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Alexandrina Vanke: “la Russia attrae sempre più attenzione, ma pubblicare ricerche affidabili in Occidente è veramente arduo”

Quando ho preso in mano il libro The Urban Life of Workers in Post-Soviet Russia (“La vita urbana dei lavoratori nella Russia post-sovietica”) di Alexandrina Vanke e ho iniziato a leggere le prime pagine, ho sentito un senso di sollievo. Ho capito che si trattava di un volume prezioso sia per l’analisi illuminante che offre sulla società russa contemporanea, sia per il momento storico, in cui ci troviamo e per cui siamo frequentemente esposti a messaggi mediatici che tendono a rappresentare la Russia come una società perfettamente omogenea e dai contorni prevalentemente grigi.

Chiedere alla sociologa russa di parlarci del suo libro è stato un passo più che naturale e sono felice di poter condividere coi lettori l’intervista concessami dall’autrice, che nel 2021 ha conseguito un dottorato di ricerca all’Università di Manchester, ma che nel momento della stesura dell’intervista si trovava in Russia.

Alexandrina Vanke si è laureata nel 2009 all’Università statale russa “Lomonosov” di Mosca. Nel 2021 ha conseguito il dottorato di ricerca in Sociologia presso l’Università di Manchester, nel Regno Unito. La sua tesi di dottorato ha analizzato le esperienze significative vissute dalle comunità operaie in alcune città post-industriali russe. Attualmente ricopre la posizione di ricercatrice presso il Centro federale di sociologia teorica e applicata dell’Accademia russa delle Scienze. Precedentemente è stata altresì ricercatrice associata per alcuni progetti tra cui quello intitolato Deindustrialization and the Politics of Our Time, promosso dall’università Concordia University di Montréal in Canada.

Alexandrina Vanke, quando hai iniziato a scrivere il libro sulla vita urbana dei lavoratori nella Russia post-sovietica? Quando hai deciso di concentrare gli sforzi di ricerca su questo tema e perché?

Ho iniziato a sviluppare i primi capitoli del saggio nell’estate del 2021 a Manchester dopo l’anno di lockdown causato dalla pandemia del Covid-19. Ho avuto la possibilità di firmare il contratto di pubblicazione con la Manchester University Press mentre mi trovavo a Mosca, un mese prima dello scoppio della guerra.

Questo drammatico evento ha interrotto di colpo la stesura del libro. Oltre a dover fare i conti con le emozioni, avevo bisogno di capire come riformulare l’idea iniziale di vita e lotta dei lavoratori nel nuovo contesto, influenzato, appunto, dalla guerra. Ho provato ad analizzare i dati etnografici raccolti tra il 2010 e la primavera del 2022 da un angolo retrospettivo, cercando nel contempo di tracciare la possibile evoluzione futura delle cose.

Possiedo un interesse genuino, di lunga data, per le dimensioni affettive associate al concetto di classe sociale. Nel periodo tra il 2010 e il 2013 stavo esplorando il modo in cui gli operai e i colletti bianchi parlavano del loro corpo e della loro sessualità. È così che ho approcciato l’argomento per la prima volta. Dopodiché ho lavorato su una serie di progetti di ricerca sociale che consideravano i lavoratori da diversi punti di vista. Durante i suddetti progetti ho analizzato le rappresentazioni della classe operaia nei mass media russi, l’impegno dei lavoratori nella mobilità sociale ascendente e la loro vita quotidiana nei quartieri postindustriali.

Quali metodi hai scelto per condurre la ricerca?

Durante la ricerca ho utilizzato un approccio etnografico ispirato dall’arte d’avanguardia. Ho condotto delle analisi etnografiche sul campo, in due quartieri in via di deindustrializzazione, situati nelle periferie di Mosca ed Ekaterinburg. Gran parte dei lavoratori a cui mi sono rivolta ha accettato di collaborare attivamente al progetto. C’erano però anche delle persone che non si sono fidate, dicendosi sicure che le avrei rappresentate in modo stereotipato.

