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“Viviamo nella più povera e sottosviluppata regione dell’Unione europea e la nostra condizione è ben diversa da quella sperimentata dai cristiani in Turchia. Atene non riconosce la nostra identità turca, si limita ad accorparci con i rom e i pomacchi definendoci i musulmani di Grecia. Lo Stato greco – il quale è tutto fuorché teocratico – sceglie il nostro clero religioso, i nostri mufti, i nostri imam. Rispetto ai macedoni, agli albanesi e le altre minoranze autoctone, noi siamo doppiamente svantaggiati a causa del nostro credo religioso. Siamo musulmani e turchi ma viviamo in Grecia. Fino a cent’anni fa eravamo una cosa sola con la Turchia e la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità non sono cambiate.
Da una prospettiva storica, il nostro popolo è nato in Asia centrale, si è spostato in Anatolia, ha costituito l’Impero ottomano e dalla periferia di Konya è partita una comunità che ha scelto di vivere stabilmente in quella che oggi è la Bati Trakya o la Tracia occidentale per i greci. Stessa storia, stessa religione, stessa lingua, stessa identità. Questo è un fatto. Parliamo turco, siamo di etnia turca, siamo musulmani, i nostri libri di scuola minoritaria vengono dalla Turchia, ma siamo cittadini greci, siamo onorati di esserlo e paghiamo le tasse. Siamo gente onesta e pacifica, amiamo i nostri concittadini di etnia greca e non abbiamo alcun problema di coesistenza nelle città e nei villaggi della regione. Non andiamo per le strade a gridare “siamo turchi!”, poiché non lo siamo in termini politici o di cittadinanza, semplicemente lo siamo da sempre, e sappiamo come dovremmo esistere a partire dal Trattato di Losanna. Ciò che vogliamo è godere dei nostri diritti garantiti dai trattati e dalle convenzioni europee a tutela dei diritti umani. Soltanto questo. La nostra identità è la nostra esistenza, la Turchia è la nostra madrepatria e la Grecia il nostro paese”.
Un testimone a Komotini
Che cos’è la Bati Trakya
In principio è l’unisono dei megafoni che invitano i fedeli a recarsi in moschea per recitare la ṣalāt al-maghrib, la preghiera del tramonto. Appena fuori dai luoghi di culto, nei cortili di proprietà della minoranza, nel cuore dei villaggi, in mezzo ai campi di tabacco, tutto è pronto per l’iftar: il momento in cui la comunità intera si siede alla stessa, lunghissima e bianca tavola per spezzare il digiuno durante il mese del Ramadan.
La partecipazione comunitaria è totale, sia per tutto ciò che concerne la preparazione del luogo di ritrovo, sia per la cena e la sua distribuzione. Nessuno viene lasciato indietro poiché tutti, in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia, sono parte della comunità. Così funziona da sempre e così tutti agiscono seguendo usi, costumi e dettami della fede rimasti immutati nei secoli. Rituali e consuetudini che si ripropongono con forza e partecipazione collettiva in occasione del Kurban bayrami – la festa del sacrificio, che è pilastro della fede musulmana, dove chi ha la facoltà di acquistare e sacrificare l’agnello provvede poi a redistribuire le parti della carcassa al parentado e alle persone bisognose – oppure durante gli eventi di musica e danza folk e il panayir, la tradizionale lotta libera maschile.
Tutto questo accade in Bati Trakya, la periferia più orientale di Grecia, il luogo in cui vive una minoranza etnico-linguistica autoctona definita per la sua religione e non per la sua identità nazionale.
