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Anulloje Ligjin di Fabrizio Bellomo. Alla scoperta del “lavaggio” della storia albanese

di Vito Saracino*

Presentato al 41esimo Torino Film Festival Anulloje Ligjin di Fabrizio Bellomo è un viaggio che prende la rincorsa parlando al passato per poi saltare nel presente dell’Albania e degli albanesi. Bellomo lascia che a guidare questa storia siano le statue, gli artisti e i simboli, cangianti a seconda dei tempi e delle “fedi”. Nel pullulante interesse mediatico nei confronti della terra delle Aquile, Anulloje Ligjin si caratterizza per l’ironica e pungente analisi delle rapide – e allo stesso tempo lente – trasformazioni della periferia d’Europa. Il prossimo 29 dicembre sarà presentato dal regista insieme all’artista albanese Adrian Paci, nell’ambito della Rassegna “Angoli” presso lo “Spazio Murat” di Bari.

Leggi anche Memoria, Albania, trasformazione. Intervista ad Adrian Paci

Il lavoro di Bellomo

“Fervore di opere nell’Albania…”

“Nella capitale Tirana… in soli pochi mesi… ha già assunto una nuova fisionomia edile…”

La roboante voce adulatoria dell’Istituto Luce risuona nell’incipit dell’ultimo lavoro di Fabrizio Bellomo con parole che spesso ritroviamo simili negli attuali servizi televisivi sull’Albania che guardano con stupore al brulicante panorama di gru e grattacieli presenti nel novello skyline schipetaro. Il poliedrico artista levantino, barese classe 1982, percorre le 117 miglia nautiche che separano Bari da Durazzo e torna in Albania con una nuova opera girata oltre Adriatico.

Bellomo è un artista a tutto tondo e non è nuovo all’uso dei documenti visivi d’archivio, già personaggi attivi nel suo precedente lavoro Commedia all’italiana (Premio Speciale della Giuria al 39mo Torino Film Festival), un progetto dove setaccia il passato e i simboli del Belpaese fascista mettendoli in relazione ai simboli che affollano il contemporaneo di un paese oggi quasi interamente turistificato.

L’epopea coloniale italiana può essere il fil rouge che collega i due lavori, si parte dalle adunanze di piazza dell’Albania fascistizzata di fine anni trenta intrisa di propaganda, il cui messaggio raggiunge cuore e pancia degli spettatori. Ma il Novecento è un secolo che corre veloce e la piazza nera si trasforma inesorabilmente in una marea rossa, cambiano gli Slogan di Pietra – parafrasando il caposaldo letterario di Ylljet Aliçka tradotto in italiano come Compagni di Pietra edito in Italia da Guaraldi – e i nemici, come egregiamente si racconta nel documentario di Roland Sejko La macchina delle immagini di Alfredo C, la storia di un operatore che per salvare la pelle si trova a filmare sia le folle oceaniche che inneggiavano a Ciano e Mussolini e, in seguito, le stesse genti acclamare l’ascesa al potere quarantennale di Enver Hoxha.

Anulloje Ligjin

Per Bellomo gli spazi e le cose possiedono un’anima e da abile rabdomante trova una fonte a cui abbeverarsi in Sheshi Skënderbej, una piazza che è la cartina di tornasole dell’Albania degli ultimi 110 anni, dato che ad ogni cambiamento politico e sociale corrisponde una trasformazione architettonica dei quasi 40mila metri quadri.

Anulloje Ligjin
Scorcio di Piazza Skenderbeg a Tirana (Marco Fieber)

L’ampia piazza ne ha viste di tutti i colori, dai fasci littori con la scritta Dux che inneggiavano alla “unione personale del Regno d’Italia con quello d’Albania”, alla statua equestre del condottiero Gjergj Kastrioti Skënderbeu (Giorgio Castriota, detto Scanderbeg) valida per ogni stagione, sino alla statua di Lenin e all’enorme monumento dedicato a Enver Hoxha, la cui erezione e abbattimento rappresentano l’alpha e l’omega del socialismo reale in Albania.

Anulloje Ligjin non è affatto un semplice road movie, ma è il frutto di una frequentazione matura e appassionata che ha portato il regista a studiare e analizzare il ruolo che la società socialista, i mass media e in particolar modo i cinegiornali, hanno attribuito a queste mastodontiche statue e agli artisti le cui mani hanno forgiato tali opere.

