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Da bambino Andrej Sacharov era timido, aveva difficoltà a parlare perfino con il suo compagno di banco. Molti anni dopo, però, la sua voce risuonerà più forte delle bombe e delle opinioni dei politici più in vista.
Andrej Sacharov non dovrebbe aver bisogno di grandi presentazioni. O forse sì? Fisico geniale, fautore e “padre” della bomba all’idrogeno, è il “gemello” sovietico di J. Robert Oppenheimer, l’inventore della bomba atomica americana e responsabile del Progetto Manhattan. Diventato uno dei più noti attivisti per i diritti umani dell’Urss, vincitore del Premio Nobel per la pace nel 1975 e primo presidente del centro di difesa dei diritti umani Memorial, Sacharov è il protagonista di Andrej Sacharov, l’uomo che non aveva paura, una graphic novel per ragazzi edita dalla casa editrice bolognese Caissa Italia.
Nel periodo attuale, in cui guerre, bombe e azioni disumane sono all’ordine del giorno e l’importanza di salvare vite e lottare per i propri diritti civili diventa fondamentale, la scelta di Caissa Italia di accompagnare – in un certo senso – l’uscita del film di Christopher Nolan sulla figura di Oppenheimer con una biografia illustrata del suo “omonimo” sovietico, Andrej Sacharov, ha un valore immenso.
Andrej Sacharov, l’uomo che non aveva paura, una graphic novel necessaria
In collaborazione con storici, archivisti, artisti, scrittori, editori e curatori di musei, Andrej Sacharov, l’uomo che non aveva paura è una graphic novel per ragazzi che ci illustra e racconta l’intera vita del fisico sovietico attraverso la voce del protagonista, che scava nei suoi ricordi e nelle sue memorie, ripercorrendo la storia di un secolo in cui il destino del mondo era nelle mani di due superpotenze: l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti.
Realizzata in collaborazione con il Centro Sacharov di Mosca (che ha chiuso i battenti di recente, nell’agosto 2023, etichettato come “agente straniero” da un tribunale russo) e la Fondazione Friedrich Naumann per la Libertà, l’opera è frutto di un lavoro di squadra eccezionale: le illustrazioni realizzate dal collettivo russo formato dalle artiste Evgenija Roizman, Olga Terechova e Polja Plavinskaja, accompagnano i testi di Ksenija Novochat’ko tradotti in italiano da Tatiana Pepe, riuscendo a riordinare e contestualizzare le vicissitudini di Andrej Sacharov in un momento storico tumultuoso e poco noto ai più.
Indubbiamente, sono le grafiche ad attirare subito l’attenzione del lettore: i colori sono accesi, incisivi e rivelano la loro potenza, il ruolo che giocano tra parole e immagini; la scelta cromatica di alcuni passaggi riesce a travolgere e ad assorbire le emozioni del momento.
Il rosso è il colore del potere dello Stato, del sistema che stabilisce determinate regole e punisce la loro violazione. Tutto ciò che è legato alla scelta personale di Sacharov e alle sue esperienze abbiamo cercato di marcarlo con un tenue colore verde. Il nero è diventato il colore dell’ansia e del pericolo ed è anche il colore delle storie di resistenza dissidente.
[K. Novochat’ko]
Scienza e diritti umani: una convivenza difficile
Figlio di un insegnante di fisica e di una casalinga, figlia a sua volta di un militare ereditario di origine greca, Andrej nasce nel 1921 a Mosca, allora capitale sovietica. Cresce in un ambiente culturalmente e intellettualmente stimolante, diventando un alunno e uno studente brillante, ma che fatica a socializzare e a fare amicizia con i suoi compagni e le sue compagne. Sveglio e attento, al momento di scegliere la sua strada professionale è indeciso: diventerà un biologo oppure un giornalista? Un matematico o un fisico?
È stato mio padre a fare di me un fisico, altrimenti Dio solo sa che fine avrei fatto.
Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, nell’estate del 1941, Andrej tenta di entrare nell’Accademia militare, ma viene rifiutato per motivi di salute. Nel 1942 si laurea in matematica e fisica con lode all’Università statale di Mosca (evacuata quell’anno ad Aşgabat, in Turkmenistan, a causa della guerra) e nello stesso anno viene assegnato al Commissariato del popolo per gli armamenti, da dove viene inviato in una fabbrica di cartucce a Ul’janovsk. Qui realizza un’invenzione per il controllo dei nuclei perforanti e avanza una serie di altre proposte: inizia così la sua carriera di fisico.
Nel 1948 viene chiamato a far parte di un team scientifico e ingegneristico top-secret a cui Stalin incarica di sviluppare armi termonucleari per l’Unione Sovietica. Sacharov trascorre quindi questi anni nella città chiusa di Arzamas-16 (Sarov, che è l’equivalente sovietico della città segreta di Los Alamos per Oppenheimer), lavorando in tutta segretezza e collaborando con le più grandi menti scientifiche per lo Stato. Il suo lavoro è fondamentale per lo sviluppo e il collaudo della prima bomba all’idrogeno sovietica nell’agosto del 1953, a pochi mesi di distanza dalla morte di Stalin, il 5 marzo.