Gli aspetti storico-geografici
Chiusa dai fiumi Nestos a occidente ed Evros a oriente, i monti Rodopi a nord e il mar Egeo a sud, la Tracia occidentale è una regione confinante con Turchia e Bulgaria. Dal punto di vista amministrativo, il territorio è suddiviso nelle prefetture di Xanthi (İskeçe), Rodopi (Rodop), Evros (Meriç) e i centri più importanti sono le città di Xanthi, Komotini e Alessandropoli. Secondo le statistiche nazionali ed europee, la Tracia è la più povera ed arretrata delle 13 regioni greche nonché una delle aree più depresse della Ue, con l’economia locale che si regge per lo più sull’agricoltura, l’allevamento e la lavorazione del caffè e un PIL pro-capite di 14mila euro. Dei 350mila abitanti della Tracia, circa 145mila sono di etnia turca. Quella che oggi viene definita da Atene la “minoranza musulmana di Tracia” in realtà è una comunità di etnia turca che da oltre sei secoli abita la regione.
Dopo essere stata colonizzata da greci, romani e bizantini, nel XIV secolo la Tracia fu conquistata dall’Impero ottomano, il quale esercitò il proprio dominio fino alla sconfitta militare patita nel corso della Prima guerra balcanica del 1912-1913. A seguito della caduta turca la Tracia occidentale venne ceduta prima alla Bulgaria e successivamente, con il Trattato di Sèvres del 1920, alla Grecia. Con la fine della Guerra greco-turca (1919-1922) la comunità turca rimasta sotto il governo di Atene fu al centro degli accordi previsti dal Trattato di pace di Losanna siglati nel 1923. Fino a quel momento, i turchi rappresentavano l’84% della popolazione totale della regione mentre invece la quota greca ammontava al 10%. Con il Trattato di Losanna e l’entrata in vigore delle misure volte a contribuire l’omogeneità etnica e religiosa della Grecia e della neonata Repubblica di Turchia, il destino e la vita della comunità turca di Tracia fu stravolto.
Grecia e Turchia concordarono uno scambio forzato di popolazioni nell’Egeo, il quale portò all’esodo di un milione e mezzo di greco-ortodossi dalla Turchia a fronte dei 500mila musulmani turchi che dovettero lasciare definitivamente la Grecia per andare a ricostruirsi una vita oltre confine. Furono escluse dallo scambio la comunità dei turchi di Tracia e quelle greco-ortodosse di Istanbul e delle isole di Gökçeada (Imbros) e Bozcaada (Tenedos). La comunità turca fu esclusa dagli scambi in nome del principio di reciprocità che sanciva la sopravvivenza del Patriarcato ortodosso di Istanbul a patto che potesse esserci una comunità di fedeli residenti in Turchia e che permanesse in Grecia una minoranza musulmana legalmente riconosciuta e tutelata.
Fu così che il trattato stabilì la cornice legale per la sopravvivenza di un popolo: l’esistenza della minoranza turca, l’uso della lingua madre, il pieno godimento di diritti civili e politici, la possibilità di regolare le dispute familiari secondo le consuetudini e l’autonomia nei campi dell’educazione e religione. Quella che inizialmente fu la costituzione di una minoranza in termini politico-religiosi diventò presto una realtà grazie all’aumento di popolazione di etnia greca dovuto agli scambi di popolazione e al successivo arrivo dei greci del Ponto emigrati dall’ex Urss. I cambiamenti demografici uniti all’invasione turca di Cipro del 1974 e l’instaurazione de facto della Repubblica Turca di Cipro del Nord del 1983 portarono Atene a un cambiamento radicale nella gestione della comunità.
L’identità negata (1951 e 1968) della minoranza turca musulmana di Grecia
Nonostante la solida cornice data dal vigente Trattato di Losanna, a oggi la comunità turca di Tracia non vede riconosciuta la propria identità nazionale dal governo greco, il quale ha posto il divieto di utilizzo del termine türk nelle scuole minoritarie, negli enti e organizzazioni a carattere sportivo, sociale e culturale. Secondo Atene, tutti i cittadini greci sono liberi di esercitare i propri diritti e la propria autodeterminazione: un’amara verità per la minoranza turca di Tracia, dapprima privata di ogni riferimento all’identità turca e poi accorpata insieme ai gruppi etnici pomacchi e rom in un’unica e riconosciuta minoranza musulmana residente in Tracia. Questa strategia politica ha portato allo scioglimento per legge delle associazioni più rappresentative della comunità turca: l’Unione Turca di Xanthi (XTU), l’Unione dei Giovani Turchi di Komotini e l’Unione degli Insegnanti Turchi della Tracia occidentale.
