L’Avantgarde Museum di Zagabria non possiede grandi sale cariche di dipinti né lunghi corridoi bianchi. Non ha scale che portano al piano superiore né un guardaroba dove lasciare i cappotti all’ingresso. Detta così, potrebbe apparire come un luogo gestito veramente male. E invece no: l’Avantgarde Museum è un museo virtuale.
Il progetto e la collezione Marinko Sudac
Il progetto Avantgarde nasce a Zagabria nel 2009 ed è composto da due grandi organi: la Collezione Marinko Sudac (Kolekcija Marinko Sudac) e l’Istituto per la Ricerca sull’Avanguardia (Institut Za Istraživanje Avangarde).
Tutto ha origine proprio grazie all’esistenza della collezione Marinko Sudac, che negli anni è riuscita a raccogliere un vastissimo numero di opere di artisti appartenenti al contesto jugoslavo, in un arco di tempo che va da inizio Novecento alla caduta del Muro di Berlino (1989). L’istituto per la Ricerca sull’Avanguardia è invece il corpo predisposto allo studio continuo e aggiornato della collezione e alla pubblicazione di testi scientifici. Assieme, queste tre realtà, sono riuscite a ri-organizzare e catalogare una mole immensa di materiale e ricostruire così un contesto storico-artistico di importanza nodale per la storia dell’arte europea del Novecento. Non solo, han fatto sì che questa testimonianza fosse alla portata di tutti.
Le opere sono per la maggior parte ammirabili proprio sito dell’Avantgarde Museum, uno spazio virtuale accessibile al pubblico, che diventa così un calderone di informazioni preziosissime per chiunque desideri avere una panoramica di un contesto artistico che nei libri di storia dell’arte viene spesso ingiustamente lasciato da parte.
La sezione dedicata alla Collezione è un tesoro per chi vuole approfondire opere e artisti jugoslavi, impeccabilmente ordinati per anno e contesto geografico di appartenenza. Nel database della collezione è addirittura presente una funzione che consente, cliccando sui nomi degli artisti, di individuare immediatamente le relazioni con colleghi e movimenti attraverso simpatiche frecce. Ciò permette non solo di approfondire la storia del singolo, ma anche di poter stabilire connessioni e reti di relazioni esistenti nei contesti artistici del tempo. Una sezione è inoltre dedicata ai cosiddetti International, artisti non strettamente jugoslavi ma ungheresi, polacchi, rumeni.
Davanti ai nostri occhi sfilano i nomi di grandi avanguardisti come la performer serba Marina Abramović o lo sloveno gruppo OHO, che hanno entrambi intrattenuto parecchie relazioni con il contesto italiano coevo. Assieme a loro, una moltitudine di artisti meno conosciuti ma altrettanto straordinari, tanto da attirare l’interesse internazionale.
Una modernità non allineata: Italia e Jugoslavia a confronto
Ne è esempio la mostra promossa da FM Centro per L’arte Contemporanea nel 2016, curata da Marco Scotini, che è riuscita a riunire più di 600 opere della collezione Marinko Sudac e portarle a Milano. Non-Aligned Modernity/ Modernità non allineata, questo il titolo, è stata un’esposizione unica nel suo genere, in quanto si è posta l’obiettivo ambizioso di raccontare la scena artistica jugoslava degli anni di Tito, precisamente dal 1948 in poi, quando salta l’alleanza tra Urss e la Repubblica Socialista Jugoslava perché quest’ultima si rifiuta di allinearsi – e da qui il titolo modernità non allineata – alle politiche russe. Questo distacco avrà ripercussioni non soltanto sulla politica e l’economia dello spazio jugoslavo: porterà importanti cambiamenti anche nei linguaggi culturali, finalmente liberi dal realismo sovietico e adesso aperti a nuove sperimentazioni. La scheda tecnica ufficiale della mostra è perentoria sugli obiettivi che quest’ultima si pone:
La mostra Non-Aligned Modernity intende rileggere lo spazio culturale e artistico della ex-Jugoslavia come laboratorio complesso e interstiziale, sospeso tra l’Est e l’Ovest ma non completamente assimilabile a nessuno dei due fronti, consentendo di superare la visione dicotomica classica tra un’Europa e l’altra.