I profondi interrogativi etici, però, disturbano il sonno dello scienziato. Sacharov esprime per la prima volta la sua posizione civica nell’ottobre del 1954. Comincia a studiare le conseguenze biologiche che possono verificarsi dopo gli esperimenti nucleari e nel 1958 scrive un articolo sul carbonio radioattivo e sugli effetti biologici delle armi nucleari. Nel 1963 firma il Trattato sulla messa al bando parziale degli esperimenti nucleari, esprimendo il suo dissenso nei confronti dell’uso di armi ed esperimenti atomici e nucleari perché ne va della salute umana e del futuro dell’umanità. I suoi studi vengono messi al bando in patria ma Sacharov, anche dall’esilio a Gor’kij (l’odierna Nižnij Novgorod), non si arrende e continua a lottare per la verità: grazie al sostegno e all’aiuto della sua seconda moglie, Elena Bonner, il suo articolo Riflessioni sul progresso, la convivenza pacifica e la libertà intellettuale del 1968 viene divulgato all’estero.
L’uomo che non aveva paura si batte quindi per tutti quei diritti e le libertà che le società democratiche rispettano e comprendono, come la libertà di parola, di riunione e di emigrazione, garantiti nella teoria dalle dottrine sovietiche, ma negati nella pratica. Userà, fino alla fine, la sua influenza e la sua posizione di miglior scienziato sovietico per lottare per il rispetto dei diritti umani.
Sacharov e i tatari di Crimea
Sacharov era un giovane timido e solitario, che aveva pochi amici intimi e preferiva leggere un libro piuttosto che uscire, completamente dedito allo studio e alla scienza. Un prodotto dell’era staliniana, consapevole però dei grandi cambiamenti avvenuti con l’industrializzazione forzata, la collettivizzazione, la carestia che devastò l’Ucraina nel 1932-33, le purghe, la repressione e gli arresti. Circa un decimo dei fisici dell’Urss finì nei gulag, uno strano destino per persone la cui ricerca era fondamentale per gli sforzi di modernizzazione dello Stato.
I vertici del partito non si aspettavano che una persona del genere – tre volte Eroe del Lavoro Socialista, vice-direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca di Fisica Sperimentale di tutta l’Urss, con uno stipendio sopra la media, un’auto Volga a disposizione (simbolo della nomenklatura) e un accesso a beni introvabili tra la popolazione – potesse andare contro il sistema. I servizi segreti sovietici iniziarono a prestare maggiore attenzione al fisico a partire dal 1966, dopo che questi iniziò a firmare appelli volti a proteggere i diritti umani nel paese.
La sorveglianza si intensificò quando Sacharov divenne uno dei fondatori del Comitato di Mosca per la protezione dei diritti umani nel 1970. Negli anni Settanta, infatti, insieme alla moglie Elena Bonner, si recò a diversi processi politici, uno fra i tanti fu quello del difensore e leader dei tatari di Crimea, Mustafa Džemilev, che nel 1976 fu processato a Omsk per attività antisovietiche. Il movimento per i diritti umani dei tatari di Crimea ricevette un sostegno speciale da Andrej Sacharov, che più volte chiese ai leader dell’Urss (prima a Leonid Brežnev, poi a Michail Gorbačëv) di riportare i tatari di Crimea nella loro patria. Džemilev afferma che Sacharov ha avuto un ruolo decisivo nel suo destino: “se non fosse stato per la sua campagna internazionale in mia difesa, quando ero in sciopero della fame, sicuramente non sarei vivo”.
I tatari di Crimea mantengono vivo il ricordo dell’accademico e, almeno fino a poco prima dell’occupazione della Crimea da parte della Russia, quasi ogni quartiere tataro della penisola aveva una strada intitolata ad Andrej Sacharov.
Di fronte alle ingiustizie e ai tradimenti Sacharov ha scelto di non rimanere indifferente, di mettere in discussione ciò che era considerato inconfutabile e di sfidare le autorità. Infine ha scelto la difficile via della dissidenza, segnando così il cammino per le generazioni future.
Elena Bonner, la donna che non aveva paura
Si dice che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, e possiamo ben affermare quanto questo sia vero nel caso di Andrej Sacharov, che ha condiviso tutte le difficoltà della sua vita da dissidente con la sua seconda moglie, Elena Bonner. Volitiva, diretta, apparentemente agli antipodi del marito, Elena ebbe un’enorme influenza sul marito, che sposò nel 1972. Insieme, la coppia continuò a lottare per i diritti umani. In Andrej Sacharov, l’uomo che non aveva paura la loro storia compare a gran voce e fa capire l’importanza della famiglia e del valore degli affetti nella vita di un dissidente.