Mi sia permessa una piccola digressione sull’Arkivi Qëndror Shtetëror i Filmit Shqiptar (Archivio Centrale dello Stato del cinema albanese) che negli ultimi anni ha assunto consapevolezza del proprio ruolo culturale, superando un dibattito durato un ventennio in cui le opere conservate da tale istituzioni venivano considerate solo come mere pagine propagandistiche da dimenticare. Negli ultimi anni l’istituzione governativa, nonostante le non abbondanti risorse economiche a disposizione, si sta aprendo a numerose operazioni di salvataggio e rigenerazione delle proprie pellicole. Basti pensare alla collaborazione in atto con la Fondazione Gramsci di Puglia e la Dabimus Srl di Bari del professor Nicola Barbuti che ha già portato al restauro pregevole di opere della cinematografia schipetara di età socialista, premiate sia in patria che all’estero, quali Gjeneral Gramafoni (Il generale del grammofono) di Viktor Gjika del 1978, Lulëkuqet mbi mure (Papaveri rossi sui muri) di Dimitër Anagnosti del 1976 e Gunat përmbi tela (Pistole sul filo) di Muharrem Fejzo.

Lo studio dei cinegiornali operato da Bellomo, come spaccato della società e dell’epoca in cui il servizio viene girato, va nella stessa direzione lodevole di recupero della memoria visiva intrapresa da diversi cineasti e documentaristi, fra i quali cito Marco Lena de la Direction de la Cinématographie du Sénégal che con Les Actualités Sénégalaises è riuscito a mostrare le prime immagini del Senegal indipendente.

Sarà proprio grazie alle immagini relative alle inaugurazioni così come alla costruzione dei maggiori monumenti prodotti dagli Skulptori i Popullit del Realismo Socialista che le tessere di questo mosaico cominceranno a prendere forma:

Durante questo periodo (socialista), corrono gli anni ma le opere e i risultati sono notevoli. Vediamo l’egregio lavoro dei tre scultori Kristaq Rama, Mumtaz Dhrami e Shaban Hadëri.

Fabrizio come un novello Poirot con tanto di Capitano Hastings – il sodale Luan Shkodra – e di Miss Lemon – l’instancabile operatrice video e co-produttrice Graziana Di Santo – segue le tracce delle inaugurazioni di questi monumenti e parte alla ricerca della statua perduta e del destino dei complessi monumentali del Realismo Socialista, sostituiti da statue frettolose e adulatorie dedicate alle “fedi del presente”, come il filo americanismo imperante che porta alla inaugurazione della statua sorridente di George W. Bush II in quel di Fushë Krujë, di Hilary Clinton a Saranda oppure spostandoci più al nord, quella di Bill Clinton a Pristina che collego inconsciamente a quella di Rocky-Sylvester Stallone a Philadelphia.

Un sentimento filo-americano che ha ormai da un decennio scalzato quel soft power sia politico che mediatico rappresentato in passato dall’Italia, come anche l’italofonia in calo nella Repubblica delle Aquile dove le nuove generazioni preferiscono studiare l’inglese, il tedesco e anche il turco, anche per via dei nuovi media digitali che hanno scalzato la TV nel ruolo ormai passato di strumento assai utile per apprendere i rudimenti della lingua italiana.

Sul tema leggi anche: “Ju flet Tirana”. Radio Tirana come “tamburo tribale” della propaganda

Bellomo come un cercatore d’oro, anzi di bronzo, riesce a incontrare il maestro Muntaz Dhami nel suo studio, nascosto fra i deliri di cavi e di stradine a due passi dagli avveniristici (?) grattacieli. Statue in processione laica, in giro. Un caso da Poirot.

L’incontro con lo scultore Muntaz Dhrami

Un incontro che definirei cinematografico, con il maestro seduto che tende a somigliare alla plasticità delle sue stesse statue, una sfinge da intervistare per scoprire ed entrare nella Tebe della storia dei simboli albanesi, attorniato da sculture di papi, popi, musicisti, partigiani e imam, a dimostrazione della commistione di vite e culture che aleggiano nel mondo schipetaro.

