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Ana Blandiana (classe 1942) è una tra le voci simbolo di un’epoca di rinascita e rinnovamento poetico nella storia letteraria di lingua rumena. Oltre che come poetessa, Blandiana è entrata a pieno titolo nella storia del paese anche per il suo impegno civico e sociale, che l’ha contraddistinta tanto in periodo di censura di Stato, quanto nella realtà seguita al regime di Nicolae Ceaușescu.
Esordisce giovanissima negli anni Sessanta, in un momento in cui una nuova generazione di autori, di cui lei fa parte, recupera consapevolmente la migliore tradizione letteraria dell’Ottocento e del primo Novecento, riallacciandosi soprattutto a quel gusto modernista che permette loro di defilarsi dalla retorica e dal realismo imposti nel canone ufficiale della Romania comunista (un fenomeno, quello del recupero “clandestino” della tradizione e del modernismo in particolare, che si riscontra in maniera trasversale negli anni Sessanta-Settanta in tutto il blocco oltre cortina, Unione Sovietica compresa). Nella poetica che Ana Blandiana fa propria fin dall’inizio della sua carriera poetica si ritrova questo rigetto di ogni artificio retorico, sostituito da un’attenzione che ricade tanto sulle dimensioni dell’io quanto sulle parole essenziali per esprimere queste stesse dimensioni.
Nel 1982 le viene conferito il prestigioso premio Herder dell’università di Vienna (destinato ad artisti e studiosi dell’Europa orientale che hanno contribuito alla comprensione culturale fra i paesi europei e alle loro relazioni pacifiche), cui seguirà, più recentemente, in Italia il premio internazionale Camaiore nel 2005 per la raccolta Un tempo gli alberi avevano occhi.
Questo settembre è stata invitata al festival Pordenonelegge per presentare il suo ultimo volume, curato e tradotto da Bruno Mazzoni, Variazioni su un tema dato (Donzelli editore), occasione in cui abbiamo avuto la possibilità di rivolgerle qualche domanda. Queste Variazioni – che lei stessa definisce “il più metafisico di tutti i miei libri” – raccolgono poesie e brevi prose composte dopo la morte del suo compagno di una vita, lo scrittore Romulus Rusan, nel dicembre 2016.
Proprio con il marito, che aveva sposato nel 1960 e con cui condivideva l’impegno civico, aveva promosso nel 1993 a Sighet l’istituzione di un Memoriale delle vittime del Comunismo e della Resistenza.
Ana Blandiana è in realtà uno pseudonimo [il vero nome della poetessa è Otilia Valeria Coman]. Da dove nasce questo nome?
Il motivo della scelta dello pseudonimo è stato semplicemente politico. Mio padre era in prigione [come spiega Mazzoni nella nota bio-bibliografica contenuta in Variazioni, Gheorghe Coman, professore di liceo e poi prete alla cattedrale ortodossa di Oradea, venne imprigionato con l’accusa di “complotto contro lo Stato”] e dunque non potevo pubblicare qualcosa con il suo, e mio, cognome. Questo nom de plume l’avevo trovato in realtà prima dell’idea di pubblicare qualcosa, al liceo in occasione di un concorso. Scelsi “Blandiana” perché è il nome di un antico castro romano, nonché paese di origine di mia madre. Ana invece fa rima con Blandiana, lo scelsi per quello. Nel momento in cui ho deciso di scrivere poesie ho adottato questo nome.
Il suo esordio è avvenuto in un periodo particolare della storia, anche letteraria, della Romania. Che atmosfera c’era negli anni Sessanta?
Nel 1964 tutto è cambiato in meglio. Fino a quell’anno c’era un severo stalinismo, poi è un giunto un periodo diverso, durato in tutto 7-8 anni, dal 1964 al 1972, un periodo che ho definito una volta come una radura soleggiata all’interno di un bosco buio. È iniziato dopo la dichiarazione d’indipendenza da Mosca nell’aprile 1964 e si è concluso con la visita di Ceaușescu in Cina, quando Ceaușescu scoprì il culto della personalità e si rese conto che non gli dispiaceva l’idea di poter essere un Dio. Si noti però che fu soprattutto sua moglie, Elena, a scoprire con quel viaggio che poteva avere un ruolo forte, così come lo aveva la moglie di Mao, e decise da allora di diventare lei l’anello forte della catena di comando.
La censura e il controllo hanno accompagnato la sua attività fin dall’inizio della sua carriera poetica. In uno dei prosimetri più emblematici della raccolta scrive:
Se avessimo come una volta microfoni dentro casa, i preposti all’ascolto mi considererebbero, di sicuro, matta, registrandomi mentre parlo con te di ogni sorta di cose, chiedendoti il parere, raccontandoti fatti accaduti, dicendoti ti amo, così, al presente, e buonanotte prima di spegnere la luce.
O, se alcuni di loro fossero dei novizi e non avessero saputo che te ne sei andato, il fatto che non mi rispondi gli parrebbe sospetto e supporrebbero che le pause della conversazione siano sostituite da segni affinché loro non possano capire.
La censura è stata una presenza continua, una nota continua, non mi immaginavo che un giorno avrei potuto scrivere senza censura. Non dubito che ci fosse anche qualche cosa di buono in questo perché il processo estetico della metafora, ad esempio, si muove parallelamente al bisogno di superare la censura.