Nel 1975, Bonner sostituì il marito alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace a Oslo poiché le autorità sovietiche non gli permisero di partecipare. E Bonner, donna sola all’estero, emigrata quasi per miracolo a causa di un intervento chirurgico agli occhi, tenne il prezioso discorso di Sacharov, che chiedeva distensione e disarmo, liberazioni di tutti i prigionieri di coscienza e ricordava anche i tatari di Crimea e tutti gli altri popoli discriminati in Urss. Il suo premio? Al ritorno in patria venne subito esiliata nella città di Gor’kij con il marito.
Non mi piace quando mi chiamano moglie o vedova di Sacharov. Io sono io.
Repressioni, sabotaggi, persecuzioni e perquisizioni illegali non risparmiarono né questa donna forte e indipendente, né il resto della famiglia: i figli furono costretti a emigrare e, per fare in modo che potesse partire anche la nuora, soggetta a numerose discriminazioni, la coppia Bonner-Sacharov si sottopose a uno sciopero della fame. Fu solo con l’arrivo di Gorbačëv al potere che i controlli si allentarono.
Alla morte di Andrej, il 14 dicembre 1989, Bonner decise di continuare la lotta del marito. Si indignò per quello che definì “genocidio del popolo ceceno” nel 1994 e successivamente criticò aspramente e apertamente il Cremlino per lo sfociare di un nuovo autoritarismo, tornato in pompa magna con Vladimir Putin. Bonner è stata tra i primi firmatari del manifesto online “Putin deve andarsene”, pubblicato il 10 marzo 2010.
Il nome del fautore della bomba all’idrogeno, ancora oggi, è qualcosa che va ben oltre i confini della scienza e della fisica: è il simbolo più importante dell’attivismo per i diritti umani nell’Unione Sovietica, per questo privato di tutti i riconoscimenti statali in patria e tuttora, anche post-mortem, poco ben visto dal Cremlino.
L’immagine di Sacharov è, in un certo senso, “scomoda” per le autorità russe di oggi: nonostante abbia progettato la bomba all’idrogeno sovietica, l’arma più potente per il paese, ha avanzato richieste contrastanti nel corso della propria vita, chiedendo di superare le divisioni tra i paesi (in particolare tra Stati Uniti e Urss durante la guerra fredda) e promulgando i diritti umani come unica base per unire i popoli. Queste idee, inevitabilmente in contrasto con la retorica del potere, che si basa su parole come sovranità e confronto come sottolinea il direttore di Memorial Sergej Lukaševskij, rimangono idee di dissenso.
Nel dicembre 2020, il presidente russo Vladimir Putin sostenne l’idea di celebrare il centenario della nascita di Andrej Sacharov (previsto per maggio 2021) e promise di contribuire a erigere un monumento all’accademico a Mosca, in un viale a lui intitolato. Tuttavia, la promessa di Putin non è mai stata mantenuta: il comitato organizzativo per la celebrazione dell’anniversario ha inviato per tre volte all’ufficio del sindaco le proposte sulla collocazione del monumento, ma non ha mai ricevuto risposta. Su iniziativa del Centro nucleare federale, il monumento è stato poi eretto a Sarov, l’ex Arzamas-16.
Esiste anche una targa dedicata allo scienziato presso Čeljabinsk, che era stata installata nel 1993 in ricordo del discorso di Sacharov a un evento dedicato alle migliaia di persone fucilate e sepolte sulla “montagna d’oro” durante il terrore staliniano (secondo i servizi segreti, 37mila persone sono state represse negli Urali meridionali per motivi politici, 11.592 delle quali sono state fucilate). Tuttavia, nel 2012, la targa scomparve con la costruzione di un centro commerciale al posto del palazzo.
Al centenario, Putin si è limitato a ricordare l’inestimabile contributo allo sviluppo del pensiero scientifico del fisico sovietico e alla sua capacità di difesa del paese e della sicurezza nazionale, descrivendo Sacharov come un uomo coraggioso e indomito. Le idee dell’accademico, però, contraddicono la retorica delle autorità di Mosca, che non hanno autorizzato l’organizzazione di una mostra fotografica in occasione del centesimo compleanno di Sacharov. L’accademico rimane un dissidente e un personaggio scomodo non solo per l’Urss, ma anche per la Russia moderna.
Ksenija Novochat’ko e Caissa Italia hanno dato vita a una graphic novel necessaria e più che attuale, adatta a giovani ragazzi e adulti. Sacharov racconta e viene raccontato con una sensibilità rara, umana, proprio come avrebbe voluto questo uomo che non aveva paura di dire la verità.
Andrej Sacharov, l’uomo che non aveva paura, Ksenija Novochat’ko, traduzione di Tatiana Pepe, Caissa Italia, 2023.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.