Questo problema si è verificato soprattutto a Ekaterinburg, dove talvolta ero percepita come un’estranea. Detto ciò, in entrambe le circostanze mi sono avvalsa dei metodi tipici dell’osservazione etnografica. Parallelamente ho condotto delle interviste che hanno compreso dei lati creativi. Mi spiego. Durante le nostre conversazioni, ho chiesto ai partecipanti di rappresentare con dei disegni il loro quartiere e la società russa, per poi farmi raccontare i disegni che hanno prodotto per me. L’applicazione simultanea di metodi di ricerca classici e quelli artistici ha permesso ai partecipanti di esprimersi in maniera libera, creativa.

Le informazioni “multisensoriali”, raccolte con i suddetti metodi, mi hanno permesso in seguito di meglio rappresentare i loro diversi punti di vista nel libro. Mentre mi sono cimentata nell’analisi, ho potuto altresì attingere dall’immaginario dei posti, il che mi ha aiutato parecchio nell’intento di unire due luoghi distanti, sviluppando con coerenza l’analisi sulla vita quotidiana e la lotta dei lavoratori che abitano nei luoghi scelti.

Generazione Putin
Il Parco della Vittoria a Mosca (Meridiano 13/Martina Napolitano)
Ritieni che negli ambienti accademici sia oggi più facile o più difficile pubblicare un libro sulla Russia?

A partire dal 2022 in poi, l’interesse accademico per la Russia è aumentato notevolmente a livello globale. Ogni anno si contano centinaia di nuove pubblicazioni che riguardano il paese. C’è però un problema di base su cui vale la pena soffermarsi: la maggior parte delle analisi accademiche sono allineate in maniera sistematica con l’agenda dei media egemonici occidentali. E non è solo questo il problema. Gli “scienziati sociali” che sono ancora in grado di svolgere ricerche etnografiche e qualitative nella Russia in guerra, si scontrano spesso con la difficoltà di poter ottenere dei contratti di pubblicazione con le case editrici occidentali.

Questa difficoltà è stata ben raccontata da Jeremy Morris in relazione al suo saggio Everyday politics in Russia: from resentment to resistance (“La politica quotidiana in Russia: dal risentimento alla resistenza”). Come ha raccontato nel suo blog, egli ha approcciato più di dieci case editrici prima di trovarne una che fosse disposta a pubblicarlo. Tra l’altro, il saggio è a dir poco illuminante: basandosi su dati etnografici particolarmente ricchi, offre spiegazioni alternative sulla società russa, che non sono per nulla scontate.

Nel libro The Urban Life of Workers in Post-Soviet Russia cerchi invece di fornire delle spiegazioni utili e informative su come la gente comune, appartenente alla classe operaia, è impegnata quotidianamente per assicurarsi una propria dignità. Potresti riassumere gli argomenti salienti contenuti nella tua opera?

Il saggio sostiene la tesi secondo cui i lavoratori russi e una sostanziale percentuale di persone comuni sono attivamente impegnati nella lotta quotidiana sotto il neo-autoritarismo neoliberale che abitualmente tende a reprimere le proteste aperte. Col termine “lotta quotidiana” faccio riferimento a un complesso novero di azioni pratiche che emergono all’interno delle reti orizzontali di cooperazione e che mirano a risolvere numerosi problemi di vita, generati dal regime politico russo. Questo argomento offre lo spunto ideale per estendere il significato di lotta di classe dal suo senso classico, riferito ai conflitti di lavoro verso azioni pratiche volte a migliorare la convivenza dal basso verso l’alto nei luoghi di residenza e nei quartieri dei lavoratori.

Nel saggio sostengo che la lotta quotidiana è molto concreta e pratica, ed è guidata sia dall’immaginario di classe sia dal senso di disuguaglianza, che accomunano molte persone comuni nella Russia contemporanea. La lotta quotidiana si realizza, peraltro, nelle attività pratiche. Tra queste possiamo annoverare la manutenzione popolare e la pulizia autonoma delle infrastrutture locali; la decorazione di cortili e la coltivazione di piccoli giardini nei pressi degli edifici popolari; nonché l’impegno in attività economiche alternative, tra cui la gestione di cooperative e persino il rifiuto cosciente a pagare le tasse. Nel caso della Russia, le battaglie quotidiane esemplificano le forme creative di una duplice resistenza: da un lato la resistenza al neoliberalismo e, dall’altro, contro il neo-autoritarismo.