La storia della XTU, la più vecchia associazione turca in Tracia occidentale, è tra le più emblematiche ed esplicative del problema identitario e culturale che tutt’oggi affligge la minoranza turca di Tracia. Nata nel 1927 sotto il nome di Casa dei giovani turchi di Xanthi con l’obiettivo di promuovere iniziative sportive, culturali e aggregative, nel 1936 l’associazione riuscì a cambiare il proprio nome in Unione Turca. Per oltre mezzo secolo la XTU ha goduto del pieno riconoscimento legale, ha creato una polisportiva avente squadre di calcio e pallavolo iscritte regolarmente ai campionati regionali e nazionali e sviluppato progetti educativi e culturali connessi con il teatro, la danza popolare, la musica folk, la pittura nonché la gestione dell’asilo minoritario.
A seguito del deterioramento della questione cipriota, il prefetto di Xanthi chiese la dissoluzione dell’associazione, cosa che avvenne nel 1986. A partire da quel momento e per i successivi 37 anni, la XTU ha cercato di sopravvivere senza alcun riconoscimento e garanzia legale, operando informalmente e sostenendosi grazie all’autotassazione dei propri membri volontari e le donazioni in arrivo dalla minoranza e dalla diaspora tedesca. Questi fondi contribuiscono a tenere in vita i progetti culturali e quelli di formazione al lavoro per le donne residenti nei villaggi, le quali accorrono alla sede di Xanthi per apprendere la sartoria e il confezionamento degli abiti tradizionali utilizzati durante le ricorrenze e gli eventi comunitari.
Dopo anni di ricorsi legali respinti, la XTU ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (ECHR), la quale nel 2008 ha dichiarato lo Stato greco colpevole di non rispettare l’articolo 11 della Convenzione europea per i diritti umani (CEDU) riguardante il diritto di assemblea e associazione. Nonostante questa sentenza, la Grecia non ha ancora provveduto a revocare le sentenze di dissoluzione, rifacendosi a quello che in origine fu la motivazione espressa dalla Corte suprema greca:
Il termine türk deve riferirsi soltanto ai cittadini della Repubblica di Turchia e non può essere usato per descrivere i cittadini di Grecia. Ogni riferimento a una minoranza turca potrebbe mettere a repentaglio l’ordine pubblico su scala locale e nazionale.
La Linea Verde su Nicosia e Famagosta, la Kyrenia turca e gli scambi di popolazione tra greco e turco-ciprioti avevano scosso Atene, che sul fronte interno doveva comprendere tutti gli scenari possibili con le minoranze turche di Tracia e quelle presenti sulle isole di Rodi e Kos. Atene si ritrovò nuovamente di fronte alla necessità di omogeneizzare il paese, di diluire e depotenziare le etnie e le identità nazionali non greche, allo stesso modo in cui venne fatto nel secondo dopoguerra con i valacchi, i macedoni e le minoranze slavofone presenti sul territorio. Durante gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, la minoranza turca di Tracia fu colpita dall’applicazione arbitraria dell’ex art. 19 del codice nazionale greco (abrogato nel 1998) il quale prescriveva che: “la persona la cui origine ed etnia è non greca che non ha interesse a fare rientro nel paese potrebbe essere privata della cittadinanza greca. Tale procedimento è valido anche per le persone di etnia non-greca domiciliate all’estero. I figli – di uno o entrambi i genitori a cui è stata tolta la cittadinanza – che sono residenti all’estero potrebbero perdere la cittadinanza greca. Il ministro degli Interni è competente in materia in accordo con l’opinione del Consiglio Nazionale”.
