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Grazie alla traduzione di Dino Huseljić, è finalmente disponibile nelle librerie italiane Magla i mjesečina – Nebbia e chiaro di luna, opera letteraria dell’autore jugoslavo Meša Selimović. Il testo, edito da Bottega Errante, ripercorre le vicissitudini di una coppia dell’entroterra jugoslavo, la cui routine rurale, sempre uguale a sé stessa, viene irrimediabilmente alterata dalla Seconda guerra mondiale e dal transito dei combattenti attraverso la loro proprietà. Con il conflitto a fare da perenne e fosco sfondo alle vicende narrate, l’incontro tra queste due realtà è motivo di riflessioni e crisi profonde tra i protagonisti del racconto, dei quali emerge così il lato più fragile, più umano, in un contesto nel quale fragilità e umanità vengono invece troppo spesso seppellite, anche nel ricordo che se ne fa a posteriori. Con questo libro Selimović ci ricorda che i partigiani altro non erano che uomini in carne e ossa, come tutti noi.
Abbiamo dovuto aspettare Dino Huseljić e il 2023 per vedere finalmente tradotto in italiano Nebbia e chiaro di luna (Magla i mjesečina in serbo-croato), libro dell’autore jugoslavo di fama internazionale Meša Selimović. Varie le ragioni possibili per spiegare questa colpevole mancanza. Tra le tante, il fatto che, a torto, sia considerata un’opera minoritaria, relegata all’ombra di libri ben più noti e tradotti, che hanno valso allo scrittore di Tuzla fama mondiale, quali Il derviscio e la morte (Derviš i smrt) e La fortezza (Tvrđava), entrambe ambientate nella Bosnia ed Erzegovina dell’Impero ottomano. A torto perché, come spesso accade, la critica e il successo letterari non sempre coincidono con l’opinione che gli autori hanno delle proprie opere.
È proprio questo il caso di Nebbia e chiaro di luna, considerata su ammissione dello stesso Selimović la sua “opera più riuscita”, e che tuttavia non è diventata altrettanto nota al vasto pubblico quanto i due scritti successivi che abbiamo già citato. L’ambientazione, geograficamente simile; il periodo, drasticamente differente. In questo caso Selimović non ci accompagna tra i dedali cittadini dell’Impero ottomano, ma nella Jugoslavia rurale occupata dalle forze dell’Asse, durante la Seconda guerra mondiale. Una tematica cara all’autore e che conosce con dovizia di particolari, avendo partecipato in prima persona al movimento partigiano di liberazione nazionale del paese e avendo perso il fratello nel corso del suo svolgimento (episodio che lo segnò profondamente e influenzò le sue opere successive).
In guerra, non sulla guerra
Dire che si tratta di un libro sulla guerra, però, sarebbe fuorviante e riduttivo. Il conflitto c’è ed è raccontato, ma si tratta di una nuvola bassa che incombe all’orizzonte, facendosi ora più vicina e minacciosa, ora più distante, senza mai abbandonare quelle terre e senza mai smettere di esercitare un’influenza nefasta sui suoi abitanti. Abitanti che, al contrario, sono i veri protagonisti del racconto, tanto i giovani partigiani di passaggio – o per meglio dire, soldati, come sono designati, anche per scelta stilistica del traduttore, nel testo: per i contadini, infatti, spesso non vi era molta distinzione tra l’una e l’altra fazione, erano tutti soldati allo stesso modo. In più, nel contesto specifico della lotta di massa in Jugoslavia, il partigiano smise di essere un “guerrigliero”, un “irregolare”, ma divenne il soldato dello stato che verrà – quanto i contadini che assistono impotenti a quegli avvenimenti epocali.
Da questo incontro e scontro forzato di mondi diversi, costretti a convivere sullo stesso suolo, nascono incomprensioni, emergono differenze e si instaurano rapporti impensabili in tempo di pace. Tra gli altri c’è Jovan, un contadino che da generazioni immemori bagna lo stesso appezzamento di terra, unica fonte di sostentamento, con il suo sudore. Il lavoro nei campi l’ha temprato, il contatto quotidiano con la natura e i suoi ritmi l’hanno reso taciturno, ponderato. Diffida di tutti ed è restio a ogni cambiamento, che considera pericoloso almeno quanto quei soldati di passaggio – che se potesse eviterebbe come la peste – e le persone loquaci: “Si sbaglia sempre quando si parla”. È l’emblema vivente del mondo rurale, contadino, legato a tradizioni ancestrali e sempre uguale a sé stesso, che fatica a concepire una comunione d’intenti che vada al di là del proprio singolo fazzoletto di terra.
Diametralmente opposto rispetto a quel mondo contadino ci sono poi loro, i combattenti. Quasi tutti giovanissimi, spinti da spirito di sacrificio e ideali che trascendono le ristrettezze dei propri interessi personali. Si sono messi in marcia per liberare il proprio paese dall’invasore, per costruire un mondo diverso. Sono loquaci, appassionati, portano con sé esperienze avventurose e racconti dalla città. Ma sono tragicamente inesperti alla vita, vagheggiano sul primo amore e si innamorano al chiaro di luna.
C’è poi Ljuba, contadina e moglie atipica, che vanta un trascorso fumoso di vita e amori cittadini. Si tratta probabilmente del personaggio più complesso e travagliato, che vive con angoscia il suo presente e che attraverserà una vera e propria crisi esistenziale, scaturita involontariamente dai combattenti di passaggio attraverso la sua abitazione.
Tra nebbia e chiaro di luna si scorge l’animo umano
Nel contesto lugubre della Seconda guerra mondiale, l’incontro e lo scontro tra queste e altre personalità genera attriti e convergenze, sintonie e fratture, che hanno tutti come comun denominatore la straordinariamente variegata complessità che contraddistingue il genere umano. Ed ecco allora emergere il vero tema di fondo di questo libro, scorrevole e denso ad un tempo: l’uomo e i suoi travagli, che dalla notte dei tempi lo accompagnano lungo il suo cammino terrestre. Come rifletterà Jovan in uno dei tanti flussi di coscienza che si incontrano nel testo, almeno tanto significativi quanto i dialoghi più taglienti, ma decisamente meno prolissi:
La cosa più strana di tutte è che ognuno, in quel susseguirsi e in quel sostituirsi, nel suo breve passaggio, quando sarà il suo turno, porterà con sé la propria pena, e penserà di essere l’unico a patirla, di essere l’unico colpito dalla grandine, di essere l’unico a soffrire quella disgrazia. Ma tutto è già successo, eppure non è facile quando risuccede. Ognuno di noi vive le cose che hanno già vissuto quelli prima di noi, e la disgrazia di altri non è mai una lezione, e la pena di altri non è mai una consolazione. Gli uomini non si abituano a nulla nonostante tanti altri abbiano vissuto quelle stesse cose molto prima.
Amore, odio, concezioni della vita cozzano, si fondono e si rescindono tra le pagine di Nebbia e chiaro di luna, lasciando frastornati in una simile cacofonia di pensieri e parole differenti. Fornendo però al contempo un’istantanea accurata del turbinio di sentimenti che un’intera generazione in guerra ha provato sulla sua pelle nel corso del secolo breve. Una descrizione dettagliata, soggettiva e introspettiva dei partecipanti al secondo conflitto mondiale, lontana dagli eroismi e dalle esaltazioni tossiche ai quali siamo soliti.
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.