Detto ciò, riconosco il fatto che rimane aperta la questione in merito all’efficacia di queste lotte e la loro capacità di portare a dei cambiamenti effettivi sul piano macro.

Nella tua ricerca sottolinei come il concetto di “classe” in Russia sia compreso e declinato in maniera ben diversa rispetto al suo utilizzo nel contesto culturale e politico occidentale. Ci sono delle conseguenze pratiche di questa differente concezione?

Rispetto alle società tipiche dell’Europa occidentale, caratterizzate da gerarchie sociali stabili, in Russia – come del resto in altre società post-socialiste – le classi sono elementi di una struttura sociale in evoluzione, che è tuttora in fase di (tras)formazione. La società sovietica era nominalmente composta dalla classe operaia, dall’intellighenzia e dalla nomenclatura, cioè dalla burocrazia. C’è un dibattito aperto riguardo a quale tipo di struttura sociale abbia oggi la Russia.

Personalmente considero la società russa contemporanea come una società costituita da una varietà di gruppi stratificati, tra cui un gruppo veramente numeroso di lavoratori e persone comuni, la classe media con la propria cultura, certezze economiche e un buon grado di “sicurezza” economica, e le élite suddivise in rappresentanti della burocrazia politica di alto rango e gli oligarchi. Come spiego nel libro, la classe operaia costituisce un terzo della popolazione attiva russa. Secondo la ricerca Russian Longitudinal Monitoring Survey (Indagine di monitoraggio longitudinale russa), si tratta del gruppo più cospicuo della società.

Permettimi di sottolineare un altro punto rilevante. Quello, cioè, sul lato affettivo che in Russia possiede il concetto di “classe”. I partecipanti alla mia ricerca potrebbero non essersi identificati con nessuna classe ma aver espresso una varietà di emozioni sociali, dalla gelosia all’indignazione, riguardo alle disuguaglianze e alle ingiustizie sociali vissute nei luoghi di residenza, sul lavoro e nella società. In Russia la concezione affettiva di “classe” è radicata in un contesto concettuale che comprende un senso (d’appartenenza) del luogo, la disuguaglianza e la giustizia sociale.

Infine, da un punto di vista sociologico è indubbiamente interessante constatare come la guerra in Ucraina stia cambiando la struttura sociale e nel contempo stia influenzando la percezione dei lavoratori e della gente comune riguardo le loro posizioni sociali e di classe. Temo però che gli studiosi sociali potranno comprendere le conseguenze della guerra sulla ridefinizione di classe solo a posteriori, ovvero in un secondo momento.

Piazza Majakovskij a Mosca
Piazza Majakovskij (Triumfal’naja) a Mosca (Wikimedia Commons)
Come spieghi il consenso e la forza di cui gode il Presidente russo Vladimir Putin nel paese? Ha davvero un sostegno massiccio da parte dei cittadini, oppure ci sono degli elementi che ci sfuggono, per esempio delle critiche di cui in Europa non siamo informati?

Secondo il sondaggio popolare dell’ottobre 2024 condotto dal Levada Centre, almeno il 62% degli intervistati avrebbe sostenuto Vladimir Putin alle elezioni presidenziali se si fossero svolte nella settimana del sondaggio. Esiste a tal proposito un acceso dibattito tra gli studiosi sociali se è possibile affidarsi ii sondaggi in un paese che si trova in guerra, con un regime neoliberista e neo-autoritario, per quanto le domande del sondaggio possano predefinire le risposte degli intervistati e quindi riprodurre i discorsi egemonici dei media nazionali. In questo senso i sondaggi di massa tendenzialmente renderebbero i leader politici potenti a cospetto dell’opinione pubblica.