Secondo il ministero degli Interni greco sono circa 47mila i musulmani di Tracia che sono stati privati della cittadinanza greca (secondo i gruppi e le associazioni a sostegno della minoranza la conta salirebbe a 60mila); persone che vivevano e lavoravano all’estero, che studiavano in Turchia o si recavano in visita al parentado a cui è stato notificato in frontiera o in sede di rinnovo dei documenti la decisione presa dagli organi competenti. Chi non ha potuto riavere la cittadinanza ha dovuto scegliere tra il costruirsi una vita altrove oppure restare a vivere da apolide nel proprio villaggio d’origine, all’interno di un mondo perlopiù rurale composto da piccoli centri abitati mal collegati tra loro, spesso sprovvisti di asili, scuole, fognature, cinema e teatri, dove l’unica via per sopravvivere è vendere altrove e a basso costo i frutti della propria terra. Il lungo processo di denazionalizzazione della minoranza turca di Tracia ha inciso sulla convivenza tra le comunità residenti nella regione causando da una parte fenomeni di stigma sociale, repulsione e fobia verso la componente turca e dall’altro un complesso di inferiorità che colpisce psicologicamente le nuove generazioni che sentono il peso di una condizione minoritaria e non possono connotarsi secondo la propria identità e storia.
La religione conosciuta, le waqfs e il clero parallelo
L’identità e la quotidianità della comunità turca di Tracia non possono prescindere dalla religione, ambito che, oltre a definire l’esistenza della minoranza in Grecia, garantisce la sopravvivenza del millet greco-ortodosso a Istanbul. Secondo il criterio di reciprocità voluto dai trattati di Losanna e Atene, sia il patriarcato ortodosso di Istanbul che il clero musulmano di Tracia – la cui espressione più alta è data dalla presenza di due mufti, uno competente per la provincia di Xanthi e l’altro per le province di Rodopi ed Evros – godono della piena facoltà di esercizio del culto religioso e competenza nella gestione di tutti gli ambiti operativi riguardanti il clero e la comunità di fedeli. I mufti rappresentano la carica più importante della minoranza turca di Tracia; essi hanno facoltà di esercitare il potere giudiziario nelle dispute comunitarie, tra fedeli e in seno alle famiglie (matrimoni, divorzi, custodia di minori, testamento, situazioni debitorie, atti fiduciari) applicando la sharia.
Dal 1920 al 1985 la scelta del mufti è stata regolata da una legge che prevedeva che tale carica venisse direttamente eletta dai membri della comunità musulmana aventi diritto di voto e residenti nelle tre prefetture nelle quali i leader religiosi avrebbero operato. Atene organizzava le elezioni ma non interveniva nel processo. Questo sistema è venuto meno nel 1985 quando a seguito della morte del mufti di Rodopi, Hafiz Mustafa Huseyin, lo Stato greco intervenne per regolare la sua successione, incaricando un mufti ad interim. Quando quest’ultimo rassegnò le sue dimissioni, le autorità greche decisero di non indire nuove elezioni e optarono per la scelta diretta del mufti Metzo Tzemali.
Per la prima volta nella storia della minoranza, le autorità intervenivano nella scelta di una carica religiosa islamica e ciò creò un precedente che portò alla promulgazione della legge 1920/1991 che abolì la procedura legale per l’elezione dei mufti favorendo un meccanismo di scelta regolato dallo stato via decreto presidenziale e sotto stretta valutazione del ministero dell’Educazione. Tutto ciò avvenne nel momento in cui la comunità di Xanthi decideva di eleggere da sola il proprio mufti, nominando Mehmet Aga. Nello stesso periodo a Rodopi due parlamentari della minoranza indissero nuove elezioni disconoscendo di fatto l’esercizio del mufti imposto da Atene e dalle urne uscì il nome di Ibrahim Serif. Atene si rifiutò di ratificare l’elezione di Aga e al suo posto scelse Mehmet Sinikoglu; Aga si rifiutò di lasciare la carica e continuò a servire la comunità fino alla sua morte avvenuta nel 2006.
