uomini che hanno rapito i suoi cuccioli per venderli in qualche mercato nero. Gli stessi uomini che pattugliano il confine con i loro fuoristrada, armati fino ai denti, in cerca di qualcuno da picchiare, umiliare e respingere oltre confine. Sarà proprio l’orsa, accecata dalla vendetta, a compiere il gesto più liberatorio e permettere, a chi ce l’ha fatta, di proseguire il viaggio verso una vita migliore.
La storia raccontata da Garofalo ne L’ultima foresta, non importa quanto vera in quanto del tutto verosimile, non parla di qualcosa che verrà, forse tra qualche decennio, ma di qualcosa che sta già accadendo. Sotto i nostri occhi.
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.