In un teso clima pre-elettorale, l’inizio dei negoziati di adesione per l’Ucraina (e forse Moldova) potrebbe concretizzarsi a breve. La conferenza intergovernativa che sancirebbe l’avvio dei negoziati, infatti, sembrerebbe prevista per il 25 giugno, alla vigilia del vertice del Consiglio europeo previsto per il 27-28 giugno nonché pochi giorni prima dell’inizio della presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea.
La conferenza è attesa dallo scorso dicembre, quando il Consiglio europeo ha rilasciato un parere positivo per l’apertura dei negoziati con Ucraina e Moldova. A marzo la Commissione Europea ha ultimato la bozza del quadro di negoziazione, che è tutt’ora al vaglio dei diplomatici dei paesi membri e che, se approvato all’unanimità, verrà presentato alla conferenza.
Ma l’unanimità non è in alcun modo scontata: all’incontro degli ambasciatori europei del 29 maggio scorso, l’Ungheria ha palesato l’intenzione di bloccare il processo di adesione dell’Ucraina (ma non della Moldova – che tuttavia potrebbe risentirne) sulla base di una lista di 11 istanze che Budapest ha rivolto a Kyiv in relazione alle minoranze nazionali nel paese. Il governo di Orbán ha infatti accusato il governo ucraino di atti discriminatori verso la minoranza ungherese (la terza del paese, concentrata principalmente nell’oblast’ della Transcarpazia), accuse rigettate dal governo di Kyiv.
Da dicembre scorso gli sforzi diplomatici di Ue e Belgio nello specifico (che detiene la presidenza di turno fino al 31 giugno) si sono concentrati per trovare una mediazione alle istanze di Budapest prima che subentri il semestre ungherese. Il timore, infatti, è che la presidenza del paese magiaro – che in quanto tale sarebbe responsabile per il funzionamento del Consiglio dell’Unione Europea e avrebbe diritto di definire temi e punti di discussione alle riunioni dei ministri – possa ostacolare o addirittura bloccare il processo di adesione dell’Ucraina.
Fattore Orbán
Ricompare quindi lo spettro del veto ungherese: Orbán, che già a dicembre aveva posto il veto sulla cosiddetta Ukraine Facility (un pacchetto di 50 miliardi di euro poi concesso lo scorso febbraio), sin dall’inizio ha ribadito la sua contrarietà al processo, sollevando dubbi sulle risorse della politica di coesione (di cui l’Ungheria è un beneficiario netto) e sulle politiche agricole comunitarie se Kyiv dovesse entrare nell’Unione. La posizione del leader di Fidesz, da molti considerato il “cavallo di Troia” degli interessi della Russia in Unione Europea, è vista come una strategia in risposta al congelamento di parte dei fondi di coesione imposto da Bruxelles per le violazioni dello stato di diritto.
Mentre l’accordo sugli 11 punti relativi alla minoranza linguistica ungherese potrebbe essere rimandato alla vigilia delle elezioni europee (o addirittura subito dopo, per evitare che diventi una questione elettorale), cresce la speranza che il governo di Orbán non sia intenzionato ad affrontare le pressioni politiche relative al processo di adesione dell’Ucraina durante la sua presidenza e possa quindi dare il via libera alla conferenza intergovernativa del 25 giugno.
Quadro negoziale: di cosa si tratta?
Il quadro negoziale stabilisce le linee guida e i principi per i negoziati di adesione per ogni paese che ottiene lo status di candidato e che deve allinearsi agli standard europei a livello di norme, stato di diritto e organi di gestione finanziaria. Un processo che, come insegna l’esperienza tutt’ora in corso dei Balcani Occidentali, può durare anni.
Il quadro negoziale è diviso in tre parti: principi che regolano i negoziati di adesione (vale a dire i criteri di Copenhagen); sostanza dei negoziati (ovvero le norme che costituiscono l’acquis da adottare); procedure negoziali (screening e benchmarking, in sostanza monitoraggio dei progressi e standard di riferimento).
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Il documento deve essere approvato all’unanimità e presentato dalla vigente presidenza del Consiglio dell’Unione Europea in una conferenza intergovernativa. Prima di allora, il testo non viene reso pubblico. Tuttavia, sembra chiaro che si tratterà della stessa struttura già adottata per la Macedonia del Nord e per l’Albania che seguirà la nuova metodologia per l’allargamento introdotta nel 2020.
In parallelo all’esame del quadro negoziale si svolge il processo di screening, ovvero il controllo della conformità della legislazione del paese candidato con quella dell’Ue, tutt’ora in corso da parte di Bruxelles. La speranza è quella di portare a termine lo screening (obiettivo ambizioso, dal momento che il processo in passato ha richiesto uno o due anni) prima dell’inizio della presidenza ungherese, anche se non si tratta di un requisito necessario all’avvio dei negoziati.
Elezioni europee in vista
Con ogni probabilità, giugno sarà un mese cruciale per l’allargamento europeo a est. Se gli sviluppi bellici sul territorio ucraino dettano la direzione dei prossimi mesi, le elezioni europee del 9 giugno non sono certamente meno importanti: il risultato delle urne andrà a cambiare sia la composizione del Parlamento europeo che, di conseguenza, la composizione della prossima Commissione europea.
L’eventualità di uno slittamento dei seggi di Strasburgo verso destra, infatti, potrebbe portare a una discontinuità con la posizione dell’Ue sull’integrazione europea dell’Ucraina. Mentre è probabile che questo non vada a impattare la concessione di aiuti finanziari, è possibile che le istanze estremiste, più sensibili verso gli interessi del Cremlino, abbiano più risonanza nei dibattiti nazionali e possano quindi incrinare il consenso generale verso il supporto a Kyiv.
Questo scenario potrebbe avere conseguenze sui negoziati, processo già di per sé complesso e lungo, tenendo l’Ucraina in una ulteriore fase di stallo.