A partire da quei fatti si è venuta a creare la presenza di un doppio clero, uno riconosciuto legalmente e regolato dallo stato e l’altro scelto e legittimato dalla comunità. In questa situazione, che dura da oltre trent’anni, accade che i mufti eletti dallo stato si trovino sistematicamente osteggiati dalla comunità, impossibilitati a guidare la preghiera nelle moschee, partecipare ai funerali oppure parlare agli eventi organizzati nei villaggi. Di contro, i mufti eletti dal popolo non possono esercitare alcun tipo di potere o dare effetto legale a tutte le materie di competenza, rischiando ammende e pene detentive poiché non riconosciuti dalle autorità.
Nell’ottobre del 1996 Ibrahim Serif fu condannato a sei mesi di detenzione – pena convertita in una multa – con l’accusa di aver usurpato l’ufficio di una religione conosciuta. Serif fece ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha dichiarato che la Grecia aveva violato l’art. 9 relativo al diritto e alle libertà religiose e che era tenuta a versare a Serif una compensazione di 2,7 milioni di dracme (circa 8mila euro). Nonostante la condanna europea, Atene ha proseguito la sua politica adducendo al fatto che, oltre al ministero del Culto, il mufti ha facoltà di esercizio del potere giudiziale e per questo, anche questa carica – come il resto dei giudici del paese – deve essere nominata dallo stato.
Le autorità greche sostengono di non voler in alcun modo favorire e tollerare situazioni di patronage politico e che la presenza dello stato nella regolamentazione e gestione del clero religioso è stata riscontrata anche in realtà islamiche come Egitto, Turchia e Arabia Saudita. Il controllo statale incide anche sulla scelta degli imam e sul loro invio presso le moschee della regione. Nel 2007, in occasione del reclutamento di 240 imam, è stata promulgata una legge che ha conferito a un comitato, composto da ufficiali cristiano-ortodossi che agisce sotto il mandato del mufti incaricato dallo stato, il potere di selezione e nomina di queste figure. Per placare le proteste e le crescenti tensioni scaturite dal provvedimento, la legge è stata in seguito modificata mediante l’inserimento di tre musulmani nel comitato di valutazione.
Un altro problema connesso con la sfera religiosa riguarda l’annosa questione dell’amministrazione delle waqfs, le fondazioni caritatevoli e religiose che gestiscono i beni storici, culturali e il patrimonio religioso della minoranza turca di Tracia. Questi enti da sempre ricevono donazioni di ogni tipo da parte dei fedeli con lo scopo di sostenere materialmente i bisognosi, prendersi cura degli aspetti religiosi e rafforzare il sistema educativo delle scuole minoritarie. Nel 2008 una nuova legge sull’amministrazione delle waqfs ha imposto un complesso meccanismo nel quale la gran parte del potere decisionale ricade sulle più alte cariche statali presenti nella regione e sui mufti eletti dallo stato. Il nuovo sistema ha tolto la centralità della gestione comunitaria delle waqfs con il risultato che i membri della minoranza non possono indicare i progetti a beneficio comunitario, come la manutenzione di scuole e moschee, né tantomeno richiedere fondi.
Di tutte le “religioni conosciute” in Grecia (termine legale per definire islam, ebraismo e cristianesimo ortodosso e cattolico), l’islam è l’unica che a oggi non ha un clero ufficiale eletto in modo indipendente, mentre invece in Turchia il Patriarcato greco di Istanbul procede regolarmente con le elezioni del proprio clero mediante il Sinodo permanente dei Vescovi Metropolitani.