Nella mia veste di sociologa qualitativa, non dispongo purtroppo dei dati quantitativi affidabili di cui avrei bisogno per affrontare obiettivamente la questione del sostegno a Putin da parte dei cittadini russi. Eppure, basandomi sulla mia ricerca etnografica, posso affermare che gli interlocutori più anziani tendono a sostenere più spesso Putin perché, grazie alle prestazioni pensionistiche che ricevono, in media possono permettersi una vita modesta ma stabile. Viceversa, i più giovani partecipanti della ricerca e quelli di mezza età erano piuttosto critici nei confronti della sua leadership politica: constatavano una crescente polarizzazione della società e una diminuzione delle loro possibilità di avere una buona qualità di vita a differenza della generazione precedente.

Ciò segnala, a mio avviso, una divisione generazionale nella società russa e spiega, perlomeno in parte, perché gli anziani tendono a sostenere le ragioni della guerra in Ucraina con più convinzione rispetto ai giovani. Ma questo non significa che tutte le persone anziane sostengano Putin, né tanto meno che tutti i giovani siano contrari.

Il trend ci mostra invece che la crescente frammentazione sociale, atomizzazione della società e la repressione generate dal neo-autoritarismo neoliberista assicurano un alto grado di resilienza al regime russo nonostante le sanzioni economiche che sono state imposte alla Russia nel contesto di guerra. Il modo con cui tutto ciò influenzerà il futuro della società russa deve essere necessariamente oggetto di ulteriori riflessioni e studi scientifici.

Per concludere, nell’ultima domanda mi permetto di passare dalla politica all’arte? Quale ruolo può svolgere l’arte nella promozione dei diritti dei cittadini in Russia e per accrescerne la consapevolezza?

In Russia lo spazio per un’espressione politica aperta è limitato. Alcuni artisti, che mantengono una posizione critica, sono in grado – attraverso le loro opere d’arte – di rompere gli stereotipi che riguardano la gente comune. Questi artisti operano per lo più nei settori alternativi e sperimentali. Tra loro vorrei citare Victoria Lomasko, un’artista in esilio che attualmente risiede in Europa. È l’autrice di Altre Russie e di altri due libri interessanti. Nel corso degli ultimi decenni ha creato numerose opere d’arte che documentano in dettaglio i ritratti, i problemi e la resistenza delle persone russe comuni, invisibili tanto ai media occidentali quanto a quelli russi.

Tra i tipici “eroi comuni” di Lomasko ci sono, per esempio, i camionisti in sciopero, i lavoratori migranti sfruttati e le prostitute, oppure i prigionieri politici e i partecipanti a manifestazioni di strada, e, per finire, i prigionieri non politici, i giudici e gli attivisti religiosi che hanno delle opinioni e convinzioni forti. Nelle proprie opere, Lomasko riesce a cogliere questa diversità rispetto all’ordinario con l’ausilio di arti documentative e monumentali, di reportage grafici e dei fumetti. Come si può chiaramente osservare, il suo stile artistico è molto cambiato da quando ha dovuto lasciare la Russia. Ha concentrato il proprio focus sulle sfide globali con cui le persone comuni di tutto il mondo devono oggi fare i conti.

Ti ringrazio della disponibilità, augurandoti di continuare, con le tue ricerche, a ispirare chi nutre il desiderio di comprendere in maniera approfondita una società complessa e interessante come lo è quella russa.


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Mitja Stefancic
Mitja Stefancic

Nato a Trieste, dopo gli studi conseguiti all’Università dell’Essex e all’Università di Cambridge, è stato cultore in Economia politica all’Università di Trieste. È stato co-redattore della rivista online di economia “WEA Commentaries” sino alla sua ultima uscita. Si interessa di economia, sociologia e nel tempo libero ha seguito regolarmente il basket europeo ed in particolare quello dell’ex-Jugoslavia nel corso degli ultimi anni. Ha tradotto per vari enti ed istituzioni atti e testi dallo sloveno all’italiano e dall’italiano allo sloveno.