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Status di candidati per Moldavia e Ucraina. Tutti gli altri al palo. Ma così il processo di allargamento Ue rischia di naufragare.
Quella che va a concludersi è una delle settimane peggiori per l’allargamento dell’Ue e per le speranze dei Balcani occidentali. È paradossale perché la terribile guerra in Ucraina sembrava aver aperto le porte per ragionare nuovamente in modo politico sul futuro del Continente, lasciando sperare nel superamento dei tatticismi sterili in chiave prettamente nazionale, che, assieme a regole europee che si è incapaci di riformare, stanno portando allo sgretolarsi del futuro dell’Unione.
Le recenti raccomandazioni della Commissione europea venerdì scorso e le decisioni del Consiglio dell’Ue di ieri e oggi, hanno affondato ogni speranza. Qui non si vuole criticare l’opportuna apertura di credito nei confronti di Ucraina e Moldavia. Ma l’aver concesso la candidatura all’Ue a questi due paesi – scelta chiaramente politica e non certo basata su elementi tecnici – senza utilizzare gli stessi parametri con tutti gli altri paesi coinvolti nel processo di allargamento rappresenta l’ennesima sconfitta per ogni coerenza europea. E rischia di allontanare dall’Ue in modo definitivo non solo i governi dell’area, ma soprattutto i loro cittadini.
Già venerdì scorso le parole del Commissario all’allargamento Olivér Várhelyi ci erano parse inopportune. Ad una domanda sul perché non veniva concesso lo status di candidato alla Bosnia Erzegovina il Commissario ha risposto: “La Bosnia Erzegovina ha un proprio percorso avviato, che si basa su condizioni di merito e richieste ad ogni paese. La Bosnia Erzegovina deve soddisfare quattordici priorità e noi stiamo ancora aspettando che il paese le soddisfi. Rinegoziare queste condizioni sarebbe come concedere uno sconto sul processo di allargamento, e noi non vogliamo farlo”.
Non si tratta di sconti ma di mantenere per tutti condizioni coerenti. Dal punto di vista tecnico a Ucraina e Moldavia sono stati concessi numerosi “sconti” e su temi quali stato di diritto e corruzione la loro situazione non è certo meglio di Albania, Macedonia del Nord o della stessa Bosnia Erzegovina.
Il membro della presidenza della Bosnia Erzegovina Šefik Džaferović poco prima del summit era partito con una disperata offensiva diplomatica. La mattina del 23 giugno ha avuto numerosi incontri con i leader dei paesi UE e con i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione. “Se il Consiglio europeo concederà lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldavia, anche la Bosnia Erzegovina dovrebbe ricevere lo status di candidato. Ho chiesto al presidente Michel di sostenere lo status di candidato per la Bosnia Erzegovina durante la sessione del Consiglio europeo”, ha detto Džaferović. Mentre al premier del Portogallo, il presidente della presidenza bosniaca ha ribadito che “se si concede lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldavia, cosa che accolgo con favore come decisione geopolitica, sarebbe ingiusto lasciare la Bosnia Erzegovina senza lo status di candidato”. Non è servito a nulla.
Vi è poi il capitolo Kosovo, che da anni aspetta la liberalizzazione dei visti. È un passo così rischioso per l’Ue? Si accetta di avviare un percorso concreto di adesione dell’Ucraina – quando per decenni la si è tenuta debitamente a distanza – paese in guerra di 45 milioni di abitanti e non si riesce a liberalizzare i visti con il Kosovo?
Ancora una volta sta dominando una politica di brevissimo raggio, scevra drammaticamente di ogni visione. Ad Ucraina e Moldavia viene concessa la candidatura prettamente in chiave anti-russa. E non perché viene riconosciuta la legittima richiesta dei loro cittadini di far parte del progetto europeo. È vero che in questi giorni è emersa chiara preoccupazione sia in seno al Consiglio che della Commissione sulla situazione che andava a crearsi. Ed imbarazzo. Messo a nudo dalla conferenza stampa in cui il presidente serbo Aleksandar Vučić, il premier macedone Dimitar Kovačevski e il presidente albanese Edi Rama sono sembrati essere in sintonia tra di loro molto più dei membri dell’UE. Forse lo hanno fatto con toni populistici, anche un po’ scherzosi e probabilmente anche con fini di politica interna, ma hanno dato un segnale di distensione e unità che all’Unione è mancato.
Dobbiamo giudicare i fatti e questi dicono che nel processo di allargamento si è continuato a tentennare se non a remare contro. Al Consiglio Ue – e purtroppo in parte anche alla Commissione – in questi anni di allargamento poco è interessato. Ucraina e Moldavia purtroppo hanno poco di che gioire. A chi interessa davvero che facciano parte del consesso europeo? Del resto, prima del 24 febbraio, l’interesse andava dal freddino all’assente. La guerra ha cambiato le cose? Probabilmente – date le decisioni prese – solo nella retorica.
A non cogliere buoni segnali neppure per i due nuovi candidati all’UE vi è anche chi da anni si occupa di allargamento e di politica estera europea. Florian Bieber, dell’Università di Graz – in un tweet senza equivoci ha scritto: “Questo non è certo il modo per mostrare a Ucraina e Moldavia che hanno un futuro nell’UE”. Gli ha fatto eco Gerald Knaus, direttore del think tank European Stability Initiative: “L’Ue dice ai Balcani no, no, no, no, no. Pessimo per l’Ue, preoccupante per Moldavia e Ucraina, ora paesi candidati in un processo che non porta da nessuna parte. Il destino dei Balcani occidentali e della Turchia sarà il loro stesso destino senza cambiamenti in UE”. Srđan Majstorović del Centro per le prospettive europee di Belgrado, ha dichiarato persino che “il Cremlino ha di che essere soddisfatto dal momento che i membri dell’Ue non sono stati in grado di garantire il consenso affinché tutti gli stati membri accettassero la realtà geopolitica tanto invocata, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ci si aspettava più comprensione politica”.
All’interno dell’Ue manca una visione. Vi è al momento solo tattica mascherata da tecnicismi. Le decisioni di questi giorni hanno squarciato il velo, con conseguenze imprevedibili ma su cui non si può essere ottimisti.