Le scuole minoritarie e la questione educativa
Secondo il Trattato di Losanna e gli accordi culturali siglati da Grecia e Turchia nel 1951 e nel 1968, la comunità turca della Tracia occidentale poteva stabilire e gestire le scuole minoritarie a proprie spese e con ampia autonomia in termini educativi e formativi. Durante gli anni Cinquanta la partecipazione statale era minima e le scuole venivano gestite da consigli di istituto eletti dai genitori o dai comitati delle waqfs, i quali sceglievano sia i programmi che gli insegnanti. La Turchia si incaricò di realizzare e distribuire i libri di testo per la minoranza turca della Tracia occidentale, seguendo gli accorgimenti concordati con Atene.
Il ministero dell’Educazione di Ankara era responsabile per la formazione e l’invio di docenti per le scuole minoritarie in Grecia, mentre Atene gestiva i percorsi di studio in greco da svolgere all’interno delle scuole primarie e secondarie minoritarie. Con il passare degli anni Atene ha preso il controllo della gestione economica delle scuole, coprendo i costi per l’infrastruttura, le spese operative e i salari del personale ad eccezione dei curriculum dei docenti inviati dalla Turchia che erano a carico delle famiglie. Con l’avvento della Dittatura dei Colonnelli ci fu un cambio drastico sia nelle relazioni con Ankara, sia nella gestione dell’educazione all’interno della comunità turca di Tracia.
Nel 1968 venne istituita l’Accademia pedagogica speciale di Salonicco (Epath) per la formazione dei docenti per le scuole minoritarie. Lo scopo di questo ente statale – i cui titoli di studio non erano equipollenti a quelli erogati dalle facoltà di Scienze della formazione in ambito nazionale – era formare, in soli due anni di studio, dei professionisti locali per ridurre l’ingresso di docenti in arrivo dalla Turchia. A partire dal 1977, una legge nazionale diede la priorità di assunzione ai graduati Epath rispetto ai docenti turchi. A seguito della crisi cipriota venne impedita l’importazione di libri dalla Turchia e tutti i testi scolastici per la minoranza turca vennero realizzati ad Atene, non senza problematiche di tiratura, distribuzione e boicottaggio da parte delle famiglie turche che, temendo il rischio assimilazione, decisero di fotocopiare e usare i vecchi libri realizzati in Turchia.
Tali cambiamenti causarono una serie di problematiche che ebbero un impatto catastrofico sulla qualità del servizio erogato nelle scuole minoritarie e il conseguente aumento dei tassi di dispersione scolastica in seno alla minoranza. L’Epath fu chiuso definitivamente nel 2002 e l’Istituto greco di pedagogia diede di nuovo il via libera all’importazione di libri di testo realizzati in Turchia. Oggi le scuole minoritarie dispongono di un programma bilingue che prevede l’apprendimento in turco dei corsi di lingua turca, matematica, scienze, religione, musica, educazione artistica, mentre il greco viene utilizzato sia per i corsi di lingua greca, storia, geografia, educazione civica e inglese che per tutti gli aspetti burocratico-amministrativi nonché la relazione tra famiglie e corpo docente.
Per evitare fenomeni quali l’abbandono o il proseguo degli studi in Turchia, Atene ha stabilito una quota (0,5%) di accesso garantito degli studenti minoritari alle università statali e grazie ai fondi strutturali europei ha lanciato nel 2008 il Programma educativo per i minori musulmani (Pem) con lo scopo di rafforzare le competenze linguistiche degli studenti e delle madri così che esse possano valutare il lavoro svolto dai figli e relazionarsi con i docenti delle materie in lingua greca. Queste aperture devono però fare i conti con i tagli governativi che, a partire dal 2010, hanno portato alla chiusura e all’accorpamento di tutte le scuole nazionali con meno di nove studenti; ciò ha portato alla chiusura definitiva di 70 scuole elementari in Tracia occidentale senza che si tenesse conto delle distanze tra i villaggi, la carenza di un servizio di trasporto pubblico adeguato nonché le problematiche di tipo socioeconomico.
