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A partire dal settembre 2016 il governo polacco, guidato dal partito conservatore PiS (Diritto e giustizia), ha avviato una serie di tentativi per introdurre nuove limitazioni all’aborto, tentativi sfociati nell’ottobre 2020 nella dichiarazione di incostituzionalità dell’interruzione volontaria per gravi malformazioni del feto e, quindi, nell’adozione di una legge che consente l’aborto solo in caso di pericolo di vita o grave pericolo per la salute della donna. Le proposte di legge e la sentenza della Corte costituzionale hanno incontrato, però, la tenace opposizione del movimento pro-choice, che è sceso in piazza con alcune tra le manifestazioni più partecipate nella storia della Polonia indipendente. Nel suo libro Aborto senza frontiere, il docente di lingua polacca Alessandro Ajres racconta la lotta delle donne polacche attraverso il suo linguaggio, i riferimenti letterari e artistici.
L’immaginario simbolico delle proteste
Talvolta si sente dire che l’azione di protestare sia qualcosa di “semplice” perché non si deve proporre qualcosa di differente o individuare una nuova visione del mondo: basta dire no. Su questo aspetto la lotta delle donne polacche dal 2016 al 2021 – periodo in cui il movimento è stato attivo, alternando fasi di interruzione a momenti di esplosione – al contrario ha mostrato di non voler solo reclamare l’eliminazione di quella specifica riforma, ben consapevole degli effetti pratici drammatici che avrebbe avuto (l’aborto per malformazioni fetali, infatti, del caso che costituiva la giustificazione per il 99% degli aborti praticati legalmente ogni anno).
Il movimento, infatti, si è da subito posto come una visione del mondo, della famiglia e della nazione del tutto alternativa a quella fornita dal PiS e, più in generale, dall’universo simbolico nazional-conservatore e clericale. Lo ha fatto riempendo i cartelli, detti transparenty, con riferimenti alla cultura letteraria polacca e alla filosofia europea, ma anche collegandosi ai movimenti di protesta che negli ultimi anni hanno coinvolto luoghi come Hong Kong, l’Ucraina e l’America Latina.
Riappriopriarsi del linguaggio
Questo processo di riappropriazione dello spazio politico e simbolico si è avvalso anche di un linguaggio specifico, giovanile e carico di volgarismi. Lo slogan wypierdalać (vaffanculo) diventa quindi frutto del processo che l’autore – citando il docente di letteratura presso l’università di Cracovia Michał Rusinek – definisce demenalizacja, ossia l’entrata in scena da parte di coloro – i menel – che vivono ai margini della società. Il linguaggio volgare e pieno di anglicismi, così come di riferimenti al mondo dei fumetti e delle serie televisive, è frutto della vasta partecipazione di giovani al movimento di protesta ed è funzionale a tracciare un confine netto tra un “noi” e un “loro”, tra due visioni del mondo appunto.
Nel portare le proprie istanze in piazza, il movimento ha cercato di fornire un nuovo significato a idee generalmente retaggio dell’immaginario conservatore e religioso, come i concetti di spazio sacro e di nazione. Luogo sacro e inviolabile diventa l’utero, la vulva e più in generale il corpo della donna, rappresentato in mille modi nelle manifestazioni per farlo uscire dal senso di vergogna e stigma; la nazione, invece, si allarga per diventare spazio collettivo che riconosce e tutela i microcosmi di luoghi sacri e inviolabili che la compongono, riempiendola di voci e forme.
Fondamentale per decostruire il patriarcato diventa, in questo senso, anche la dichiarazione di continuità con il movimento femminista attivo nelle fasi storiche: la scelta degli ombrelli, infatti, rimanda alla scelta di questo strumento nell’agitazione delle suffragette nel 1918, e il nero è stato il colore del lutto portato dalla protesta silenziosa delle donne polacco contro la repressione zarista di metà Ottocento. Il contesto, infatti, è lo stesso, cercano di dirci i manifestanti: è una nuova spartizione nazionale perché, con la scelta di rendere sostanzialmente illegale l’aborto, il PiS ha scelto di dichiarare guerra non solo alla libertà di autodeterminazione delle donne e di tutte le soggettività non conformi al modello patriarcale (si pensi, ad esempio, alla comunità queer) ma anche alla stessa idea di democrazia, essendosi avvalso di un organo – la Corte costituzionale – considerato non più indipendente dall’esecutivo.
Uno dei maggiori pregi del libro è la scelta di focalizzarsi, oltre che sul linguaggio e i rimandi letterari e musicali, sul rapporto di reciproca influenza e stimolo tra le proteste e l’arte contemporanea. La scelta del meme come nuovo strumento artistico per veicolare contenuti (e, nello specifico, il messaggio dei manifestanti) e la sua diffusione nelle proteste è fondamentale per comprendere la capacità del movimento di raccogliere una partecipazione così vasta in una fascia della popolazione, quella giovanile, generalmente poco interessata alle vicende politiche. Non si tratta solo di comprendere l’evoluzione del linguaggio e dell’arte satirica in chiave postmoderna, ma di afferrare uno di tanti volti di quello che viene definito artivismo. Con questo termine, infatti, si intende un movimento artistico apertamente e orgogliosamente militante che riconosce come fine del proprio lavoro di artista non l’opera in sé, ma la stessa azione creatrice, cercando di coinvolgere un numero più ampio possibile di nuovi artivisti per alimentare il dibattito su temi di rilevanza sociale, come il tema dell’aborto e della parità di genere. Il meme, in questa prospettiva, è un mezzo per coinvolgere una vasta platea di destinatari, nato per essere diffuso ripetutamente fino a sfuggire al proprio stesso autore. Nell’artivismo, infatti, il messaggero è solo un veicolo per creare nuova azione.
Costruendo connessioni tra arte, linguaggi, mitologia e politica, il volume Aborto senza frontiere è una lettura che, sebbene a tratti un po’ didascalica, rivela il potenziale creativo e il radicamento storico-culturale di un movimento di contestazione politica senza precedenti nella storia polacca.
Aborto senza frontiere, Alessandro Ajres, prefazione di Helena Janeczek, Rosenberg & Sellier, 2022
Laureata in giurisprudenza, nel 2016 ha trascorso un semestre all'Università di Cracovia. Si interessa in particolare di diritti delle minoranze, stato di diritto, cultura ebraica, femminismi e movimenti lgbt+ nell'Europa centro-orientale. Di questi e altri temi ha scritto per East Journal e Diritto Consenso.