Ci sono stati tre momenti in cui non ho avuto la possibilità di pubblicare, in cui il mio nome era vietato dagli organi di stampa del paese: il più lungo, quattro anni, è stato dopo la pubblicazione della mia prima poesia, dopo il mio debutto con lo pseudonimo; allora nella città dove andavo a scuola tutti i giornali scrissero che ero figlia di un nemico del popolo. Ho scoperto poi che c’era stata una circolare che chiedeva di parlare di me in questi termini. Ora questo testo è celebre, ma ho potuto leggerlo solo dopo il 1989 in Moldova, a grande distanza dalla mia città, quando venne pubblicato un libro di documenti desecretati; è una prova che il divieto sul mio nome era circolato in tutto il paese.
Visto il suo impegno civico costante, come si lega, a suo modo di vedere, la poesia a questo impegno, come si lega l’estetica all’etica?
Credo che la poesia non abbia nulla da guadagnare dall’ossessione etica. La poesia può andare oltre e avere il desiderio di esprimersi in modo semplice. L’ideale è scrivere senza pensare al destinatario, semplicemente esprimersi; l’idea di dover essere etici è contraria alla qualità della scrittura. D’altra parte, è chiaro che la qualità morale dell’artista è importante, soprattutto nel caso di un poeta, dato che è colui che sa esprimere in maniera più chiara le idee rispetto ad altri artisti. In una società libera tutto questo non conta, ma quando il male è così chiaro ed evidente, diventa immorale far finta di non vedere. In quei casi la moralità diviene anche un aspetto estetico.
E la sua moralità è rimasta al centro della sua attività anche dopo la fine dell’epoca comunista, come dimostrano anche l’impegno nella creazione del Memoriale per le vittime del Comunismo e della Resistenza o la sua partecipazione al movimento Alleanza civica. Come ha unito poesia e attivismo?
L’attivismo si è sempre messo contro al mio destino poetico, letterario, impedendomi di dedicarmici come avrei voluto, ma non era possibile fare altrimenti perché per tanti anni era stato impossibile protestare, esprimere un’opinione. Eppure, dieci anni dopo il 1989 tutto era ancora più difficile, nonostante fossimo in condizioni di libertà; dunque, non era possibile rinunciare alla voglia di cambiare le cose. Ci sentivamo responsabili anche per il futuro. La situazione era ancora pessima e ci domandavamo chi fosse in realtà stato responsabile del nostro passato appena trascorso, dato che non poteva essere stata una persona sola. La mia conclusione fu che oltre alla categoria dei colpevoli delle loro azioni, c’era una maggioranza – e io ne facevo parte – che era colpevole della propria inazione. Sentivo che era necessario fare qualcosa.
La confusione era enorme dopo il 1989; tolto Ceaușescu, al potere erano rimaste le stesse persone. In quel periodo gli artisti e gli intellettuali famosi venivano ascoltati dalla popolazione; fu così che in tutti i paesi dell’Europa orientale gli scrittori entrarono a far parte di formazioni politiche, partiti, movimenti. Poi tutto è cambiato, l’indifferenza e il capitalismo hanno avuto la meglio, ma in quel momento gli scrittori erano molto importanti. Così è stato in Repubblica Ceca, in Ungheria o in Bulgaria, dove vicepresidente era una poetessa [Blaga Dimitrova]; io rifiutai una proposta di questo genere [nel dicembre 1989, come spiega sempre Mazzoni nella nota bio-bibliografica, venne cooptata a sua insaputa dal Fronte di salvezza nazionale; il 26 dicembre Blandiana rifiutò la carica di vicepresidente del Consiglio provvisorio del Fsn; in gennaio si dimise in segno di protesta quando il Fsn decise di trasformarsi in partito e di partecipare alle elezioni].
Veniamo infine alla sua ultima raccolta, Variazioni su un tema dato. Nonostante il “tema dato” sia drammatico, questo libro, a mio avviso, è molto luminoso e si avvicina al lettore con delle piccole, direi, illuminazioni su ciò che è la morte, soprattutto di una persona cara. Prendiamo ad esempio questi versi:
Solo con la morte ha inizio ogni cosa.
Anche se non sappiamo cosa.
E preferiamo confondere
il mistero col nulla.
Solo quando una persona cara,
magari una parte di te,
varca la linea divisoria,
tutto s’illumina
per la durata di un baleno
e vedi quanto è lungo il cammino
che inizia lì.
Così lungo che
non vedi dove conduce
ma nemmeno conta
salvo il fatto che comincia di nuovo.
L’ho trovato davvero illuminante e toccante al tempo stesso, anche per la tenerezza con cui scrive, ad esempio in quest’altro componimento:
Ricordo di essermi chiesta una volta
se noi abbiamo due angeli custodi,
poiché, stando sempre assieme,
sarebbe stato uno spreco.
Uno solo ci sarebbe bastato.
Non mi era passato per la mente
che ci saremmo potuti separare
e allora l’angelo
essere costretto a scegliere
o magari uno di noi due a rinunciarvi.
Di’ la verità,
non ti dispiace averlo lasciato
a me soltanto?
Quest’ultima raccolta non è nata per essere un libro e un anno dopo averne scritto i componimenti ancora non pensavo di volerlo pubblicare. Per me era stato solo un modo per riflettere sulla mia condizione [dopo la morte del marito] e sul rapporto tra vita e morte. Molti lettori mi hanno detto che si tratta di libro “ottimista” e credo sia così perché la mia grande scoperta è stata che la separazione tra vita e morte non è così importante. Se siamo convinti che siamo immortali, allora non conta molto la differenza di tempo tra quando ci troviamo al di qua e al di là di questa linea di separazione.
Proprio come scrive in una poesia, “E cosa è l’amore se non la legge universale di abolizione delle frontiere?”.
Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.