Per ciò che riguarda l’istruzione media e superiore, nella provincia di Rodopi, dove la minoranza turca rappresenta il 55% della popolazione locale, esiste solo una scuola minoritaria a fronte delle 23 scuole statali. Nella provincia di Xanthi (dove il 45% popolazione è di etnia turca) esiste una sola scuola minoritaria contro le 36 statali mentre nella provincia di Evros (10%) non esiste alcuna scuola secondaria che possa accogliere i minori della comunità. Se le scuole minoritarie vivono un’epoca incerta, anche le madrasa non se la passano bene. Esistono due sole scuole religiose nella regione – una a Komotini e l’altra a Xanthi – che dal 1998 godono dello status di scuola secondaria.
Qui vengono impartite lezioni in greco, arabo, turco e inglese, ma negli ultimi anni si è assistito a una continua riduzione degli insegnamenti in lingua turca e araba al punto che nel 2018 gli studenti di Komotini hanno organizzato un boicottaggio in segno di protesta. Infine, nonostante l’elevata domanda espressa dalla minoranza e le raccomandazioni degli organismi internazionali, ad oggi in Tracia non esistono asili bilingue. Molte famiglie sono riluttanti a inviare i propri figli negli asili pubblici poiché temono che essi perdano la loro identità linguistica e culturale. Dal 2017 è attivo, su quattordici asili della regione, un programma pilota che vede due insegnanti presenti nelle classi, uno di lingua greca e l’altro di lingua turca o pomak.
Politica, media e stigma sociale
Nonostante la presenza di esponenti comunitari nei partiti Pasok (Movimento Socialista Panellenico) e Syriza (Coalizione della Sinistra Radicale – Alleanza Progressista), la minoranza turca di Tracia non è adeguatamente rappresentata nelle istituzioni pubbliche e politiche; ciò è anche dovuto all’impossibilità di un partito che sia espressione della minoranza di superare la soglia di sbarramento del 3% su scala nazionale prevista per l’ingresso al parlamento greco. Oltre alla mancanza di rappresentanza politica, la minoranza deve fare i conti con le crescenti problematiche legate ai media e all’informazione. Con la promulgazione della legge sulle licenze dei media (2007) che prevede il versamento di un ingente deposito di garanzia (30-100mila euro), l’obbligo di avere tra i 5 e i 20 dipendenti in organico e un palinsesto non-stop, molte stazioni radiofoniche e giornali della minoranza hanno chiuso o sono a rischio chiusura. I giornali sopravvissuti Gündem Gazetesi, Millet, Birlik hanno fatto i conti con fenomeni di censura a livello locale, multe onerose, diffamazione via social e azioni intimidatorie da parte di personaggi vicini alla galassia ultranazionalista di Alba Dorata.
L’Abttf, l’Europeada e il calcio vietato
Il viaggio al cuore della minoranza turca musulmana della Tracia occidentale si conclude a Witten, una cittadina tedesca a una manciata di chilometri da Dortmund. Qui sorge il quartier generale della Abttf – la Federazione dei turchi di Tracia occidentale in Europa – l’ente apicale attivo dal 1988 che coordina 30 associazioni rappresentative della diaspora dei turchi di Tracia in Europa. La Ong presieduta da Halit Habipoglu ha uffici a Bruxelles e Atene, gode di uno status speciale in seno al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc), è in rete con il gruppo parlamentare europeo Efa ed è membro della Piattaforma per i diritti fondamentali (Frp) e dell’Unione federale delle nazionalità europee (Fuen). Non essendoci associazioni legalmente attive sul territorio greco, buona parte delle rivendicazioni in materia di diritti, identità e miglioramento delle condizioni di vita della minoranza turca di Tracia dipendono dalle attività della Abttf.