La mostra del FM è di importanza fondamentale per dare una misura, seppur in scala ridotta, di ciò che la collezione Marinko Sudan e di conseguenza l’Avantgarde Museum di Zagabria hanno da offrire al mondo dell’arte. Spiccano soprattutto due nomi: Gorgona e il Grupa Šestorice Autora (Gruppo dei Sei Autori) due collettivi di artisti, entrambi formatisi a Zagabria e attivi negli anni Sessanta e Settanta.
A voler fare un paragone con la scena italiana coeva, il primo gruppo è interessante in quanto mostra un precocissimo carattere concettuale. Ovvero, gli artisti Vanista, Kožarić, Knifer e Mangelos, riuniti sotto il nome Gorgona nel 1959, hanno delle fortissime connessioni con il lavoro di alcuni colleghi italiani come Fontana e Manzoni, nomi che oggi risuonano potenti nei libri di storia dell’arte. Tutto ciò, nota Gillo Dorfles in Ultime tendenze nell’Arte di Oggi (Feltrinelli, 2018), una delle personalità più importanti nella critica d’arte mondiale, testimonia come a cavallo tra i Cinquanta e i Settanta, in paesi diversi, sono venuti a crearsi dei movimenti artistici molto simili.
Lo stesso accade con il Grupa Šestorice Autora, altra perla della collezione Marinko Sudac. Nato a Zagabria nel 1975 e capitanato dal poeta Vlado Martek, il collettivo mostra delle forti attinenze con ciò che oggi viene definita Arte Povera e che rappresenta uno dei capitoli più importanti della storia dell’arte italiana.
Il gruppo si muove infatti tra il 75 e il 79, con le cosiddette exhibition-actions, mostre-azioni svolte per strada o luoghi pubblici, alcune delle quali ebbero una fortissima risonanza. Tra queste spicca la volta in cui Martek assieme a Demur e Jerman, dipinsero sotto il ponte ferroviario di viale Savska a Zagabria lo slogan provocatorio Ovo nije moj svijet (Questo non è il mio mondo) che riproposero poi a Belgrado l’anno seguente, sulla facciata del Centro culturale studentesco. Queste azioni, oltre a ricordare quelle dei poveristi italiani, avevano un forte significato ideologico: oltre alla volontà di portare l’arte fuori dai luoghi istituzionali, che rappresenta l’esigenza di dialogare con il proprio paese, in questi lavori si trova tutta l’essenza del posizionamento jugoslavo durante gli anni della Guerra fredda. Con Ovo nije moj svijet si assiste a un rifiuto, a un no categorico che si rivolge con la stessa potenza sia concezione della vita capitalista, falsamente glorificata come libera e democratica, quanto a quella sovietica, ingabbiata in un reticolo di regole assurde.
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Per un’arte senza confini
La Jugoslavia, terra di mezzo tra Stati Uniti e Unione Sovietica, parla attraverso i suoi artisti, dichiarandosi spazio a sé stante, che non intende allinearsi a nessuna delle due potenze.
I due gruppi di cui si è parlato finora sono solo una minuscola parte di ciò che l’Avantgarde Museum ha da offrire: non sono che una breve immersione in un oceano di artisti, movimenti e situazioni che offrono occasioni per approfondire un’Europa ancora sconosciuta. È l’Europa serba, bosniaca, bulgara, albanese, polacca. È l’Europa che sui libri di storia dell’arte non compare ma che il bellissimo progetto dell’Avantgarde Museum di Zagabria mette a disposizione di tutti, portandoci per mano nelle sue sale virtuali, che è vero, non hanno pareti, ma sicuramente non hanno neanche confini.