Un padre disincantato e reduce della distruzione delle sue creature che si chiede se sia davvero servita la distruzione delle sue opere come simbolo della fine di un mondo e disilluso auspica un salvataggio di quel patrimonio personale e artistico come avvenuto in altre realtà. Spesso si sente spiazzato dalla domanda che gli viene posta dai gazetar: “Ti è dispiaciuto quello che è successo?”, alla quale risponde con una contro-domanda.

Anulloje Ligjin
Lo Scultore Muntaz Dhrami fotografato nel suo studio da Fabrizio Bellomo

“…Avete chiesto agli operai delle fabbriche di Scutari come si sono sentiti? E ai contadini delle piantagioni di Mollas quando hanno tagliato i loro alberi? E avete domandato agli operai se erano dispaciuti per la distruzione delle loro fabbriche?”

Muntaz Dhami non perde né fierezza né maestria e continua a resistere come l’iconica sigaretta fra le dita mentre un tremolio di mani che magicamente si placa quando è a contatto con la prossima scultura da ultimare, mentre pezzi di bronzo e di statue si aggirano per il mondo diventando altro, come il caso di un Enver Hoxha tramutatosi nel fisico settecentesco George Christoph Lichtenberg in quel di Gottinga.

E quello con Ferid Kola

La riscoperta delle statue e degli scultori porta la narrazione a Scutari, dove si incontra Ferid Kola, scultore e fedele collaboratore di Shaban Hadëri per uno dei complessi scultori in bronzo più importanti d’Albania, i Cinque eroi di Vig, dedicata a cinque partigiani che persero (secondo la narrazione partigiana) eroicamente la vita nell’agosto 1944 combattendo contro i nazisti.

Ferid Kola in giro per Scutari fotografato dal regista

Lo scultore Kola ci racconta le vicissitudini di questa imponente scultura di oltre cinque metri che tuttora è presente nell’immaginario collettivo. Ad esempio nei negozi di souvenir, visitati quasi sempre di spalle dal nostro Virgilio, si scopre questa cartolina della statua “scomparsa” ancora in vendita.

Ma l’opera rappresentava un momento del passato e alla caduta del regime i cinque partigiani hanno cominciato una nuova marcia, talvolta brutalizzati con i vari pezzi di bronzo sciolti e rivenduti per denaro o collocata in luoghi limitrofi a discariche a cielo aperto, fino alla collocazione definitiva su una rotonda fra Skhodër (Scutari) e Koplik, grazie all’iniziativa dei veterani del comune di Rhetina. Le statue descritte da Bellomo hanno un’anima e una consapevolezza, per questo sarei curioso di scoprire quale sia il pensiero elaborato da questi valorosi Pasquini rispetto all’incertezza della situazione odierna e se sono più lieti nello scorgere dalla loro rotonda le auto tirate a lucido per le occasioni o più preoccupati per il crescente numero di minibus colmi di giovani pronti a partire verso un futuro lontano.

Il viaggio della dolce “armata Brancaleone” prosegue senza la fretta dei turisti, ma con il passo meditato del viaggiatore passando con disinvoltura fra le pagine della Storia, partecipando a Durazzo a una commemorazione della lotta partigiana albanese al turbinino di grattacieli e cantieri onnipresenti figli di una nuova logica dell’abbattimento del passato in nome di uno sviluppo legato a stretto filo con il mondo delle costruzioni come ne Le Mani sulla Città dell’indimenticato e sempre attuale Francesco Rosi.

Luoghi del periodo italiano come il Teatro Nazionale di Tirana o del periodo comunista come la Piramida lasciano spazio a un’ideologia del nuovo, del vetro e del cemento in un paese che si sta spopolando nonostante un’utopia di green economy e transizione. Un film per meditare sulla sottile differenza che c’è fra la ricostruzione della nazione e una sua ripulita in superficie.

Docente a contratto di Storia Sociale dei Media presso l’Università di Foggia e Ricercatore della Fondazione Gramsci di Puglia. La sua attività di ricerca si interseca con la realtà balcanica e l’Albania in particolare, occupandosi di come i media italiani, soprattutto nel Novecento, siano riusciti ad influenzare nel tempo numerosi aspetti culturali della Repubblica delle Aquile.

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Redazione
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