A tale scopo, l’organizzazione opera con in rete con le diaspore per reperire fondi e donazioni da investire nella regione sotto forma di sostegno diretto e attività culturali. Per ciò che riguarda l’attività in ambito internazionale, la Abttf si prodiga con il fine ultimo di rendere nota e ben visibile l’esistenza, la storia e gli sforzi di minoranza autoctona poco conosciuta ma bisognosa di sostegno. Tra le varie azioni che hanno portato un’ampia risonanza mediatica e fatto conoscere la Tracia occidentale in Europa e nel mondo c’è la creazione della Nazionale di calcio della Bati Trakya e la sua partecipazione all’Europeada 2012, l’europeo di calcio delle minoranze etnico-linguistiche organizzato dal Fuen in Lusazia.
In quell’occasione è stata allestita una squadra per metà composta da atleti della diaspora che giocavano regolarmente nel torneo annuale Dr Sadik (il torneo di calcio organizzato in Germania dalla Abttf) e per metà da giovani in arrivo dalla Tracia che giocavano informalmente nella squadra dalla XTU. Da quando l’Unione Turca di Xanthi è stata dichiarata illegale, la sua squadra non ha più potuto iscriversi al sistema calcistico greco. La squadra della XTU ha proseguito la sua attività disputando amichevoli in Grecia oppure partecipando a tornei in Bulgaria e Germania. Grazie al Fuen e all’Europeada, un gruppo di giovani ha avuto modo di andare in Germania, relazionarsi con altre minoranze europee e far conoscere la storia del proprio popolo e della XTU (durante l’Europeada, la nazionale della Bati Trakya ha scelto di disputare una partita vestendo la maglia della XTU al posto della divisa della Abttf).
Inserita nel gruppo C insieme alle selezioni dei croati di Serbia, i ladini e frisoni del Nord, la nazionale della Bati Trakya è riuscita a cogliere un solo pareggio (1-1 contro i Ladins), ottenendo il dodicesimo posto finale nell’Europeo. Terminato il torneo, il progetto della nazionale della Bati Trakya è stato messo in stand-by dalla Abttf che nel frattempo ha dovuto impiegare le proprie risorse per sostenere tutte le cause legali attive in Grecia, specialmente quelle che imputano all’organizzazione di fomentare nazionalismo turco e separatismo. Come l’Abttf, altre associazioni culturali e sportive stanno oggi vivendo tempi duri con le autorità greche.
Negli ultimi mesi, il Club dei tifosi del Fenerbahçe della Tracia occidentale, da poco costituitosi come associazione sportiva e culturale, è a rischio di scioglimento legale per il solo fatto di menzionare il nome della regione in turco. Gli associati e i tifosi che grazie al fan club possono frequentare i locali dell’associazione, vedere le partite in TV oppure viaggiare alla volta di Kadıköyper vedere i gialloblù del Fener (l’associazione ha acquistato cento abbonamenti stagionali che vengono messi a disposizione della comunità a un prezzo calmierato. Una parte dei proventi viene reinvestita in opere sociali per i bisognosi), rischiano di perdere tutto da un giorno all’altro con il rischio di proseguire informalmente tra mille problemi. Se ciò dovesse accadere si tratterebbe dell’ennesimo colpo a una comunità che non chiede altro che vivere nel rispetto dei propri diritti, da cittadini greci.
*Specialista di Welfare di Comunità e Restorative Justice, lavora al servizio di enti del terzo settore italiani ed esteri. Marsiglia, Tiraspol, Belize City e Macao sono i suoi porti sicuri. È fondatore del progetto socioculturale Calci: Comunità Resilienti, un museo itinerante che racconta storie di calcio e di sociale dal mondo attraverso simboli di calcio. È autore per la rivista Zeta Vision e ha collaborato con la rivista Linea Mediana.